Prima di parlar male dell’architettura, bisognerebbe fare un salto a Cori (immagino improbabili etimi greci… kore inteso come “fanciulla”… chora come “luogo”, “ricettacolo”), dove gli accostamenti più dissonanti coesistono con un’ignoranza attiva, distruttrice di “bellezza”, inscritta nelle sue pietre (in tutte le fogge) di epoche (non stratificate ma) compresenti in modo imprevedibile, tra anfratti, archi, cunicoli e rovine che incorniciano il nulla… o tra templi che minacciano venti, marosi o l’improvviso comparire al galoppo dei Dioscuri. Noi, dopo aver visto i loro simulacri sotto forma di colonne corinzie di 10 metri, ci siamo imbattuti, per associazione di idee equine, in un’isolata e misteriosa cacata di cavallo sul sagrato di una chiesa… Cori è la fine dell’architettura. Le persone sono pietre. Le pietre persone. La civiltà, coi suoi insediamenti umani, infastidisce la campagna ordinatissima che si stende a valle… Tutto il contrario di quella incolta e abusiva di Velletri… Tra le due cittadine, ad un certo punto, si stendono ettari di campagna senza tracce di civiltà… prati e filari d’alberi felicemente e silenziosamente incivili. E non per retorica antimoderna, ma proprio per odio verso chi accusa di rivolta antimoderna tutto ciò che non possiede quell’aura insopportabile di cultura (di colonizzazione) che tanto affascina la borghesia cittadina, gli hipster e i turisti in genere…
Noi (ce ne rendiamo conto un po’ alla volta) veniamo da lì e non volevamo Roma, non volevamo i Dioscuri, le fatiche di Ercole, le metamorfosi di Zeus… e non volevamo l’architettura di merda… Quelle pietre sono state messe lì ad arte per impedire la civiltà, non per edificarla o esserne i ruffiani. Forse anche per questo una piccola cappella sistina che non abbiamo potuto ammirare (nell’Oratorio della Santissima Annunziata), ai piedi di Cori, viene custodita da chi ci abita di fronte e da questi tenuta più chiusa che aperta…
Visitatori, noi vi spiamo, vi seguiamo, vi accompagniamo in visita alle pietre rupestri appena sbozzate che siete. Vi riduciamo ad imprevisti puzzle di dimensioni ciclopiche, vi facciamo sentire delle merde al cospetto di giganti a dismisura d’uomo, in agguato dietro l’angolo, fusi in un groviglio di alberi contorti, lune, braccianti stranieri ed anziane signore… Grigio! grigio! Ocra! Grigio! Poligoni! Cilindri! Archi! Scale! Grigio! Grigio! Ocra!
…non condivido affatto queste usanze barbare di seppellire i defunti… né quella di porre lapidi, identità fittizie, scolpite sulla pietra come se dovessero durare per sempre, labili memorie kitsch di corpi che, nel frattempo, nella realtà, si decompongono e si sbriciolano rinchiusi in contentitori… come i vivi nelle loro case, nelle loro auto… Nomi, identità, contenitori… questo chiamano “civiltà” gli “inumanisti”… quelli che si aspettano che lieviti, risorga qualche surplus (o surpus) di vita dal liquame ben conservato delle loro anime…
(Forse questo meme allude alla “nuda vita” di cui scrive Agamben o al fatto che si svolge sotto i nostri occhi “un film già visto”… ma è solo per rispondere in qualche modo, singolarmente, alla comunicazione mainstream e alle sue auto-replicanti jeune-fille… Come? Lo sono anche io?… Non so… non sto vendendo, né sto chiedendo nulla… non è mia intenzione sollecitare pulsioni per propagandare forze “democratiche” o merci di qualsiasi tipo… ma solo suscitare re-pulsioni per certi fantasmi che tolgono il respiro, bastonano, incarcerano, uccidono, carbonizzano corpi…).
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E comunque non si tratta di parteggiare per i russi e Putin (come fanno i rosso-bruni) quanto di contestare la complicità UE-USA con i nazionalisti ucraini. È come se ai tempi della guerra nella ex-Jugoslavia la NATO si fosse schierata a favore di Milošević!…
E se non si vuole contestare, almeno si constati che le democrazie occidentali non hanno mai avuto niente di “democratico” (specie se accompagnate da questa squallida e avvilente retorica della “sovranità del popolo”, bieco riflesso degli orridi stati-nazione…).
Non ha senso neanche più opporsi sterilmente, senza inventarsi nuovi giochi con nuove regole e strumenti (per produzione, scambio, consumo, ecc…). Di questo, nonostante la situazione molto critica, ancora nessuno parla… Il sapere umanistico si limita discettare di fini (anche i più spettrali… e là muore e lascia morire… al massimo fa della sagace quanto nauseante ironia… si compiace della sua saccenza… maschera e imbelletta la sua impotenza più o meno volontaria…).
Lo stupro quotidiano di media e dei social media riproduce personalità apatiche o affette dalla sindrome di Stoccolma (anche omeopatica, che è più tollerabile e annichilente). Incapaci di inventare alcunché al di fuori del paradigma stantio che replica questo continuo e fastidioso cicaleccio.
C’è solo rumore, nessun segnale. Saturazione di ogni frequenza. Il silenzio sarebbe la condizione per poter produrre qualsiasi modulazione… la rarefazione dei segni, non la “semiosi infinita” che ci invade (o la “memiosi”, l'”iconosi”)… visto che i segni non rimandano che a loro stessi. Ormai neanche di metafore e doppi fondi, doppie articolazioni (struttura-sovrastruttura, inconscio-io, essere-apparire, ecc…) si ha più bisogno… il rincoglionimento è completo… nessuna profondità.
