Al di là dei simulacri e degli spettri politici
– aforismi contro il PD e non solo –
I piddini sono la perfetta sintesi degli altri schieramenti: sono incapaci come i grillini (ma con molta più prosopopea e presunzione) e corrotti come i forzisti. Trovo allucinante che si considerino “di sinistra” e che la gente (la borghesia) creda a questa cazzata… Sono la caricatura di una caricatura (che è poi quella confluita nell’accozzaglia di finto-sinistri della Lista Tsipras).
Ma come fanno a perdere così tanto tempo a fingere di prendersi sul serio?
Ma come fanno codesti “elettori“a non sputarsi addosso invece di discutere di nulla sul nulla, quando per esempio parlano di Renzi, di “fiducia”, di “speranza“?
C’è da aggiungere che corruzione e incapacità sono caratteristiche assolutamente adeguate al sistema borghese vigente… che opera in buona parte al di là delle sue stesse leggi formali e sempre più spesso con il precipuo scopo di disfunzionare… D’altro canto, gli opposti valori del rigore morale e della competenza tecnica (di certi altri bacchettoni) sono solo delle coperture ideali di leggi formali e regole informali tutte protese a modulare vizi e virtù, dépense e produttività, e continuare di fatto a proteggere (proprietà, divisione del lavoro, rendite, profitti, interessi, ovvero) l’accumulazione, l’espropriazione, il ricatto… lo stupro, l’avvelenamento, ecc… la violenza strutturale (la mercificazione di ogni cosa e di ogni vivente e la sua correlata passione sadomasochista), garantita dalla milizia, dalla minaccia del carcere, della tortura, ecc…
Ma davvero c’è gente che crede che il lavoro dematerializzato, cognitivo (nel senso di cultural-impiegatizio) sia più indispensabile di quello legato alla produzione, all’industria, all’agricoltura? Ma davvero c’è gente che pensa che la legalità, la Costituzione o Papa Francesco siano il rimedio di una società (solo!) moralmente corrotta?
Ecco si incontrano troppo spesso queste due specie di prototipi umani: il feticista della tecnologia (che fa finta che i computer siano fatti d’aria), fiducioso nell’automazione e nel progresso basato sugli impiegati e sul lavoro fine a se stesso, e il “religioso” che crede nella bontà universale della violenza strutturale su cui poggia il suo culo borghese…
La “sinistra” è letteralmente infestata da questi due prototipi… Poi ci sono quelli che rivendicano più diritti individuali (continuando a privilegiare l’astratto sul concreto, essendo loro stessi “astratti”), più lavoro (abbattendone il valore per eccesso di domanda), un reddito di base (vendendosi per due spicci ad un sistema prostitutivo e mercificante che tutto sommato accettano), ecc… equamente distribuiti tra entrambe le categorie… Sono le infinite trasformazioni di una stessa cosa mostruosa (vagamente sintetizzabile nella parola “borghesia”, ma non è solo quella ad essere mostruosa…).
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Poi dovrebbero spiegare la cazzata che occorrono riforme politiche (la composizione del Senato, i criteri elettorali… ma cosa c’entrano???) per contrastare la competizione al ribasso dei prodotti asiatici e la difficoltà crescente (per motivi bellici e per trattati transnazionali e interessi egemonici statunitensi) di reperire risorse energetiche a basso costo… Come se non bastasse, vogliono risolvere il problema locale dell’oggettiva convenienza delle merci asiatiche con la Speranza, la Fiducia, con il “made in Italy”, la ricerca e l’innovazione con le stampanti 3D? Almeno questo è quanto di miserabile e patetico propagandano per coprire di luccichii (si fa per dire…) intenzioni evidentemente reazionarie e impopolari (quelle del “ce lo chiede l’Europa”).
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Un partito totalitarista che si rispetti deve governare e indire scioperi contro il governo, polarizzando la pantomima dello “scontro” su temi secondari e poco significativi (e ovviamente deve propagandarsi come “democratico”, magari inserendo tale dicitura nel logo).
L’opposizione “capitale/lavoro” che rivela la sua storica complementarità con stile auto-caricaturale (vedi Bersani: “Siam sempre quelli lì, eh!”).
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3 Novembre 2014. Ha persino peggiorato quanto già detto da Poletti, il Rensi: “Non esiste una doppia Italia, dei lavoratori e dei padroni: c’è un’Italia unica e indivisibile e questa Italia non consentirà a nessuno di scendere nello scontro verbale e non solo, legato al mondo del lavoro”. Curioso che il giovane vecchio reazionario, rottamatore dell’eventuale e improbabile “nuovo”, che tenta di spegnere il conflitto capitale/lavoro (che tanto serve al Capitale, comunque…), lo rinfocoli in realtà ogni giorno che passa… (proprio in quanto funzionale alla governance violenta dell’estensione e dell’intensificazione dello sfruttamento, appunto… “Come te la ficco la carota nel culo, se non ti bastono prima?”).
“Ogni promessa è debito” | un’esegesi eretica.
– Ti prometto che avrai un’identità, che sarai un individuo, una persona anche tu! ma sappi che, se non vi riuscirai (o se vorrai riuscirvi), dovrai contrarre un debito col signore (un qualsiasi signore, anche anonimo e in formato meccanico, digitale…) e non sarai degno di lui finché, proprio come una puttana nigeriana, non l’avrai estinto!
Così dice il padre delle moltitudini, l’Abrhamo maledetto… Peccato che il debito sia strutturato in modo da non estinguersi mai, dato che si tratta della potentissima evocazione del fantasma del valore. “Perché io valgo”… come il salvato dalle acque… acque che tutto mescolano (e che comunque fertilizzerebbero…), che vanno separate con simboli fallici eretti ad ogni pie’ sospinto (il bastone-serpente di Mosè, la colonna di fuoco durante l’esodo, ecc…), per portare gli esuli, i fantasmi del valore, nella “terra promessa” (il Denaro, la terra fantasma di un promessa mai mantenuta ).
Passeranno decenni prima che si estenda e sia comprensibile a molti la critica (non solo quella, più “tradizionale”, dell’identità e dell’universalismo, ma anche) dei processi di individuazione e del concetto (così poco di-vertente) di individuo… o che la Persona sia presa per il simulacro (la menzogna tattica) che è: il maledetto Terzo (che sovrasta con violenza l’incertezza inquantificabile dell’io-tu, delle relazioni senza vertice), il Denaro, l’equivalente generale di tutte le cose (anche profeticamente) mercificabili… il linguaggio che continuiamo a balbettare come scimmie estraendo un po’ più di senso, un po’ più di sperma (o di squirting, di eiaculazione fantasma) di quanto si possa sopportare… Più probabilmente parliamo di piscio, sangue e merda. Consumo, scarti, morti.
Barriere coralline
Non abbiamo bisogno di istruzione, educazione, scolarizzazione, colonizzazione, alfabetizzazione, ammaestramenti, ordini, ammonimenti, controlli, quanto di capire, intuire, sapere, annusare, ascoltare… Il disCRImine tra i due insiemi di termini è il CRInale della CRItica, che separa (in modo, ahimè, conflittuale e ambivalente) ciò che è istruzione (fondamentalmente militare o militarizzata), da ciò che può LIBerare la LIBido delle intensità inespresse (purché già complesse, regolate, modulate, giocabili, dividuali), contro il carcere sociale (totalitario, umanista, universalista, identitario, ecc…). Il crinale della critica è però effetto di conflitti magmatici, che fondono le convinzioni e le convenzioni più pietrificate, esponendole a sollecitazioni telluriche che le frantumano, sottoponendole a pressioni inimmaginabili e a influenze cosmiche del tutto invisibili per chi ha memoria troppo corta, come gli umani… che si accorgono di tutto ciò che si AGita e AGisce nell’AGone sotto i loro piedi solo quando, di tanto in tanto, erompe in eruzioni vulcaniche, che accelerano, sempre troppo poco per una vita media, il mutare del paesaggio, dell’habitat dei loro habitus… o quando dei corpi celesti, più di rado, precipitano al suolo, devastando questo mondo del tutto o quasi.
