Solstizio d’inverno e teofobia
“Tutto dipende da dove vuoi andare” (lo Stregatto)
Il sole in realtà se ne fotte di trovarsi nel punto più basso dell’8 che disegna il suo zenith nel corso dell’anno… continua a viaggiare velocissimo nel vortice galattico che l’ha acceso, seguendo il moto turbolento e caotico delle stelle.
La galassia in realtà se ne fotte che il sole viaggi perduto nel moto turbolento e caotico delle sue stelle.
I buchi neri se ne fottono più di tutti… infatti triturano la materia visibile come farebbe un enorme macinino…
Se un dio unico e creatore di tutte le cose esistesse, se ne fotterebbe, anche più dei buchi neri, dei natali degli ebeti quaggiù. Giusto le loro morti, forse, spalancherebbero il suo sorrisone cosmico.
PS: Dato che siamo entrati nel segno del Capricorno, segno notoriamente saturnino, sono aperte le iscrizioni ai corsi di teofagia:
Per l’abolizione del valore legale delle firme
Ma come si fa a dar credito ad un sistema che crollerebbe miseramente dalle fondamenta, come un castello di carte, se non venisse riconosciuto il valore legale delle firme?

“Castello di carte” di Vito Giarrizzo
Collateralmente, insieme alle firme, per riprodurre e legittimare l’edificio cartaceo, proliferano processi di identificazione a volte lunghi e penosi per costruire gli individui, i “giochi” di ruolo (forse nomic ma non anomic) delle famiglie e in generale di ogni ambiente sociale… C’è sempre:
- un pubblico,
- un giudice (o un direttore, un presidente, un capo, ecc…),
- un attore (protagonista, comparsa o s-comparsa, poco importa, dipende dalla m.d.p.).
…ovunque si vada: in ufficio, al cinema, in Parlamento, in un processo, a scuola, in caserma, in carcere, in fabbrica, in un campo di concentramento, all’anagrafe, ecc…
In tutto ciò il desiderio (incanalato dalla lacaniana “mancanza ad essere” che comporterebbe ad ogni passo la firma di se stessi o del “Nome-del-Padre” per poter godere di qualunque cosa o relazione) sostiene la domanda/offerta di identità (certo, sulla base di un bi-sogno della forma data del vivente). Eppure non c’è niente di più campato in aria, aleatorio e fluttuante del de-siderio (che etimologicamente viene dal cielo… dal caos gassoso, dal disordine entropico che sorge brancolando nella periferia di ogni cosa o vivente).
Insomma, secondo me, si dovrebbe smetterla con la menzogna di essere qualcuno o qualcosa, di essere identificabili, identici a qualcosa o qualcuno, coincidere con se stessi.
Propongo di chiamarsi con una o più sequenze di note (es: C3-D4-F#4), anche variabili nel tempo. Chiamarsi con un fischio, con strumenti musicali o dispositivi audio, insomma. “Mettersi d’accordo” smetterebbe così di essere una metafora musicale… suonerebbe per davvero.
Per una teoria del di-vertimento e della di-versione
Tratto dalla terza capitolazione (“-getti”) del mio e-book “Come vivere senza essere in tre capitolazioni”.
il tutto sarebbe nulla se non ci fosse qualcosa
così qualcosa c’è
ed è “semplice” complessione
(“principio” del conflitto, nel tempo,
tra ordine energetico e disordine entropico),
ma nell’approssimarsi all’infinito
questo qualcosa si complica a dismisura
tendendo al suo limite,
l’impossibile tutto-niente…
dunque c’è sempre qualcosa
e non è mai la stessa
è di-versa (non: dif-ferente,
non com-porta nulla se non qualcosa):
è di-vertente
* * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * *
Ecco… più che di differenza, da contrapporre all’identità (come è andato di moda nella seconda parte del ‘900) si dovrebbe parlare di di-vertimento, di-versione… una cosa da una parte, una cosa dall’altra… non c’è nulla di pro-duttivo nella realtà, nulla da ducere, condurre, a favore di (“pro”) qualcuno… tutto alla fine diverge. In definitiva, “si muore” non è “si vive”… non c’è sintesi possibile…
Similmente “lavorare” dovrebbe mutarsi nel più vago “fare qualcosa” (che, oltre ad essere divertente e divergente, ha anche un senso di e-mergenza…), senza im-piego (del tempo, della vita, ecc…), senza di-visioni del lavoro, divise, ecc…
A rigore, più che di in/di-vidui (parti di un accordo che si affrontano de visu, per sezionarsi, recintarsi vicendevolmente, tenersi separati e a vista…) si dovrebbe parlare di viventi di-versi, di-vertenti…
Tutto il contrario di quel che si vede in giro…
La di-versione inoltre, non è un de-lirio, non esce da un solco (lat. “lira”) precedentemente scavato… è l’a-venire , l’a-ventura, di nuovi versi… di-vergenti dall’idea di unicità inscritta per esempio nei termini “individuo”, “uni-verso”, ecc…
Il di-vertimento è il principio del gioco (e il gioco del principio).
Laddove il giogo con-giunge due giunti, il gioco li dis-giunge, di-vertendoli, sottraendoli alla loro funzionalità sistemica, macchinica. In un certo senso, la pulsione di morte è di-vertente… ed è alla base della libido, della libertà di movimento e d’azione di qualcosa prima che vi sia una com-binazione, una con-giunzione, l’in-vista-di (l’individuazione di) un utilizzo, di una funzione… prima cioè che gli insiemi si inter-faccino in un sistema.
Un accordo di-vertente e di-vergente tra in/dividui.
Fermo immagine | Discontinuità
Fermo immagine.