Solo superficie saturata e rumorosa… che ottunde i pochi non ancora ottusi.
Le città (come Damasco ora o Sarajevo in passato) in cui si svolge quello che chiamano “guerra civile” sembrano un immenso cantiere con squadre di demolizione che pianificano il loro lavoro. Le esplosioni non sono mai ovunque, ma solo dove serve. E’ guerra di condomini, di cittadini che insistono a voler essere cittadini, misti a operai demolitori sul campo (comunque contractors, anche se si tratta di eserciti nazionali…) molto poco raccomandabili… messi apposta per convincere i pervicaci cittadini a mollare, ad andarsene, a cedere quel pezzetto di proprietà privata che avevano prima. Una volta finito il lavoro si farà una tregua più o meno duratura, si sminerà e si ricostruirà… per questo si fanno gli edifici in cemento armato. Il metallo si può riciclare, il cemento si sgretola in nubi di polvere. E’ un materiale fatto apposta per essere distrutto e rimpiazzato… Basta un bulldozer e via… altre colate, altre merci, ricchi premi e cotillons… speranze, sorrisi, bambini… e poi ancora booooom, badabang, ratatatatatatata…
Quel che voglio dire è che la “guerra civile” non è una cosa così diversa da quello che succede in qualsiasi città. A Damasco si usano solo metodi più sbrigativi. E’ una questione di urgenza, di fretta dei costruttori di cose che per essere costruite devono necessariamente distruggerne altre, persone comprese. Qua ce la si prende con più calma. Ma anche qui ci sono case e persone distrutte, tendenti al crollo. Basta osservare meglio gli sguardi e le crepe… Qui prevale il perfido porfido. Nero come le carogne. Buono per le sassaiole. In fondo siamo sopra al Vulcano Laziale…
vistose tracce, a Velletri, del “recente” conflitto mondiale…
– Cioè, forse non avete capito… La guerra in Iraq è finita da tempo, in Libia è durata troppo poco ed è stata solo di aria, per quanto ci riguarda… Nel frattempo abbiamo costruito armi di tutti i tipi… se non svuotiamo i magazzini, prima o poi la nostra industria bellica si ferma, il PIL cala… Se non possiamo bombardare la Siria, dobbiamo bombardare qualcos’altro… Siamo parte essenziale del processo… Se fermate la distruzione, potete scordarvi la “crescita”… – Potreste bombardarvi da soli, ma prima occorre una apposita riforma strutturale di qualche emendamento… Anzi, visto che ci siamo, facciamo prima noi questo esperimento… cambiamo qualche articolo della costituzione… aggiungiamo qualche leggina… e poi fanculo Isernia! – Eh, sì… senza contare che è pure pericoloso avere gli arsenali pieni… Da qualche parte tocca svuotarli… Vediamo il lato positivo: sarà una festa di luci!… illumineremo la notte a giorno!… – Ahahahahah! Voi sì che siete “illuministi”!
Del resto anche a noi ci gasano con i pesticidi, gli inceneritori, le raffinerie, le acciaierie, le cokerie, ecc… è solo un processo un po’ più lento e omeopatico.
L’ONU, per (sua) logica, dovrebbe dare il via libera per una “missione di pace” contro l’ILVA di Riva o cose così… (violato l’ultimo confine, quello della differenza tra fronte interno ed esterno, come si può leggere tra le righe di un famoso discorso di un noto Nobel per la Pace alla riscossione del premio, questo dovrebbe accadere…).
Ah… e i gas di scarico dei veicoli a motore, il fumo delle sigarette?… sono la forma più decentralizzata di guerra chimica.
Forse c’è una “verità” più semplice: ci odiamo e vogliamo morire.
(…Questo accanto e dentro “ci amiamo e vogliamo vivere”).
L’ANTI-EDIPO E LA PULSIONE DI MORTE
“La questione per chi non crede in Dio sta nell’obbedire alla propria coscienza”.
(Papa Francesco I)
(Ovviamente non sono d’accordo con la questione di coscienza punibile, risentita e cristiana che vorrebbe universalmente porre il Papa…).
Secondo Deleuze e Guattari (ne l’Anti-Edipo, paragrafo: La rappresentazione barbarica o imperiale, che cito qui, in esergo, e continuo qui sotto, dopo i versi e i gatti intorno al buco…) era una “macchina dispotica” interiorizzata, una macchina repressiva a rendere violente (risentite perché rimosse-represse) le macchine desideranti… dal momento che egli tendeva a neutralizzare in un ipotetico corpo pieno del Desiderio la “pulsione di morte” (connotandola appunto come un effetto della vendetta del despota che imponeva i suoi codici linguistici, la sua surcodifica dei corpi, triangolava con madre e sorella contro qualsiasi manifestazione di risentimento… o come un effetto della triangolazione edipica successiva che triangolava con mamma-papà, in pieno ressentiment cristiano)… Non mi sembra affatto così. Non è solo una questione di despoti o di edipi accecati, castrati… è proprio che non si gode senza morte. Non c’è niente di pieno né sul versante del piacere, né su quello del dolore. Vivere e morire, memorizzare e dimenticare, sono processi simultanei… anchesenza quell’eccesso surcodificante, dispotico e repressivo di cui Deleuze scrive. La pulsione di morte, a mio avviso, non è questione di “latenza” (di colpi a vuoto, di rimozione e repressione)… è ben scandita e modulata… è nel ritmo che ci attraversa, che solca anche gli orgasmi. Si gode a reprimere, si gode a rimuovere, si gode a liberarsi, si gode ad uccidere, si gode comunque… modulando le pulsazioni velocemente o ritenendole… accumulandole il più possibile, nel caso dell’economia capitalista, per accentrare potere e accrescere il potenziale (di riserva e sperpero)… gestendo i flussi sia nella distruzione che nella prosperità, a valle come a monte… evitando come la peste l’equilibrio, il pareggio, il Grande Zero centrale (sogno riconciliante, immobilizzante e concentrazionario di marxisti e fourieristi, per Lyotard… ma anche dio nascosto ebraico, motore immobile aristotelico, ecc…), il buco nero da cui fuggono tutti i simulacri e tutti i discorsi, compreso questo, come accade tra i bracci di una vertigine galattica.