Nel breve, si può giusto contare sull’erosione e sulle nicchie, sul moltiplicarsi delle bolle invaginate in superficie o in profondità… (ma anche sulle loro trivellazioni, gallerie, sostanze inquinanti, radioattive… sulla loro idiozia e autodistruzione, sulla crescita esponenziale di “lavoro morto” e “denaro morto”, che dovrà pur avere un limite, quando farà danni tali che si dovrà auto-squalificare prima di cedere definitivamente il passo, di liberare le bolle, le nicchie della loro costruzione bacata, senza che le macerie impediscano ad altri di vivere…).
“Noah”, il “caca-luce” e la partita doppia
(Dopo quella de “Il cigno nero”, un’altra recensione di un film di Aronofsky… Di “caca-luce”, ovvero del proiettore nelle sale cinematografiche, ho già scritto qui).
“Noah”, ovvero del fallimento di qualsiasi progetto elitista (con tanto di esito etilista…).
Ogni idea paranoide di perfezione, di destino, di completa distruzione e cambiamento rivoluzionario su basi utopiche, ideali, va incontro al fallimento. Viene tradita, in questo caso, da tutti i sodali familiari. Comunque questa genealogia (corrotta, a dispetto dell’idea nefasta di “purificazione”che pervade la mente di Noah) resta salva… la successione, la famigliola, la piccola sostanza sporca e maledetta del (soprav)vivere (sacra in tutti i film di Hollywood)… e l’oscuro disegno del “Signore”, questo disegnatore 3D, creatore e padrone virtuale di tutti i feticci (questi feti fetenti, risparmiati, saved, raddoppiati, piazzati in mezzo alle “cose” – surplus di codice raddoppiato… come nella partita doppia – che galleggiano sul mare della Crisi, nel finale). Dispotica e predestinante “mano invisibile” (o “ano invisibile” o qualunque altro oggetto parziale) che surcodifica e rimappa l’intero mondo, l’intero cosmo, anche in senso genesico (come si evince nella spettacolare sequenza dei noti 7 giorni)… ovviamente non riuscendoci (ormai neanche più nella finzione). Il Dominio che non può cogliersi nella sua totalità semplicemente perché non c’è (se non come effetto speciale senza causa, come pessima favola, come fantasmagoria stupefacente, istupidente). Su tutto il film pesa questo cupo destino mortifero del Potere cinematico statunitense… che brancola come un survivalist rintronato e assetato di sangue in tutte le caverne platoniche (o sale, stanze…) in cui si radunano gli incauti e ostinati spettatori-consumatori (anche quelli gratis… quelli “cattolici”, non paganti, non “protestanti”, per Grazia ricevuta di qualche server…).
L’Eroe-Coglione… quello che lavora, paga, si sacrifica, si indebita, fino alla fine… anche dopo che è fallito.
ovvero
Le avventure del Capitale e della partita doppia sotto forma di gemelline
Per gli appassionati di metafore ardite, quasi acrobatiche… Deleuze-Guattari ne l’Anti-Edipo specificano cosa intendessi per partita doppia a proposito delle due gemelle (intese come monete viventi e merce su due gambe) che Noah risparmia (i grassetti sono miei):
Prima della macchina capitalistica, il capitale commerciale e finanziario stanno solo in un rapporto di alleanza con la produzione non capitalistica, ed entrano nella nuova alleanza che caratterizza gli Stati precapitalistici (donde l’alleanza della borghesia mercantile e finanziaria con la feudalità). Insomma, la macchina capitalistica comincia a funzionare quando il capitale cessa di essere un capitale d’alleanza per diventare capitale filiativo. Il capitale diventa un capitale filiativo quando il danaro genera del danaro, o il valore un plusvalore, «valore progressivo, danaro sempre germogliante che spunta, e come tale capitale… Il valore si presenta tutt’a un tratto come una sostanza automotrice, per la quale merce e moneta non sono che pure forme. Essa distingue in sé il proprio valore primitivo e il proprio plusvalore, cosi come Dio distingue nella propria persona il padre e il figlio, ed entrambi non fanno che uno ed hanno la stessa età, poiché le prime cento lire anticipate diventano capitale solo grazie al plusvalore di dieci lire».
[…]
Il celebre problema della caduta tendenziale del saggio del profitto, cioè del plusvalore rispetto al capitale totale, non può essere compreso se non nell’insieme del campo d’immanenza del capitalismo, e nelle condizioni in cui un plusvalore di codice viene trasformato in plusvalore di flusso. Appare innanzitutto (conformemente alle osservazioni di Balibar) che questa tendenza alla caduta del saggio del profitto non ha fine, ma si riproduce da sé riproducendo i fattori che la contrastano. Ma perché non ha fine? Probabilmente per le stesse ragioni che fanno ridere i capitalisti e i loro economisti, quando constatano che il plusvalore non è matematicamente determinabile. Tuttavia non han tanto di che rallegrarsi. Dovrebbero piuttosto concludere con quel che tengono a nascondere: che cioè non è lo stesso danaro ad entrare nelle tasche del salariato e ad iscriversi nel bilancio di un’impresa. Nel primo caso, segni monetari impotenti di valore di scambio, un flusso di mezzi di pagamento relativi a beni di consumo e a valori d’uso, una relazione biunivoca tra la moneta e una gamma imposta di prodotti (« a cosa ho diritto, ciò che mi spetta, è dunque mio…»); nell’altro caso, segni di potenza del capitale, flussi di finanziamento, un sistema di coefficienti di produzione differenziali che manifestano una forza prospettica e una valutazione a lungo termine, non realizzabile hic et nunc, e funzionante come un’assiomatica delle quantità astratte. In un caso il danaro rappresenta un taglio-prelievo possibile su un flusso di consumo; nell’altro una possibilità di taglio-stacco e di riarticolazione di catene economiche nel senso in cui flussi di produzione si adattano alle disgiunzioni del capitale. Si è potuto mostrare nel sistema capitalistico l’importanza del dualismo bancario tra la formazione di mezzi di pagamento e la struttura di finanziamento, tra la gestione della moneta e il finanziamento dell’accumulo capitalistico, tra la moneta di scambio e la moneta di credito.
Certi individui… | Violenza-Diritto-Economia
Certi individui mi fanno pensare che non ci sia speranza in questo mondo… Marci completamente. Hobbesiani. O legge o violenza. Chi li ha istituiti questi “individui”? Sono essi stessi un contratto, l’obligatio individua fatta persona… con relative damnationes in caso di inadempienze. Sono il sempre vigente e reincarnato diritto obbligazionario romano. Mascherato da anima individuale nel medioevo di Tommaso d’Aquino e più in là, dopo il codice napoleonico, da privilegio proprietario borghese.
Certi individui sono istituiti per legge. Il diritto li precede e li determina (i rapporti economici si modulano solo in seguito su gerarchie definite a forza di legge). L’individuo parla a partire dai suoi privilegi, dalle leggi che l’hanno istituito. Ecco perché si dovrebbe diventare dividui, relazionandosi come tali… senza giudici e padroni (reali o metafisici).