Su di una panchina vicino al Colosseo, viale della Domus Aurea… Lei sdraiata con la testra poggiata sulle cosce di lui, che è seduto…
LEI – Ma cosa rimarrà di questo istante?…
IO – Quale istante?
LEI – Questo… Non lo possiamo fermare… A questo istante succede un altro istante e poi un altro…
IO – Beh… diciamo che è un’impressione… quella che il tempo scorra… noi ci siamo immersi… ma non è detto che un istante non sia “sospeso” tra presente-passato e futuro, tra ordine e caos entropico… e ogni istante non sia scomponibile… all’infinito… Si, ma in effetti il tempo scorre… e non possiamo farci niente…
LEI – Sì… e poi moriamo… E che senso ha tutto questo?
IO – Tutto questo cosa?
LEI – Tutto questo: il sole che ci scalda, la panchina, l’amore…
IO – Nessuno… C’è… Dà l’impressione che ci sia un senso, solo per il fatto che (probabilmente) ci siamo… siamo catturati in questa vibrazione più o meno armonica… Ci siamo ritrovati da questa parte… Ma il senso esiste solo in quanto vi è un non-senso… Te lo domandi quando sei viva… te lo domandi da sveglia… ma se dormi non ci sono più queste domande… Dunque quando ti poni queste domande, dormi…
Si appoggia con una guancia sulla mia coscia destra. Le scosto i capelli con la mano sinistra e le accarezzo la nuca, mentre il sole le illumina l’altra guancia… Si addormenta. Prima di cadere nel sonno mi stringe la mano per un istante. Poi quel che io vedo (il tizio che fa 太极拳, l’uomo seduto di fronte con gli occhiali da sole, i due che si riprendono a turno con una steady-cam dotata di braccio meccanico) lei non lo vede… Probabilmente neanche io.
Discontinuità.
Dopo quello che ho chiamato l’ultimo filosofo, dopo l’apertura decostruttiva (Derrida) o macchinica (Deleuze) del post-strutturalismo… dal piano della riflessione, si è passati alla realtà. Nelle fondamenta del mondo si aprono voragini, tutto quel che era crolla e va in frantumi… impossibile recuperarne il senso passato, impossibile costruirne uno futuro. Non possiamo percepire l’85% della materia (il fantasma fecale del nostro cosmo), siamo ciechi per 4 ore al giorno per via delle saccadi, ascoltiamo musica con 44.000 silenzi al secondo che non percepiamo, tra un atomo e l’altro vi sono spazi, campi, relativamente immensi, tra le stelle e le galassie vi è una dimensione spazio-temporale discontinua… granulare, a brane, a più dimensioni… abbiamo un genoma spazzatura che sta lì senza un perché (e questo solo perché non trasmetterebbe “informazioni”…), un chilo e mezzo di batteri nel nostro corpo, vediamo il flusso di immagini senza vedere i singoli fotogrammi, vediamo l’immagine sullo schermo senza vedere i pixel RGB.
In economia la valorizzazione che conta è in negativo… è il buco di bilancio a creare valore… buco che si è ormai diffuso (“spread”) ovunque… e ce l’hanno un po’ tutti (e questo alla lunga rende impossibile il capitalismo, che può perpetrarsi solo crinandosi in crisi, accumulando con ferocia o sopprimendo i creditori di volta in volta… Dunque compaiono buchi e distorsioni anche nel Diritto e nelle democrazie… nelle ideologie come nelle esistenze messe precariamente a lavoro… Ma la violenza è un lusso che è possibile fino a un certo punto…).
Infine, viviamo morendo progressivamente…
L’informatica sembra consacrare una cospirante assenza di spazi di ambiguità, obbedendo solo alla logica binaria di input/output (I/O) il nuovo soggetto monadico, computante e paranoico inventato da Leibniz, che magari Freud provò ad investire di (s)cariche libidiche, di giubilo di fronte al rocchetto che compare e scompare davanti agli occhi dell’infante (il gioco del fort-da, una specie di cucù-sèttete), ma che, dato il numero incredibile di ripetizioni di impulsi I/O che quella logica gestisce, per esempio, in un processore, è più un rumore disarmonico, il ron ron della macchina di cui delirava Antonin Artaud… quello che ci svuoterebbe appunto di quello che c’è in mezzo tra un sì e un no, tra un vivente e un morto… quello che continuiamo ad affermare contro Tutto, ad ogni passo, ad ogni impulso elettrico della nostra chimica (dis)organica… tra scosse, brividi, contrazioni, decontrazioni e fasci di nervi…
Insomma questa vita quantizzata, digitalizzata, discontinua è insopportabile. Spossessa continuamente di sé… ma in un modo che non è quello proprio della natura… Bataille avvertì che siamo accomunati intimamente dalla “continuità” (la “sozzura”, la morte, il sesso)… io non avverto niente di tutto ciò. Non ho niente in comune con niente e nessuno… mi percepisco come una discontinuità imprevedibile e radicale, priva di appartenenza… un vivente assolutamente contingente. “Sentirai di appartenere al tutto quando non sentirai più”, mi dicevo l’altro giorno alle 5 di notte, senza capire il senso di questa frase… Questo tutto di cui sarei parte dunque non esiste che a condizione di morire e non è conoscibile… Resto dunque una parte eccedente… schizzata fuori di -getto dal Tutto, che è infinitamente meno di quel che c’è ora, nei pressi, in questa stanza, tra le mie dita sulla tastiera illuminate da uno schermo a 60 Hz di refresh… prima di chiudere gli occhi come Shiva e far scomparire questo misero assoluto in un sonno incomunicabile… anche a “me stesso”, a questo nodo attorcigliato… in procinto di sciogliersi.
Buonanotte… zzzzzz.