Tendimi la mano
e facciamo surf
sull’onda cosmica.
Il centro non tiene,
il centro non c’è.
Restiamo qui, sospesi
a modulare i campi,
da bravi hortolani.
Con il grassetto sottolineo i temi chiave, con il rosso i punti di divergenza con quel che penso.
La legge non comincia con l’essere ciò che diverrà o pretenderà di diventare più tardi: una garanzia contro il dispotismo, un principio immanente che riunisce le parti in un tutto, che fa di questo tutto l’oggetto d’una conoscenza e di una volontà generali, le cui sanzioni non fanno che derivare per giudizio e applicazioni sulle parti ribelli. […] La legge non fa conoscere nulla e non ha oggetto conoscibile, il verdetto non preesistendo alla sanzione, e l’enunciato della legge non preesistendo al verdetto. L’ordalia presenta questi due caratteri allo stato puro. […] E’ la sanzione a scrivere e il verdetto e la regola. Il corpo ha un bell’essersi liberato dal grafismo che gli era proprio nel sistema della connotazione; esso diventa ora la pietra e la carta, la tavola e la moneta su cui la nuova scrittura può segnare le sue figure, il suo fonetismo, il suo alfabeto. Surcodificare, questa è l’essenza della legge e l’origine dei nuovi dolori del corpo. Il castigo ha cessato di essere una festa, donde l’occhio trae un plusvalore nel triangolo magico di alleanza e filiazione. Il castigo diventa una vendetta, vendetta della voce, della mano e dell’occhio ora riuniti nel despota, vendetta della nuova alleanza. […]
Vendetta, e come vendetta che si esercita in anticipo, la legge barbarica imperiale schiaccia tutto il gioco primitivo dell’azione, dell’agito e della reazione. Occorre ora che la passività diventi la virtù dei soggetti attaccati al corpo dispotico. Come dice Nietzsche, quando appunto mostra come il castigo diventi una vendetta nelle formazioni imperiali, bisogna che “una prodigiosa quantità di libertà sia scomparsa dal mondo, o almeno scomparsa agli occhi di tutti, costretta a passare allo stato latente, sotto l’urto dei loro colpi di martello, della loro tirannia d’artisti…”. Si produce un’esaustione dell’istinto di morte, che cessa di essere codificato nel gioco di azioni e di reazioni selvagge ove il fatalismo era ancora qualcosa di agito, per diventare il cupo agente della surcodificazione, l’oggetto staccato che plana su qualcuno, come se la macchina sociale si fosse sganciata dalle macchine desideranti: morte, desiderio del desiderio del despota, latenza iscritta nel profondo dell’apparato di Stato. Piuttosto che un solo organo si svincoli da quest’apparato, o scivoli fuori dal corpo dispotico, non ci saranno sopravvissuti. In realtà, non c’è più altra necessità (altro fatum) tranne quello del significante nei suoi rapporti con il significato: tale è il regime del terrore. Quel che si suppone la legge significhi, non lo si conoscerà che più tardi, quando si sarà sviluppata ed avrà assunto la nuova figura che sembra opporla al dispotismo. Ma, sin dall’inizio, essa esprime l’imperialismo del significante che produce i suoi significati come effetti tanto più efficaci e necessari in quanto si sottraggono alla conoscenza e devono tutto alla loro causa eminente. […] Ma tutto questo, lo sviluppo del significato democratico o l’avvolgimento del significante dispotico, fa tuttavia parte della questione, ora aperta ora sbarrata, identica astrazione continuata, o macchinario di rimozione che ci allontana sempre dalle macchine desideranti. Non è mai esistito che un solo Stato. A cosa serve? sfuma sempre più, e scompare nelle brume del pessimismo, del nichilismo, Nada, Nada! […] L’istinto di morte è, nello Stato, ancor più profondo di quanto non si credesse, e che la latenza non solo travaglia i soggetti, ma è all’opera nei congegni più elevati. La vendetta diventa quella dei soggetti contro il despota. Nel sistema di latenza del terrore, ciò che non è più attivo, agito o reagito, “ciò che è reso latente dalla forza, rinserrato, rimosso, rientrato all’interno”, è ora risentito: l’eterno risentimento dei soggetti risponde all’eterna vendetta dei despoti. […]