De-capitalizzare l’in-dividuo in dividuo.
Contrariamente a quel che scriveva Marx (non però il giovane Marx), a mio avviso non vi è un rapporto economico finché non si produce l’evento violento (strategico o meno, dell’accumulazione, dello sfruttamento intensivo ed estensivo del lavoro altrui, della riduzione in schiavitù, dell’incarcerazione, del saccheggio, dello stupro, dell’aggressione, del conflitto, dell’uccisione, della guerra, ecc…) e si corre ai ripari (si fa per dire) ex post con qualche forma di diritto.
La sequenza (in loop) è: Violenza -> Diritto -> Economia.
La violenza del diritto (di chi prevale) scrive le leggi dell’economia… queste, una volta organizzate in diritto economico, rendono sistematica l’economia della violenza e della sopraffazione, facendola sembrare “naturale”, mutando degli habitus in habitat… un po’ come chi afferma che se non ci fossero gli imprenditori non ci sarebbe lavoro e mostra tutto ciò come una necessità vitale della “società” (questo corpo immaginario di una politica paranoide, che sostituisce, con i suoi rapporti regolati economicamente e giuridicamente, determinati insiemi di viventi in relazione – non individuabile o identificabile – tra loro). Con questo non voglio dire che ci sia qualcosa di più puro e originario, ma solo che per lo più la perversione viene reinvestita, nega il godimento della parte in quanto tale, la sua geometria variabile, impossibile da mappare. Suppone un Tutto cui tornare. Quel Tutto è il Capitale, la Grande Testa, l’Uni-verso… il/la Père-verse… colui/colei che conquista e recinta qualsiasi superficie, esterna o interna che sia, marcandola col suo sigillo immancabilmente fallico, eretto, monumentale (omaggiandolo con ciò che altrove ha reciso, raccolto, accumulato, sacrificato).
I/O
I = in piedi, vivo, eretto.
_ = disteso, morto, detumescente.
O = roteante, modulato, reinvestito, ammortato, “circonverso”… insieme superficie interna ed esterna… “I” che rotea intorno al suo centro… barrandosi e dividendosi per un istante “/”.
Il pene egoista
il titolo è un paragramma de “Il gene egoista” di R. Dawkins (per i resto si tratta del riassunto di una recente conversazione a ruota libera tra me e lei, scandita qua e là da titoletti aggiunti in seguito…)
Le donne come fabbrica: dalla produttività bruta all’omosessualità come finanziarizzazione del desiderio.
L’altro giorno discutevamo di questa proporzione metaforica: di come una moglie stia (o sia stata) al marito come una fabbrica al suo padrone… e di come (con un’altra proporzione) l’apparente autonomizzarsi della produzione di plusvalore nelle sempre più sofisticate (e deterritorializzate) tecnologie finanziarie si stia appaiando alla rivendicazione (che spesso cela a stento intenti neocolonialisti a danno di stati che resistono culturalmente a certe orgogliose quanto politicamente bizzarre penetrazioni filo-atlantiche) dei “diritti” individuali, umani, del sesso “non riproduttivo” (per lo più quello omosessuale… non tanto quello masturbatorio, forse per il suo carattere non abbastanza socializzabile…). Non che il sesso non sia in generale “non riproduttivo” (e solo molto occasionalmente “riproduttivo”)… ma ancora si usa in gran parte la tecnologia dell’accoppiamento maschio-femmina per riprodurre umani. Certo, potrebbero studiare metodi per bypassare l’uso dei “naturali” uteri femminili… disgiungendo la catena di montaggio consueta… e allora anche i maschi potrebbero diventare fabbriche di umani… assumendo il potere di generare in modo posticcio. O le femmine riprodursi senza maschi.
La “natura” come “cultura” e i tormenti schizo-paranoidi di Edipo.
Si discuteva poi di come non vi sia “natura”… e di come non ci si possa riposare neanche sulla sostanzialità scientista dei contemporanei quando parlano, in ultima istanza, di geni. “E’ scritto nel DNA”, dicono di qualunque fenomeno “naturale” (anche quelli più apparentemente “culturali”), questi nuovi integralisti. A mio avviso c’è solo “cultura”, o meglio l’ambiente (meglio ancora, l’inorganico) che la martella, l’accetta, la lavora, la riduce in poltiglia, la plasma, ecc… e a furia di martellate, nei millenni, anche il genoma diventa un libro scritto (certo, in più tempo, con più calma, tentativi, fallimenti… con una “tecnologia” più prudente di quella prodotta dagli uomini). Non tutte le specie sono mammifere e dispongono di una femmina più a rischio di morte durante il parto (dunque, nel caso degli umani intelligentoni), necessitante di maschi più robusti e capaci di compensare i rischi di sopravvivenza generale che comporta questo bug. Abbiamo vedove nere, mantidi religiose e cavallucci marini che ribaltano queste questioni… E non è che sia passato troppo tempo dacché le femmine (di insetti, anfibi, rettili e uccelli, per esempio…) deponevano le uova invece di spalancare le anche, lacerarsi la fica e scodellare bebè… Ma siamo animali a sangue caldo e ormai ci piace così da qualche centinaia di milioni di anni… Edipici perché costretti ad uscire dalla quiete dell’alimentazione amniotica attraverso budelli sanguinolenti misti alla merda che spesso esce dall’altro lato… e sognanti questo ritorno fusivo pre-simbolico, di tanto in tanto (paradiso terrestre? nirvana? psicosi?) contro il proliferare incessante dei segni… contro le ipocrisie del papà esploso (assai dispotico, patriarcale e maschilista, in realtà…) delle democrazie.
L’Uno allo specchio.
Così ci si trova costretti all’interno di precisi “contenitori” dalle tecnologie di costruzione della Persona (il processo di identificazione, di individuazione, legato allo spec-… dello specchio, dello spectacolo, della speculazione… per esempio di quei frocioni degli antichi greci, i padri ricchioni dell’Occidente (lo diciamo con un certo pessimo gusto parodistico e senza stigmatizzare alcunché) che tenevano le donne segregate nei ginecei, mentre inchiappettavano i discepoli, introducendoli con queste crude prime esperienze sessuali ai fantasmi dell’uni-versalità e dell’uni-cità del loro cazzo, alla vita politica, condita di vaga filosofia, tanto per ammorbidire gli animi e rilassare gli sfinteri… oppure all’arte della guerra (un po’ di violenza omeopatica prima della violenza per eccellenza, quella del corpo a corpo in battaglia). Ancora oggi riecheggiano tenere metafore nelle urla rivolte dagli sportivi ultras agli avversari, tipo “Ve famo er culo”, ecc… che sembrano scambi di minacce-promesse tra svariati sottoinsiemi di veri uomini gay… incroci di spranghe in luogo di spadoni… manganelli alzati che si interpongono… corpi sudati… goal!).
L’incesto.
Ah… e poi c’era la questione dell’incesto… ovvero di uno dei primi comandi dell’ordine sociale… che regola e organizza un certo potere maschile (di lenoni) sulla libera esplorazione sessuale femminile (altro che papale “prima società naturale”!). Si era esogamici perché necessitanti di conquistare nuove alleanze e territori… Non che nella discussione si sostenessero le ragioni dell’incesto, ma di certo la sua interdizione fu (ed è) una specie di serraglio in cui tenere buone le femmine (secondo Deleuze-Guattari l’incesto e la sua colpa nasce col dispotismo regale surcodificante… prima neanche sarebbe stato visibile… afferrabile come trasgressione di un codice ancora non scritto, raddoppiato nei segni non più incisi sul corpo “primitivo” ma su steli e pergamene, come leggi pronte a colpire i corpi, divenuti tutti potenzialmente sediziosi, dall’alto, come farebbe un’aquila…). E infine, parlando di matrimoni gay, si sosteneva anche l’estensione di quell’istituto alla poligamia (perché gay sì e tanti no?). Fermo restando che non mi piace affatto l’istituto del matrimonio in qualunque foggia.