Hanno fatto passare tutto allo stato latente, i fondatori di imperi; hanno inventato la vendetta e suscitato il risentimento, questa controvendetta. E tuttavia Nietzsche dice ancora di loro quel che diceva già del sistema primitivo: non è presso di loro che la “cattiva coscienza” – intendiamo Edipo – ha attecchito e si è messa a spuntare, l’orribile pianta. Solo, è stato fatto un passo in più in questo senso: Edipo, la cattiva coscienza, l’interiorità, essi li ha resi possibili… […] E’ certo la storia del desiderio e la sua storia sessuale (non ce ne sono altre). Ma tutti i pezzi qui funzionano come congegni dello Stato. Il desiderio non opera certo tra un figlio, una madre e un padre. Il desiderio procede ad un investimento libidinale di una macchina di Stato, che surcodifica le macchine territoriali, e, con un giro di vite supplementare, rimuove le macchine desideranti. L’incesto deriva da questo investimento, non il contrario, e non mette in gioco dapprima che il despota, la sorella e la madre: è lui la rappresentazione surcodificante e rimovente. Il padre non interviene che come rappresentante della vecchia macchina territoriale, ma è la sorella il rappresentante della nuova alleanza, e la madre il rappresentante della filiazione diretta. Padre e figlio non sono ancora nati. Tutta la sessualità è in gioco tra macchine, lotta tra esse, sovrapposizione, muratura. Stupiamoci una volta di più della narrazione portata da Freud. In Mosé e il monoteismo, egli avverte certo che la latenza è affare di Stato. Ma allora essa non deve succedere al “complesso di Edipo”, segnare la rimozione del complesso o addirittura la sua successione. Essa deve risultare dall’azione rimovente della rappresentazione incestuosa che non è per nulla ancora un complesso come desiderio rimosso, perché al contrario essa esercita la sua azione di rimozione sul desiderio stesso. Il complesso di Edipo, come lo chiama la psicanalisi, nascerà dalla latenza, dopo la latenza, e significa il ritorno del rimosso nelle condizioni che sfigurano, spostano ed anzi decodificano il desiderio. Il complesso di Edipo non appare se non dopo la latenza; e quando Freud riconosce due tempi da essa separati, solo il secondo merita il nome di complesso, mentre il primo non ne esprime che i pezzi e i congegni che funzionano da un tutt’altro punto di vista, in tutt’altra organizzazione. E’ questa la mania della psicanalisi con tutti i suoi paralogismi: presentare come risoluzione o tentativo di risoluzione del complesso ciò che ne è l’instaurazione definitiva o l’installazione interiore, e presentare come complesso ciò che ne è ancora il contrario. Cosa occorrerà infatti perché l’Edipo diventi l’Edipo, il complesso di Edipo? Molte cose in verità, quelle stesse che Nietzsche ha parzialmente presentito nell’evoluzione del debito infinito.
Bisognerà che la cellula edipica termini la sua migrazione, che non si acconsenta a passare dallo stato di rappresentazione spostato allo stato di rappresentazione rimovente, ma che, da rappresentazione rimovente, diventi infine il rappresentante del desiderio stesso. E che lo diventi a titolo di rappresentante spostato. Bisognerà che il debito diventi non solo debito infinito, ma che come debito infinito venga interiorizzato e spiritualizzato (il cristianesimo e quel che segue). Bisognerà che si formino padre e figlio, cioè che la triade regale si “mascolinizzi”, come conseguenza del debito infinito ora interiorizzato [n.d.a. Gli storici della religione e gli psicanalisti conoscono bene questo problema della mascolinizzazione della triade imperiale, in funzione del rapporto padre-figlio che vi è introdotto. Nietzsche vi intravede a ragione un momento essenziale nello sviluppo del debito infinito: “Questo alleviamento che fu il colpo di genio del cristianesimo… Dio che paga a se stesso, Dio che riesce da solo a liberare l’uomo da ciò che per l’uomo stesso è diventato irremissibile, il creditore che si offre per il suo debitore per amore (chi lo crederebbe), per amore per il suo debitore!” (Genealogia della morale, II, § 21)]. Bisognerà che Edipo-despota sia sostituito da Edipi-soggetti, da Edipi-padri e da Edipi-figli. Bisognerà che tutte le operazioni formali siano riprese in un campo sociale decodificato e risuonino nell’elemento puro e privato dell’interiorità, della riproduzione interiore. Bisognerà che l’apparato repressione-rimozione subisca una riorganizzazione completa. Bisognerà dunque che il desiderio, finita la sua migrazione, faccia l’esperienza di questa estrema miseria: essere rivolto contro di sé, il rivolgimento contro di sé, la cattiva coscienza, la colpevolezza, che lo aggrega tanto al campo sociale più decodificato quanto all’interiorità più morbosa, la trappola del desiderio, la sua pianta velenosa. Finché la storia del desiderio non sperimenta questa fine, Edipo assilla tutte le società, ma come l’incubo di ciò che non è ancora capitato loro – l’ora non è ancora venuta”.
Hai letto? Beh… dimenticalo.
Anzi, ricordati anche di quest’altro passo (più condivisibile, sempre dall’Anti-Edipo), prima di dimenticare già quando riprende a parlare della staffetta comico-“futuristica” (patafisica come nella corsa dei ciclisti morti ne “Il Supermaschio” di Jarry) tra macchine desideranti (grassetti e link sono miei):
Il corpo senza organi è il modello della morte. Come han ben capito gli autori della letteratura del terrore, non è la morte a servire da modello alla catatonia, ma la schizofrenia catatonica a fornire il proprio modello alla morte. Intensità-zero. Il modello della morte appare quando il corpo senza organi respinge e depone gli organi – niente bocca, naso, denti… fino all’automutilazione, fino al suicidio. E tuttavia non c’è opposizione reale tra il corpo senza organi e gli organi in quanto oggetti parziali; la sola opposizione reale riguarda l’organismo molare che rappresenta il loro comune nemico. Si vede, nella macchina desiderante, lo stesso catatonico ispirato dal motore immobile che lo forza a deporre i suoi organi, ad immobilizzarli, a farli tacere, ma anche, spinto dai pezzi lavorativi che funzionano allora in modo autonomo e stereotipo, a riattivarli, a insufflare in essi movimenti locali. Si tratta di pezzi diversi della macchina, diversi e coesistenti, diversi nella loro stessa coesistenza. È perciò assurdo parlare di un desiderio di morte che si opporrebbe qualitativamente ai desideri di vita. La morte non è desiderata, c’è solo la morte che desidera, a titolo di corpo senza organi o di motore immobile, e c’è anche la vita che desidera, a titolo di organi di lavoro. Non si tratta qui di due desideri, ma di due pezzi, di due sorte di pezzi della macchina desiderante, nella dispersione della macchina stessa. Tuttavia, il problema sussiste: come possono funzionare insieme? Non si tratta ancora di un funzionamento, ma solo della condizione (non strutturale) d’un funzionamento molecolare. Il funzionamento appare quando il motore, nelle condizioni precedenti, cioè senza cessare di essere immobile e senza formare un organismo, attira gli organi sul corpo senza organi, e glieli attribuisce nel movimento oggettivo apparente. La repulsione è la condizione di funzionamento della macchina, ma l’attrazione è il funzionamento stesso. Che il funzionamento dipenda dalla condizione, risulta evidente per il fatto stesso che tutto questo non funziona se non guastandosi. Si può dire allora in cosa consistano questo andamento o questo funzionamento: si tratta, nel ciclo della macchina desiderante, di tradurre costantemente, di convertire costantemente il modello della morte in qualcosa di assolutamente diverso, l’esperienza della morte. Di convertire la morte che sale dal didentro (nel corpo senza organi) in morte che arriva dal difuori (sul corpo senza organi).
Ma sembra che l’oscurità si infittisca: cos’è infatti l’esperienza della morte, distinta dal modello? Si tratta ancora di un desiderio di morte? Di un essere per la morte? Oppure di un investimento della morte, magari speculativo? Niente di tutto questo. L’esperienza della morte è la cosa più consueta dell’inconscio, appunto perché ha luogo nella vita e per la vita, in ogni passaggio o in ogni divenire, in ogni intensità come passaggio e divenire. È caratteristico di ogni intensità investire in un attimo in se stessa l’intensità — zero a partire da cui è prodotta come ciò che cresce o diminuisce in un’infinità di gradi (come diceva Klossowski, «un afflusso è necessario solo per significare l’assenza di intensità»). Abbiamo cercato di mostrare, in questo senso, come i rapporti di attrazione e di repulsione producano stati, sensazioni, emozioni tali che implicano una nuova conversione energetica e formano il terzo tipo di sintesi, le sintesi di congiunzione. Si direbbe che l’inconscio come soggetto reale abbia fatto sciamare su tutto il contorno del suo ciclo un soggetto apparente, residuale e nomade, che passa attraverso tutti i divenire corrispondenti alle disgiunzioni incluse: ultimo pezzo della macchina desiderante, pezzo adiacente. Sono questi divenire e questi sentimenti intensi, queste emozioni intensive ad alimentare deliri e allucinazioni. Ma, in se stesse, esse sono quel che più si accosta alla materia di cui investono in sé il grado zero. Sono esse a condurre l’esperienza inconscia della morte, in quanto la morte è ciò che è sentito in ogni sentimento, ciò che non cessa e non finisce di succedere in ogni divenire — nel divenire-altro sesso, nel divenire-dio, nel divenire-razza, ecc., formando le zone d’intensità sul corpo senza organi. Ogni intensità affronta nella sua propria vita l’esperienza della morte, la avvolge, e certamente, alla fine, si spegne; ogni divenire diventa esso stesso un diveniremorto! Allora la morte giunge effettivamente. Blanchot distingue bene questo duplice carattere, questi due aspetti irriducibili della morte, l’uno nel quale il soggetto apparente non cessa di vivere e di viaggiare come Si, «non si cessa e non si finisce mai di morire», l’altro in cui lo stesso soggetto, fissato come Io, muore effettivamente, cioè cessa alla fine di morire poiché finisce col morire, nella realtà d’un ultimo istante che lo fissa cosi come Io disfacendo l’intensità, riconducendola allo zero ch’essa avvolge. Da un aspetto all’altro non c’è affatto approfondimento personologico, ma tutt’altro: c’è ritorno dell’esperienza di morte al modello della morte, nel ciclo delle macchine desideranti. Il ciclo è chiuso. Per una nuova partenza, poiché Io è un altro. Bisogna che l’esperienza della morte ci abbia appunto dato abbastanza esperienza allargata, perché si viva e si sappia che le macchine desideranti non muoiono. E che il soggetto come pezzo adiacente è sempre un «si» che conduce l’esperienza, non un Io che riceve il modello. Il modello stesso infatti non è maggiormente l’io, bensì il corpo senza organi. E Io non raggiunge il modello senza che il modello, di nuovo, riparta verso l’esperienza. Andare sempre dal modello all’esperienza e ripartire, ritornare dal modello all’esperienza: schizofrenizzare la morte, è questo l’esercizio delle macchine desideranti (il loro segreto, ben compreso dagli autori del terrore). Le macchine ci dicono questo, e ce lo fanno vivere, sentire, più profondamente del delirio e più lontano dell’allucinazione: sì, il ritorno alla repulsione condizionerà altre attrazioni, altri funzionamenti, l’avvio di altri pezzi lavorativi sul corpo senza organi, la messa in opera d’altri pezzi adiacenti al contorno, che hanno altrettanto diritto di dire Si quanto noi stessi. «Crepi nel suo balzo per mano di cose inaudite e innominabili; altri orribili lavoratori verranno; e cominceranno dagli orizzonti ove l’altro si è accasciato». L’eterno ritorno come esperienza, e circuito deterritorializzato di tutti i cicli del desiderio.