Contro Dante, l’Autore, il filologicamente corretto e l’Umanesimo (e in definitiva contro Dio).
E pensare che si era partiti dalla critica del filologicamente corretto, dalla Letteratura e dall’Autore inventati da un certo punto in poi (volgarmente, con l’invenzione di Dante “padre della lingua italiana”, dell’Umanesimo, ecc…), riabilitando in qualche modo aedi, menestrelli, guitti, stornellatori e improvvisatori (con particolare riferimento ad un amico che recita poesie cambiando le parole, ma non il senso più di tanto)… per poi passare alla critica della “natura” come forma persistente di “cultura”… Di conseguenza si era giunti a mettere in crisi le differenze sessuali e di genere… scritte comunque da prassi viventi (e morenti, anche dal punto di vista cellulare, se non molecolare…) di milioni, se non miliardi, di anni…
(Con)siderazioni sulla “guerra civile” e la “guerra chimica”
SQUADRE DI DEMOLIZIONE
Le città (come Damasco ora o Sarajevo in passato) in cui si svolge quello che chiamano “guerra civile” sembrano un immenso cantiere con squadre di demolizione che pianificano il loro lavoro. Le esplosioni non sono mai ovunque, ma solo dove serve. E’ guerra di condomini, di cittadini che insistono a voler essere cittadini, misti a operai demolitori sul campo (comunque contractors, anche se si tratta di eserciti nazionali…) molto poco raccomandabili… messi apposta per convincere i pervicaci cittadini a mollare, ad andarsene, a cedere quel pezzetto di proprietà privata che avevano prima. Una volta finito il lavoro si farà una tregua più o meno duratura, si sminerà e si ricostruirà… per questo si fanno gli edifici in cemento armato. Il metallo si può riciclare, il cemento si sgretola in nubi di polvere. E’ un materiale fatto apposta per essere distrutto e rimpiazzato… Basta un bulldozer e via… altre colate, altre merci, ricchi premi e cotillons… speranze, sorrisi, bambini… e poi ancora booooom, badabang, ratatatatatatata…
Quel che voglio dire è che la “guerra civile” non è una cosa così diversa da quello che succede in qualsiasi città. A Damasco si usano solo metodi più sbrigativi. E’ una questione di urgenza, di fretta dei costruttori di cose che per essere costruite devono necessariamente distruggerne altre, persone comprese. Qua ce la si prende con più calma. Ma anche qui ci sono case e persone distrutte, tendenti al crollo. Basta osservare meglio gli sguardi e le crepe… Qui prevale il perfido porfido. Nero come le carogne. Buono per le sassaiole. In fondo siamo sopra al Vulcano Laziale…
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INTERCETTAZIONI TELEFONICHE
Uno statunitense parla con un italiano.
– Cioè, forse non avete capito… La guerra in Iraq è finita da tempo, in Libia è durata troppo poco ed è stata solo di aria, per quanto ci riguarda… Nel frattempo abbiamo costruito armi di tutti i tipi… se non svuotiamo i magazzini, prima o poi la nostra industria bellica si ferma, il PIL cala… Se non possiamo bombardare la Siria, dobbiamo bombardare qualcos’altro… Siamo parte essenziale del processo… Se fermate la distruzione, potete scordarvi la “crescita”…
– Potreste bombardarvi da soli, ma prima occorre una apposita riforma strutturale di qualche emendamento… Anzi, visto che ci siamo, facciamo prima noi questo esperimento… cambiamo qualche articolo della costituzione… aggiungiamo qualche leggina… e poi fanculo Isernia!
– Eh, sì… senza contare che è pure pericoloso avere gli arsenali pieni… Da qualche parte tocca svuotarli… Vediamo il lato positivo: sarà una festa di luci!… illumineremo la notte a giorno!…
– Ahahahahah! Voi sì che siete “illuministi”!
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“GUERRA GIUSTA” AD USO INTERNO
Del resto anche a noi ci gasano con i pesticidi, gli inceneritori, le raffinerie, le acciaierie, le cokerie, ecc… è solo un processo un po’ più lento e omeopatico.
L’ONU, per (sua) logica, dovrebbe dare il via libera per una “missione di pace” contro l’ILVA di Riva o cose così… (violato l’ultimo confine, quello della differenza tra fronte interno ed esterno, come si può leggere tra le righe di un famoso discorso di un noto Nobel per la Pace alla riscossione del premio, questo dovrebbe accadere…).
Ah… e i gas di scarico dei veicoli a motore, il fumo delle sigarette?… sono la forma più decentralizzata di guerra chimica.
Forse c’è una “verità” più semplice: ci odiamo e vogliamo morire.
(…Questo accanto e dentro “ci amiamo e vogliamo vivere”).
L’ANTI-EDIPO E LA PULSIONE DI MORTE
“La questione per chi non crede in Dio sta nell’obbedire alla propria coscienza”.
(Papa Francesco I)
(Ovviamente non sono d’accordo con la questione di coscienza punibile, risentita e cristiana che vorrebbe universalmente porre il Papa…).
Secondo Deleuze e Guattari (ne l’Anti-Edipo, paragrafo: La rappresentazione barbarica o imperiale, che cito qui, in esergo, e continuo qui sotto, dopo i versi e i gatti intorno al buco…) era una “macchina dispotica” interiorizzata, una macchina repressiva a rendere violente (risentite perché rimosse-represse) le macchine desideranti… dal momento che egli tendeva a neutralizzare in un ipotetico corpo pieno del Desiderio la “pulsione di morte” (connotandola appunto come un effetto della vendetta del despota che imponeva i suoi codici linguistici, la sua surcodifica dei corpi, triangolava con madre e sorella contro qualsiasi manifestazione di risentimento… o come un effetto della triangolazione edipica successiva che triangolava con mamma-papà, in pieno ressentiment cristiano)… Non mi sembra affatto così. Non è solo una questione di despoti o di edipi accecati, castrati… è proprio che non si gode senza morte. Non c’è niente di pieno né sul versante del piacere, né su quello del dolore. Vivere e morire, memorizzare e dimenticare, sono processi simultanei… anche senza quell’eccesso surcodificante, dispotico e repressivo di cui Deleuze scrive. La pulsione di morte, a mio avviso, non è questione di “latenza” (di colpi a vuoto, di rimozione e repressione)… è ben scandita e modulata… è nel ritmo che ci attraversa, che solca anche gli orgasmi. Si gode a reprimere, si gode a rimuovere, si gode a liberarsi, si gode ad uccidere, si gode comunque… modulando le pulsazioni velocemente o ritenendole… accumulandole il più possibile, nel caso dell’economia capitalista, per accentrare potere e accrescere il potenziale (di riserva e sperpero)… gestendo i flussi sia nella distruzione che nella prosperità, a valle come a monte… evitando come la peste l’equilibrio, il pareggio, il Grande Zero centrale (sogno riconciliante, immobilizzante e concentrazionario di marxisti e fourieristi, per Lyotard… ma anche dio nascosto ebraico, motore immobile aristotelico, ecc…), il buco nero da cui fuggono tutti i simulacri e tutti i discorsi, compreso questo, come accade tra i bracci di una vertigine galattica.