“La critica della cultura si trova dinnanzi all’ultimo stadio di cultura e barbarie. Scrivere una poesia dopo Auschwitz è barbaro e ciò avvelena anche la stessa consapevolezza del perché è divenuto impossibile scrivere oggi poesie”
Al di là delle esagerazioni dissonanti della notte trasfigurata che attraversarono gli intellettuali tedeschi scampati alla catastrofe nazista, c’è da interrogare ancora una volta il fondamento di quel che chiamiamo “democrazia” e che a mio avviso non è rintracciabile (secondo Benjamin e anche per me) nella dialettica diritto positivo/stato di polizia o, come Derrida chiama questa seconda istanza, il “peggio”, la “soluzione finale” (della quale ci ammoniva in “Forza di Legge”… un Derrida molto ammaestrato nel tempo e divenuto addirittura un difensore di una democrazia più immaginata che reale, che egli apparenta alla “decostruzione”, contrapponendola a quel cattivone di Benjamin, il quale intravedeva invece nel diritto positivo la stessa violenza contro la nuda vita scatenata poi da uno “stato di polizia” come quello del nazismo).
Non mi pare dunque Auschwitz il mito fondante della democrazia totalitaria attuale (in quanto in continuità sostanziale con le feroci burocrazie naziste… né vale la pena soffermarsi sulla RIDICOLA preoccupazione adorniana che si possano o meno scrivere poesie…), quanto Hiroshima… immenso flash fotografico, spettacolo esemplare, pietra di paragone di qualsiasi scempio che gli sarebbe comunque preferibile, evento che sospende e dissolve qualsiasi umanesimo, qualsiasi critica, qualsiasi diritto, qualsiasi burocrazia, qualsiasi fabbrica, qualsiasi stato, qualsiasi guerra clausewitsiana… Lo sterminio istantaneo del nemico, piovuto dal cielo, pone fine a qualunque confronto, dialettica, complementarità, confine, scelta tra civiltà o barbarie, ecc… è annientamento, nonsenso generalizzato, catastrofe (non soluzione) finale, evento senza causa, apocalisse senza rivelazione, minaccia non più legata ad un nomos, ad un territorio, ad un’identità, a fratellanze, filiazioni e altre cacate ammorbanti del genere… è l’equivalenza generale della vita di fronte al suo annientamento tecnico. Vero segreto del dominio mercantile (capitalistico, monetario) pienamente dispiegato (…mentre il lager era il modello dell’equivalenza generale dei corpi, vivi o morti, in quanto merci).
Non è neanche una metafora, una rappresentazione… è la fine delle metafore e delle rappresentazioni possibili… la fine dello stesso Terrore, della tentazione dispotica, che ha turbato sin dall’inizio le infauste pretese universalistiche dell’Illuminismo (che un Derrida kantianizzato in qualche modo difende, insieme alla critica, al processo di crisi infinito chiamato democrazia, innescato dal modo di produzione capitalista), il surclassamento dell’orrore dell’Olocausto, sventolato ad ogni pie’ sospinto come ciò che la Democrazia deve evitare se non vuole precipitare nell’Abisso… Dopo Hiroshima, la stessa violenza che l’ha distrutta perde di senso, non è più né divina, né politica. E’ il fondamento tecnico di una violenza insensata che ha contaminato tutti e che ha assunto le forme spettrali dell’Occidente… terra del lavoro morto, dei morti viventi, del “denaro morto” (Marx, pag. 67: “Laddove operaio e capitalista soffrono nella stessa misura, l’operaio patisce nella sua esistenza, il capitalismo nel guadagno del suo denaro morto“… o ancora meglio, nella definizione pokeristica: “Le chips di un giocatore inesperto che ha virtualmente nessuna chance di vincere un torneo, vengono chiamate denaro morto“… in pratica il mancato profitto, il debito, il deficit, gli investimenti improduttivi, ecc…).
Il disprezzo per la vita dimostrato dal complesso militare-industriale statunitense (è difficile pensare un soggetto dietro un simile evento catastrofico, anche se ci sono Truman, il suo entourage, fisici per eccellenza come Einstein che tuttora osanniamo ad ogni merdosa scoperta di particelle subatomiche, ad ogni meditazione psichedelica sulle foto di Hubble, ecc…) mette in secondo piano lo sterminio di alcune categorie (definito mitologicamente o religiosamente come “il male assoluto”) e i deliri razziali dei nazisti. E’ più spaventoso, è un orrore senza fine spacciato per prodigio della tecnica, per spettacolo, per inevitabile fine di una guerra che non poteva più esprimere un “peggio”, dopo Hiroshima… Ma non c’è giustificazione per gli statunitensi. L’orrore che hanno prodotto è stato nascosto solo dall’evidenza della loro vittoria e purtroppo sono i vincitori a riscrivere la storia (e siamo ancora una loro colonia)… E ancora oggi continuano a produrre catastrofi cinematografiche per potersi sottrarre a quello che si potrebbe definire una colpa imperdonabile (incommensurabile, a dismisura d’uomo… fotogramma sospeso e incombente della cancellazione della realtà, che cancella anche le dinamiche umane e sacrificali e l’immondizia religiosa relativa… per cui nessuna colpa o perdono può aver luogo, per mancanza di soggetti…) che viene narrata come un destino (“s’è accesa una stella sulla terra”) anziché come laminaccia fondante del totalitarismo… l’assoluto disprezzo per la vita spacciato per Bene, ordine mondiale, che comincia a dispiegarsi pienamente solo ora che la Democrazia si disvela sempre più come menzogna, truffa, inganno, vernice dorata sulle scorie… l’antico logos pienamente realizzato nel suo principio mortifero.
Dopo Hiroshima
l’in-dividuo di Cicerone
(evolutosi nei secoli
fino a diventare,
da liberto,
da famiglio,
da valvassino,
da figlio minore
escluso da privilegi e successioni,
da bottegaio,
un sog-getto privato,
un unico con la sua proprietà)
è ritornato ad essere a-tomo,
ma dividuabile
in reazioni a catena
incontrollabili,
principio ambivalente
di schiavitù universale
e della fine del sistema,
la posta più alta,
paradigma
del rischio imprenditoriale.
Atomo con
le sue fissioni,
le sue fissazioni,
le sue fiction.
La paura della bomba
che imponeva una
pace armata,
una guerra fredda,
sui due blocchi
che si spartirono il Mondo,
sembra essere scomparsa,
ma è sempre lì…
catastrofe sospesa,
manto nero disteso
sugli infiniti conflitti locali,
sulle operazioni di polizia,
sempre più crudeli,
sempre più insensate,
sempre più estese…
morte nelle nostre tasche,
morte nelle nostre teste,
schermi a bassa radiazione,
un gesto virtuale
un clic…
lento processo di sparizione
per rimuovere la minaccia
di una sparizione improvvisa.
E’ il vuoto stesso
del luogo della Verità,
di Dio, del Potere,
dell’universalismo
imperiale e cristiano,
che non ha saputo trovare
altra Forza
se non la distruzione totale
per poter giustificare
la persistenza del suo delirio.
Nessuna Democrazia moderna
potrà mai ricoprire
di astrazioni e “valori”
la contaminazione letale
su cui si è fondata.
E nessuna giustificazione
potrà mai esserci
per il canceroso ed orrido Truman show
e per i meta-Stati Uniti
che verranno.
Isolare, magari in una mostra, la violenza sulle donne dalla violenza rivolta contro altre categorie di viventi (al di fuori o a margine della benestante comunità “produttiva”, basata cioè sui dogmi del Lavoro o del Denaro, in un periodo in cui il sistema si dimostra tra l’altro ostile alla riproduzione dei viventi in quanto tali, dunque alle donne cui è ancora affidata la riproduzione materiale e cui viene per lo più richiesto il titillamento del desiderio di merci, dunque di loro stesse in quanto merci, o una deturpante1 identificazione coi modelli dominanti) è un modo per genderizzarla e sessualizzarla (farla rientrare nel frame patriarcale, maschilista o nella categoria fetish).
In questa cornice di denunce selettive si inseriscono anche le (apparenti) difese di regime della sessualità non riproduttiva (come la definiscono i preti, turbandosi e stigmatizzandola)… matrimoni tra omosessuali, i diritti delle minoranze omosessuali, l’aggravante dell’omofobia nei reati, ecc… quando è evidente che la questione principale è un’insensata estensione del “matri-monio”… (dall’etimologia: “scambiare o offrire una madre”… ma chi “scambia o offre in cambio una madre” in un rapporto omosessuale? ha un senso mantenere questo termine?) Non sarebbe il caso di porre piuttosto fine alla pratica tribale del matrimonio(che in realtà non è che una tutela del “patrimonio” mascherata)? (ad ogni modo il matrimonio tra omosessuali è la giusta parodia, molto liberoscambista, del matrimonio tra eterosessuali… Però che senso ha rendere il diritto di famiglia – o dei famigli -, relativizzandolo, qualcosa di gaio, di simpatico, di buffo?… a me, per esempio, il diritto non fa ridere affatto…).
Magari basterebbe chiamarli “sposalizi“, “unioni coniugali”, invece di “matrimoni”… (questo non toglie però la motivazione patrimoniale, l’obbligazione proprietaria, che c’è sotto… qui infatti credo che si parli più dell’estensione a tutti di un diritto proprietario molto discutibile, almeno per me… ciò non toglie che non sia decisamente coerente con il diritto attuale…).
1 si vedano le ministre di questa legislatura tecnica… e non mi riferisco al pur spaventevole aspetto…
Oggi osservavo un campo con svariati insetti che si cominciano a riprodurre… alcune afidi proteggendosi con della schiuma appiccicata agli steli… Era tutto un ronzare e un cinguettare.