Tendimi la mano
e facciamo surf
sull’onda cosmica.
Il centro non tiene,
il centro non c’è.
Restiamo qui, sospesi
a modulare i campi,
da bravi hortolani.
Con il grassetto sottolineo i temi chiave, con il rosso i punti di divergenza con quel che penso.
La legge non comincia con l’essere ciò che diverrà o pretenderà di diventare più tardi: una garanzia contro il dispotismo, un principio immanente che riunisce le parti in un tutto, che fa di questo tutto l’oggetto d’una conoscenza e di una volontà generali, le cui sanzioni non fanno che derivare per giudizio e applicazioni sulle parti ribelli. […] La legge non fa conoscere nulla e non ha oggetto conoscibile, il verdetto non preesistendo alla sanzione, e l’enunciato della legge non preesistendo al verdetto. L’ordalia presenta questi due caratteri allo stato puro. […] E’ la sanzione a scrivere e il verdetto e la regola. Il corpo ha un bell’essersi liberato dal grafismo che gli era proprio nel sistema della connotazione; esso diventa ora la pietra e la carta, la tavola e la moneta su cui la nuova scrittura può segnare le sue figure, il suo fonetismo, il suo alfabeto. Surcodificare, questa è l’essenza della legge e l’origine dei nuovi dolori del corpo. Il castigo ha cessato di essere una festa, donde l’occhio trae un plusvalore nel triangolo magico di alleanza e filiazione. Il castigo diventa una vendetta, vendetta della voce, della mano e dell’occhio ora riuniti nel despota, vendetta della nuova alleanza. […]
Vendetta, e come vendetta che si esercita in anticipo, la legge barbarica imperiale schiaccia tutto il gioco primitivo dell’azione, dell’agito e della reazione. Occorre ora che la passività diventi la virtù dei soggetti attaccati al corpo dispotico. Come dice Nietzsche, quando appunto mostra come il castigo diventi una vendetta nelle formazioni imperiali, bisogna che “una prodigiosa quantità di libertà sia scomparsa dal mondo, o almeno scomparsa agli occhi di tutti, costretta a passare allo stato latente, sotto l’urto dei loro colpi di martello, della loro tirannia d’artisti…”. Si produce un’esaustione dell’istinto di morte, che cessa di essere codificato nel gioco di azioni e di reazioni selvagge ove il fatalismo era ancora qualcosa di agito, per diventare il cupo agente della surcodificazione, l’oggetto staccato che plana su qualcuno, come se la macchina sociale si fosse sganciata dalle macchine desideranti: morte, desiderio del desiderio del despota, latenza iscritta nel profondo dell’apparato di Stato. Piuttosto che un solo organo si svincoli da quest’apparato, o scivoli fuori dal corpo dispotico, non ci saranno sopravvissuti. In realtà, non c’è più altra necessità (altro fatum) tranne quello del significante nei suoi rapporti con il significato: tale è il regime del terrore. Quel che si suppone la legge significhi, non lo si conoscerà che più tardi, quando si sarà sviluppata ed avrà assunto la nuova figura che sembra opporla al dispotismo. Ma, sin dall’inizio, essa esprime l’imperialismo del significante che produce i suoi significati come effetti tanto più efficaci e necessari in quanto si sottraggono alla conoscenza e devono tutto alla loro causa eminente. […] Ma tutto questo, lo sviluppo del significato democratico o l’avvolgimento del significante dispotico, fa tuttavia parte della questione, ora aperta ora sbarrata, identica astrazione continuata, o macchinario di rimozione che ci allontana sempre dalle macchine desideranti. Non è mai esistito che un solo Stato. A cosa serve? sfuma sempre più, e scompare nelle brume del pessimismo, del nichilismo, Nada, Nada! […] L’istinto di morte è, nello Stato, ancor più profondo di quanto non si credesse, e che la latenza non solo travaglia i soggetti, ma è all’opera nei congegni più elevati. La vendetta diventa quella dei soggetti contro il despota. Nel sistema di latenza del terrore, ciò che non è più attivo, agito o reagito, “ciò che è reso latente dalla forza, rinserrato, rimosso, rientrato all’interno”, è ora risentito: l’eterno risentimento dei soggetti risponde all’eterna vendetta dei despoti. […]
Hanno fatto passare tutto allo stato latente, i fondatori di imperi; hanno inventato la vendetta e suscitato il risentimento, questa controvendetta. E tuttavia Nietzsche dice ancora di loro quel che diceva già del sistema primitivo: non è presso di loro che la “cattiva coscienza” – intendiamo Edipo – ha attecchito e si è messa a spuntare, l’orribile pianta. Solo, è stato fatto un passo in più in questo senso: Edipo, la cattiva coscienza, l’interiorità, essi li ha resi possibili… […] E’ certo la storia del desiderio e la sua storia sessuale (non ce ne sono altre). Ma tutti i pezzi qui funzionano come congegni dello Stato. Il desiderio non opera certo tra un figlio, una madre e un padre. Il desiderio procede ad un investimento libidinale di una macchina di Stato, che surcodifica le macchine territoriali, e, con un giro di vite supplementare, rimuove le macchine desideranti. L’incesto deriva da questo investimento, non il contrario, e non mette in gioco dapprima che il despota, la sorella e la madre: è lui la rappresentazione surcodificante e rimovente. Il padre non interviene che come rappresentante della vecchia macchina territoriale, ma è la sorella il rappresentante della nuova alleanza, e la madre il rappresentante della filiazione diretta. Padre e figlio non sono ancora nati. Tutta la sessualità è in gioco tra macchine, lotta tra esse, sovrapposizione, muratura. Stupiamoci una volta di più della narrazione portata da Freud. In Mosé e il monoteismo, egli avverte certo che la latenza è affare di Stato. Ma allora essa non deve succedere al “complesso di Edipo”, segnare la rimozione del complesso o addirittura la sua successione. Essa deve risultare dall’azione rimovente della rappresentazione incestuosa che non è per nulla ancora un complesso come desiderio rimosso, perché al contrario essa esercita la sua azione di rimozione sul desiderio stesso. Il complesso di Edipo, come lo chiama la psicanalisi, nascerà dalla latenza, dopo la latenza, e significa il ritorno del rimosso nelle condizioni che sfigurano, spostano ed anzi decodificano il desiderio. Il complesso di Edipo non appare se non dopo la latenza; e quando Freud riconosce due tempi da essa separati, solo il secondo merita il nome di complesso, mentre il primo non ne esprime che i pezzi e i congegni che funzionano da un tutt’altro punto di vista, in tutt’altra organizzazione. E’ questa la mania della psicanalisi con tutti i suoi paralogismi: presentare come risoluzione o tentativo di risoluzione del complesso ciò che ne è l’instaurazione definitiva o l’installazione interiore, e presentare come complesso ciò che ne è ancora il contrario. Cosa occorrerà infatti perché l’Edipo diventi l’Edipo, il complesso di Edipo? Molte cose in verità, quelle stesse che Nietzsche ha parzialmente presentito nell’evoluzione del debito infinito.
Bisognerà che la cellula edipica termini la sua migrazione, che non si acconsenta a passare dallo stato di rappresentazione spostato allo stato di rappresentazione rimovente, ma che, da rappresentazione rimovente, diventi infine il rappresentante del desiderio stesso. E che lo diventi a titolo di rappresentante spostato. Bisognerà che il debito diventi non solo debito infinito, ma che come debito infinito venga interiorizzato e spiritualizzato (il cristianesimo e quel che segue). Bisognerà che si formino padre e figlio, cioè che la triade regale si “mascolinizzi”, come conseguenza del debito infinito ora interiorizzato [n.d.a. Gli storici della religione e gli psicanalisti conoscono bene questo problema della mascolinizzazione della triade imperiale, in funzione del rapporto padre-figlio che vi è introdotto. Nietzsche vi intravede a ragione un momento essenziale nello sviluppo del debito infinito: “Questo alleviamento che fu il colpo di genio del cristianesimo… Dio che paga a se stesso, Dio che riesce da solo a liberare l’uomo da ciò che per l’uomo stesso è diventato irremissibile, il creditore che si offre per il suo debitore per amore (chi lo crederebbe), per amore per il suo debitore!” (Genealogia della morale, II, § 21)]. Bisognerà che Edipo-despota sia sostituito da Edipi-soggetti, da Edipi-padri e da Edipi-figli. Bisognerà che tutte le operazioni formali siano riprese in un campo sociale decodificato e risuonino nell’elemento puro e privato dell’interiorità, della riproduzione interiore. Bisognerà che l’apparato repressione-rimozione subisca una riorganizzazione completa. Bisognerà dunque che il desiderio, finita la sua migrazione, faccia l’esperienza di questa estrema miseria: essere rivolto contro di sé, il rivolgimento contro di sé, la cattiva coscienza, la colpevolezza, che lo aggrega tanto al campo sociale più decodificato quanto all’interiorità più morbosa, la trappola del desiderio, la sua pianta velenosa. Finché la storia del desiderio non sperimenta questa fine, Edipo assilla tutte le società, ma come l’incubo di ciò che non è ancora capitato loro – l’ora non è ancora venuta”.
Hai letto? Beh… dimenticalo.
Anzi, ricordati anche di quest’altro passo (più condivisibile, sempre dall’Anti-Edipo), prima di dimenticare già quando riprende a parlare della staffetta comico-“futuristica” (patafisica come nella corsa dei ciclisti morti ne “Il Supermaschio” di Jarry) tra macchine desideranti (grassetti e link sono miei):
Il corpo senza organi è il modello della morte. Come han ben capito gli autori della letteratura del terrore, non è la morte a servire da modello alla catatonia, ma la schizofrenia catatonica a fornire il proprio modello alla morte. Intensità-zero. Il modello della morte appare quando il corpo senza organi respinge e depone gli organi – niente bocca, naso, denti… fino all’automutilazione, fino al suicidio. E tuttavia non c’è opposizione reale tra il corpo senza organi e gli organi in quanto oggetti parziali; la sola opposizione reale riguarda l’organismo molare che rappresenta il loro comune nemico. Si vede, nella macchina desiderante, lo stesso catatonico ispirato dal motore immobile che lo forza a deporre i suoi organi, ad immobilizzarli, a farli tacere, ma anche, spinto dai pezzi lavorativi che funzionano allora in modo autonomo e stereotipo, a riattivarli, a insufflare in essi movimenti locali. Si tratta di pezzi diversi della macchina, diversi e coesistenti, diversi nella loro stessa coesistenza. È perciò assurdo parlare di un desiderio di morte che si opporrebbe qualitativamente ai desideri di vita. La morte non è desiderata, c’è solo la morte che desidera, a titolo di corpo senza organi o di motore immobile, e c’è anche la vita che desidera, a titolo di organi di lavoro. Non si tratta qui di due desideri, ma di due pezzi, di due sorte di pezzi della macchina desiderante, nella dispersione della macchina stessa. Tuttavia, il problema sussiste: come possono funzionare insieme? Non si tratta ancora di un funzionamento, ma solo della condizione (non strutturale) d’un funzionamento molecolare. Il funzionamento appare quando il motore, nelle condizioni precedenti, cioè senza cessare di essere immobile e senza formare un organismo, attira gli organi sul corpo senza organi, e glieli attribuisce nel movimento oggettivo apparente. La repulsione è la condizione di funzionamento della macchina, ma l’attrazione è il funzionamento stesso. Che il funzionamento dipenda dalla condizione, risulta evidente per il fatto stesso che tutto questo non funziona se non guastandosi. Si può dire allora in cosa consistano questo andamento o questo funzionamento: si tratta, nel ciclo della macchina desiderante, di tradurre costantemente, di convertire costantemente il modello della morte in qualcosa di assolutamente diverso, l’esperienza della morte. Di convertire la morte che sale dal didentro (nel corpo senza organi) in morte che arriva dal difuori (sul corpo senza organi).
Ma sembra che l’oscurità si infittisca: cos’è infatti l’esperienza della morte, distinta dal modello? Si tratta ancora di un desiderio di morte? Di un essere per la morte? Oppure di un investimento della morte, magari speculativo? Niente di tutto questo. L’esperienza della morte è la cosa più consueta dell’inconscio, appunto perché ha luogo nella vita e per la vita, in ogni passaggio o in ogni divenire, in ogni intensità come passaggio e divenire. È caratteristico di ogni intensità investire in un attimo in se stessa l’intensità — zero a partire da cui è prodotta come ciò che cresce o diminuisce in un’infinità di gradi (come diceva Klossowski, «un afflusso è necessario solo per significare l’assenza di intensità»). Abbiamo cercato di mostrare, in questo senso, come i rapporti di attrazione e di repulsione producano stati, sensazioni, emozioni tali che implicano una nuova conversione energetica e formano il terzo tipo di sintesi, le sintesi di congiunzione. Si direbbe che l’inconscio come soggetto reale abbia fatto sciamare su tutto il contorno del suo ciclo un soggetto apparente, residuale e nomade, che passa attraverso tutti i divenire corrispondenti alle disgiunzioni incluse: ultimo pezzo della macchina desiderante, pezzo adiacente. Sono questi divenire e questi sentimenti intensi, queste emozioni intensive ad alimentare deliri e allucinazioni. Ma, in se stesse, esse sono quel che più si accosta alla materia di cui investono in sé il grado zero. Sono esse a condurre l’esperienza inconscia della morte, in quanto la morte è ciò che è sentito in ogni sentimento, ciò che non cessa e non finisce di succedere in ogni divenire — nel divenire-altro sesso, nel divenire-dio, nel divenire-razza, ecc., formando le zone d’intensità sul corpo senza organi. Ogni intensità affronta nella sua propria vita l’esperienza della morte, la avvolge, e certamente, alla fine, si spegne; ogni divenire diventa esso stesso un diveniremorto! Allora la morte giunge effettivamente. Blanchot distingue bene questo duplice carattere, questi due aspetti irriducibili della morte, l’uno nel quale il soggetto apparente non cessa di vivere e di viaggiare come Si, «non si cessa e non si finisce mai di morire», l’altro in cui lo stesso soggetto, fissato come Io, muore effettivamente, cioè cessa alla fine di morire poiché finisce col morire, nella realtà d’un ultimo istante che lo fissa cosi come Io disfacendo l’intensità, riconducendola allo zero ch’essa avvolge. Da un aspetto all’altro non c’è affatto approfondimento personologico, ma tutt’altro: c’è ritorno dell’esperienza di morte al modello della morte, nel ciclo delle macchine desideranti. Il ciclo è chiuso. Per una nuova partenza, poiché Io è un altro. Bisogna che l’esperienza della morte ci abbia appunto dato abbastanza esperienza allargata, perché si viva e si sappia che le macchine desideranti non muoiono. E che il soggetto come pezzo adiacente è sempre un «si» che conduce l’esperienza, non un Io che riceve il modello. Il modello stesso infatti non è maggiormente l’io, bensì il corpo senza organi. E Io non raggiunge il modello senza che il modello, di nuovo, riparta verso l’esperienza. Andare sempre dal modello all’esperienza e ripartire, ritornare dal modello all’esperienza: schizofrenizzare la morte, è questo l’esercizio delle macchine desideranti (il loro segreto, ben compreso dagli autori del terrore). Le macchine ci dicono questo, e ce lo fanno vivere, sentire, più profondamente del delirio e più lontano dell’allucinazione: sì, il ritorno alla repulsione condizionerà altre attrazioni, altri funzionamenti, l’avvio di altri pezzi lavorativi sul corpo senza organi, la messa in opera d’altri pezzi adiacenti al contorno, che hanno altrettanto diritto di dire Si quanto noi stessi. «Crepi nel suo balzo per mano di cose inaudite e innominabili; altri orribili lavoratori verranno; e cominceranno dagli orizzonti ove l’altro si è accasciato». L’eterno ritorno come esperienza, e circuito deterritorializzato di tutti i cicli del desiderio.
A proposito di french & italian theory
Nei contenitori approssimativi di “french theory” e “italian theory” quello che non va è sia la determinazione nazionale (“french” o “italian”, comunque declinata all’angloamericana, vista cioè da quell’angolazione) che la “theory”, la processione, la passerella, la sfilata di pensieri… belle analisi (e neanche tanto) ma (che rendono) incapaci di una costruzione pratica (o, più semplicemente, di una prassi qualsiasi) che abbia un senso indipendente dal sistema vigente (che nutre e si serve sapientemente e ferocemente anche del pensiero opposto ai propri interessi… compreso quello della french o italian theory). Io ammiro invece la capacità degli “americani” di pensare e progettare strategicamente la complessità… (guarda un po’ che ti dico!…). Non mi piacciono chiaramente le premesse “cristiane” di quella strategia totalitaria da “glory, glory, hallelujah” (che ingloba la violenza del sacrificio, in ogni aspetto della vita e della visione del mondo), ma non si può non fare chapeau di fronte ad una simile tremenda efficacia… Loro ci insegnano che non è possibile trascurare nessun aspetto… che non ci si può limitare all’economia o all’ideologia… infatti hanno costruito per ogni disposizione umana un dispositivo… che, in ciascun caso, riconferma e generalizza la santità della proprietà, della violenza individuale ed universale… anche contro l’identità e i suoi software collaterali (Amore, Libertà, ecc… che i “soci” devono continuare ad avvertire come “naturali” e come le sole cose che contano…). Il “figlio di puttana” (“rovinare i propri amici è la regola numero uno”) non ha ideologia… crea (e detta) le condizioni perché vi sia quella che più gioca a suo favore… costruisce contenitori di contenitori (es.: navi, treni, ecc… con container… ma anche scuole, con classi, con libri, con studenti che diventano figli quando sono nel contenitore-famiglia, ecc… e finanziamenti, database, centrali energetiche, che inscrivono il tutto… questa totalità dall’esistenza probabile fatta statisticamente, equivalentemente e generalmente di bei rapporti sociali tra individui che si vendono, si alleano, si succedono e si replicano, al di qua di un filo spinato e con le armi del loro o dell’altrui fortino perennemente puntate contro… anche se si fa finta di niente, per non farsi troppo ribrezzo). Mai ci fu un padrone più servo o un servo più padrone. E, a cascata o per contagio, in quanto più o meno consapevolmente assediati o in ostaggio, lo siamo diventati un po’ tutti…
PS: Un erede di quella bizzarra scuola (mi riferisco alla french…), come l’equilibrista e clownesco (“universalista”, pseudo-hegeliano, leninista!…) Žižek provò a spingere l’idea degli “organi senza corpo (OsC)” in polemica con certe stagnazioni dello schizofrenico ed artaudiano “corpo senza organi (CsO)”, divenuto una delle figure predilette dal duo Deleuze-Guattari, che vi avevano montato su nientemeno che macchine desideranti!… A dispetto di certi amanti del corpo pieno, continuo a preferire quell’impensabile aborto concettuale freudiano che fu la pulsione di morte (con il Lyotard della “circonversione” e la Kristeva del “soggetto zerologico”) e le sue vitalissime pulsazioni ritmiche, le sue forme insensate quanto apollinee, “barocche”, il -getto, il futuro, ecc… la relazione che spezzetta, divide i sog-getti senza individuarli… di-vergente, di-vertente, munista, de-capitalizzata, de-centralizzata, ecc… (le cose, tra l’altro, sarebbero molto più semplici di quanto sembrino a parole… ma va bene così, per ora…).
L’a-linguistica
«Le langage est fait de lalangue; c’est une élucubration de savoir sur la langue»
Per porre un argine alla sovrapproduzione di segni, alla semiosi infinita, ecco, sulla falsa riga delle teorie di De Saussure, una nuova ipotesi di non-segno: l’in-significante fratto l‘in-significato (in questo caso, la funzione divisiva della barra si perde… salta l’in dell’in/dividuo al numeratore… liberando – o, viceversa, trattenendo, compattando – quelle possibilità, quelle tensioni, irriducibili alla funzione segnica… in una sorta di catatonia espressiva…).
(Da quale abisso o zero assoluto mai potrebbe emergere questo “senso”, questa gravità negativa, questa re-pulsione dell’essere, questa freccia, questo -getto?).
Solo l’in-significabile non-segno potrebbe cingere d’assedio e stanare le Strutture e le Funzioni (rispetto alle quali si definisce un segno)… ciò che appare insensato di per sé non basta… è infatti relegato alla religione, all’arte, alla magia, alla poesia… tutta robaccia sbavante, assolutamente organica… (ancora materna?… che fa lingua in bocca ad una lingua madre?).
comme encastré dans la terre mère,
désencastré de l’étreinte immonde de la mère
qui bave
Le relazioni in-significabili contro il rapporto significante/significato.
– Ma che cazzo significa?
– Qui non c’è un “cazzo“, infatti, che significa…
L’a-linguistica (l’a-lingua non è “lalingua” di Lacan) libera il senso del non-segno.
(Artaud parlava di un corpo senza organi).
L’inorganico (*) si muove… “parla”.
Municare invece di co-municare.
(*) …non il “referente”, in quanto non riferisce proprio niente alla polizia del segno… (niente banconote segnate, né alcuna firma) è una piega che non si s-piega… un labirinto che si invagina, si apre e si chiude, prima che qualcosa si muova, pensi o parli.
PS: Con l’a-linguistica si allunga la serie delle scienze e delle ideologie da me inventate o abbozzate (che molto probabilmente mai si studieranno in un’uni-versità… essendo più che altro di-versioni, di-vertimenti…): psicanalogica, munismo, dividualismo, de-capitalismo, ecc…
Valeriomelìa
E insomma, a scanso di equivoci, affermiamolo in modo definitivo:
– Non siamo “persone”…
– Non esiste un’anima individuale o indivisibile (non esiste un anima, punto)… animelle? No, forse non ci siamo s-piegati…
– Non c’è differenza, barra di-visiva, significante, tra movimenti animali e moti dell’anima, ma continuità, come su un nastro di Moebius… ci si dividua e, solo dopo che ci si è piegati, ci si s-piega, ci si individua…
– Come in ogni labirinto (anche impossibile, mutevole), è il percorso che fa la conoscenza, non la conoscenza che fa il percorso.
– Capito coglione di un Teseo? al centro non c’è nessuna Bestia Mugghiante da uccidere… Hai perso il filo di Arianna, il filo della spada di castra-tori, il filo del desiderio e del discorso tutto insieme? Tu sei il labirinto che si piega e si s-piega, si apre e si chiude… continuamente. Tu sei un campo di battaglia.
– Che stavamo dicendo?
[…]
– Lo diciamo una volta per tutte: non c’è niente di amorevole o razionale che tiene in vita l’universo… Amore, Ragione, Vita e Universo sono le più abusate e patetiche illusioni… tutte varianti, come anche l’Unità, la Totalità, della più grande delle menzogne, della Verità… Si fa di tutto per mantenere in vita artificialmente i rimasugli di umanesimo e antropomorfismo degli indivisibili individui spacciatori di religioni e dei seminatori di culture o colture infestanti… Siamo uno scherzo della natura, ripiegato, invaginato, annodato in uno degli infiniti eventi locali senza leggi assolute, un gioco miserabile, comunque di-vertente, che molti si ostinano a prendere per incontrovertibile, totale, unico, circondandolo di gendarmi e difendendolo fino alla morte… contro “se stesso”!…
Modello Troia | è sempre e solo stata una guerra d’assedio
«Una città assediata, isolata dal proprio contado e da tutte le sue fonti di sostentamento, correva il rischio di esaurire in poco tempo tutte le proprie risorse alimentari. In queste condizioni, non era possibile provvedere a sfamare anche tutti coloro che non erano combattenti o che non svolgevano un ruolo attivo nella resistenza all’assedio. Non rimaneva altra scelta che espellere le cosiddette “bocche inutili” dalla città».
(dalla voce “Assedio” della Wikipedia)
«And if you don’t co-operate
we’ll cut off your supply lines.
But you’ll be free to re-connect
if you beg our forgiveness».
(da “Left on man” di Robert Wyatt)
Ieri si ragionava su come, semplificando, non sia cambiato molto dai tempi delle guerre d’assedio… si sono solo complicate fino all’inverosimile (fino a forme di guerra frattale…). Tutto si può sintetizzare nell’accaparramento di risorse da sottrarre al nemico (o piuttosto al competitor1…) direttamente o indirettamente (con la mediazione monetaria). In questa prospettiva, dopo l’era dell’oro, siamo nella transizione tra un’era del petrolio2 e un’era del gas. Ere comunque tutte compresenti, essendoci quotazioni per ogni commodity… Qualche variabile più decentralizzata di risorsa energetica viene proposta qua e là (energia eolica, solare… la finora mai riuscita fusione fredda), ma risulta ancora insufficiente (o neutralizzata nel suo potenziale decentralizzato dalla forma totalitaria della “rete”… con centrali di snodo) e tale risulterà ancora per molto fino a che i ricercatori saranno organici al modo di produzione imperante.
Le astrazioni più insulse (come le distinzioni degli evi in antico, medio, moderno, postmoderno, post-postmoderno, ecc… cui tanto ci si riferisce) nascondono la brutalità e la primitiva violenza dell’aggressione sempre incombente ad ogni falso passo o tentativo di fuga… Qualsiasi bolla finanziaria (ovvero la “produzione” di denaro dal denaro in un quantitativo molto maggiore di quello valorizzabile) opera allo stesso modo, come superficie culturale (“pellicola” lyotardiana), nel magico mondo semiocratico… sotto sotto c’è sempre un’aggressione ferina, la fame mostruosa e inspiegabile del predatore (non c’è Smithsonian Agreement senza gli accordi di Camp David…). Certamente smontare la domanda di petrolio e gas (in caso di declino considerevole) costituirebbe un colpo duro per la suddetta Bestia Macchinica… Subentrerebbero comunque le curiose forme delle energie “alternative”, che appunto sono un’alternanza dello stesso Dominio, non ne costituiscono affatto la detronizzazione.
(C’è dunque poco da essere “ambientalisti” o “pacifisti”… viviamo in mondo di merda… – altro che “migliore dei mondi possibili” – in cui l'”essenziale” è invisibile ai più… enormi e invisibili Predator, apparentemente alieni, si aggirano tra le forme metropolitane, tra le sequenze dei flussi economici… assediando gli in-dividuabili individui, in ogni aspetto della riproducibilità tecnica della loro esistenza, ricattandoli con le bollette, gli affitti, i mutui, il lavoro in cambio di denaro, ecc… rendendoli ostaggi o prigionieri di una guerra d’assedio senza fine, a bassa o alta intensità).
Probabilmente anche quel che scrivo è sotto assedio… non vedreste più nulla qualora dovessero tagliare la corrente e la provvidenza dell’internet provider… o revocare la concessione del diritto di parola…
La mia “coscienza” stessa, come voce prevalente, è sotto assedio di tutte le altre voci… Basterebbe in teoria dissolvere la necessità del proprio e della proprietà (dell’identità… in-dividuale e indivisibile, chiusa…) per non rischiare da un lato la paranoia e dall’altro la schizofrenia… Come ho scritto altrove, è il movimento periferico (dendritico o della nostra esplorazione sensoriale) che precede la coscienza… o, meglio, la tensione, l’in-tenzione, che ci garantisce una stabilità provvisoria, guizzante… -gettiva…
1 sempre più coincidente, oscuramente, con qualcosa di interno a noi stessi (da cui il richiamo al leggendario cavallo di Troia) o all’interno dei “nostri” computer, quando assume la forma ormai familiare dei virus trojan.
2 quella dei cosiddetti petroldollari, una volta svincolato, semiologicamente, il referente “oro” dal segno “$”… rendendo quest’ultimo un simulacro libero di fluttuare nel fantastico mondo, quasi del tutto feticizzato dal dominio reale, della simulazione della produzione, della scomparsa della “realtà”…
Incendio all’Anagrafe centrale | Al di là dell’Uno, del Nome e dell’Universale
avesse chiamato ogni essere vivente,
quello doveva essere il suo nome”.
(Gen 1:21)
(da un manoscritto perduto di Valerio Mele)

Ci pensi?
Niente tasse, contratti, multe, debiti, bollette…
Sì, insomma… questi governano su dei dati non su delle persone. Nascita, stato civile, morte… A questi dati base si aggiunge poi il parassitismo delle varie amministrazioni. Che chiederanno vendetta della tua vita, facendoti pagare ad ogni pie’ sospinto e con ogni mezzo a loro disposizione.
Dicono che la vita animale sia nata da piccoli organismi periferici che brancolavano incerti nei pressi del nulcleo delle cellule delle piante… Come parassiti parvenu, che volevano cambiare status. Si sono accasati, scambiando, derubando e replicando catene di proteine e amminoacidi… Da lì in poi, questi funghi malriusciti hanno cominciato a strisciare, nuotare, volare… Continuiamo ad ospitarli… Noi siamo questa colonia di cellule ostinate che aggrediscono batteri, larve e virus fino al giorno in cui questi prenderanno il sopravvento e prolifereranno senza più ostacoli… Come si fa a chiedere un documento di riconoscimento per questa bizzarra colonia vagante?
…E visto che con le buone recalcitriamo a secernere soldi, ce li spremono considerandoci del materiale biologico su cui fare esperimenti per poi venderci i loro portentosi rimedi farmaceutici…
Sconosciuti alla legge, alla scienza e a tutti i profittatori… mica male. Niente popolo, niente gente, niente più sondaggi. Tutti a spasso senza diritti e doveri… ignoti viventi. Uno diverso dall’altro e senza più un’identità.
Ah, ovviamente anche i database di tutti i conti correnti e di tutte le transazioni finanziarie dovrebbero incenerirsi… così tanto per completare il quadro di questa falsa notizia…