Ad un tratto mi è sembrato tutto meccanico. Come se il fiore non fosse separato dagli insetti, ma fosse un corpo unico… e così tutto il resto… e ho pensato che fosse un pensiero paranoico, mortifero… quello stesso di Cartesio (che espelleva la vita come un’estensione estranea alla Ragione)… Eppure se penso “macchina”, penso “insetto”… non c’è niente in ambito vivente che ci somigli di più…
– E’ solo un’immensa comica. Forme e creature tra le più strambe, cui ne seguiranno di ancora più strambe… un accrocco infinito, un pasticcio inestricabile… se doveva essere qualcosa, poteva essere solo così… a cazzo di cane… secondo un disegno deficiente, senza un rimedio che non sia un rattoppo… Non c’è Ragione, né Dio. Involuzione dappertutto, man mano che ci si specializza… forme nate morte, che si guastano in troppo poco tempo…
Su di una panchina vicino al Colosseo, viale della Domus Aurea… Lei sdraiata con la testra poggiata sulle cosce di lui, che è seduto…
LEI – Ma cosa rimarrà di questo istante?…
IO – Quale istante?
LEI – Questo… Non lo possiamo fermare… A questo istante succede un altro istante e poi un altro…
IO – Beh… diciamo che è un’impressione… quella che il tempo scorra… noi ci siamo immersi… ma non è detto che un istante non sia “sospeso” tra presente-passato e futuro, tra ordine e caos entropico… e ogni istante non sia scomponibile… all’infinito… Si, ma in effetti il tempo scorre… e non possiamo farci niente…
LEI – Sì… e poi moriamo… E che senso ha tutto questo?
IO – Tutto questo cosa?
LEI – Tutto questo: il sole che ci scalda, la panchina, l’amore…
IO – Nessuno… C’è… Dà l’impressione che ci sia un senso, solo per il fatto che (probabilmente) ci siamo… siamo catturati in questa vibrazione più o meno armonica… Ci siamo ritrovati da questa parte… Ma il senso esiste solo in quanto vi è un non-senso… Te lo domandi quando sei viva… te lo domandi da sveglia… ma se dormi non ci sono più queste domande… Dunque quando ti poni queste domande, dormi…
Si appoggia con una guancia sulla mia coscia destra. Le scosto i capelli con la mano sinistra e le accarezzo la nuca, mentre il sole le illumina l’altra guancia… Si addormenta. Prima di cadere nel sonno mi stringe la mano per un istante. Poi quel che io vedo (il tizio che fa 太极拳, l’uomo seduto di fronte con gli occhiali da sole, i due che si riprendono a turno con una steady-cam dotata di braccio meccanico) lei non lo vede… Probabilmente neanche io.
Discontinuità.
Dopo quello che ho chiamato l’ultimo filosofo, dopo l’apertura decostruttiva (Derrida) o macchinica (Deleuze) del post-strutturalismo… dal piano della riflessione, si è passati alla realtà. Nelle fondamenta del mondo si aprono voragini, tutto quel che era crolla e va in frantumi… impossibile recuperarne il senso passato, impossibile costruirne uno futuro. Non possiamo percepire l’85% della materia (il fantasma fecale del nostro cosmo), siamo ciechi per 4 ore al giorno per via delle saccadi, ascoltiamo musica con 44.000 silenzi al secondo che non percepiamo, tra un atomo e l’altro vi sono spazi, campi, relativamente immensi, tra le stelle e le galassie vi è una dimensione spazio-temporale discontinua… granulare, a brane, a più dimensioni… abbiamo un genoma spazzatura che sta lì senza un perché (e questo solo perché non trasmetterebbe “informazioni”…), un chilo e mezzo di batteri nel nostro corpo, vediamo il flusso di immagini senza vedere i singoli fotogrammi, vediamo l’immagine sullo schermo senza vedere i pixel RGB.
In economia la valorizzazione che conta è in negativo… è il buco di bilancio a creare valore… buco che si è ormai diffuso (“spread”) ovunque… e ce l’hanno un po’ tutti (e questo alla lunga rende impossibile il capitalismo, che può perpetrarsi solo crinandosi in crisi, accumulando con ferocia o sopprimendo i creditori di volta in volta… Dunque compaiono buchi e distorsioni anche nel Diritto e nelle democrazie… nelle ideologie come nelle esistenze messe precariamente a lavoro… Ma la violenza è un lusso che è possibile fino a un certo punto…).
Infine, viviamo morendo progressivamente…
L’informatica sembra consacrare una cospirante assenza di spazi di ambiguità, obbedendo solo alla logica binaria di input/output (I/O) il nuovo soggetto monadico, computante e paranoico inventato da Leibniz, che magari Freud provò ad investire di (s)cariche libidiche, di giubilo di fronte al rocchetto che compare e scompare davanti agli occhi dell’infante (il gioco del fort-da, una specie di cucù-sèttete), ma che, dato il numero incredibile di ripetizioni di impulsi I/O che quella logica gestisce, per esempio, in un processore, è più un rumore disarmonico, il ron ron della macchina di cui delirava Antonin Artaud… quello che ci svuoterebbe appunto di quello che c’è in mezzo tra un sì e un no, tra un vivente e un morto… quello che continuiamo ad affermare contro Tutto, ad ogni passo, ad ogni impulso elettrico della nostra chimica (dis)organica… tra scosse, brividi, contrazioni, decontrazioni e fasci di nervi…
Insomma questa vita quantizzata, digitalizzata, discontinua è insopportabile. Spossessa continuamente di sé… ma in un modo che non è quello proprio della natura… Bataille avvertì che siamo accomunati intimamente dalla “continuità” (la “sozzura”, la morte, il sesso)… io non avverto niente di tutto ciò. Non ho niente in comune con niente e nessuno… mi percepisco come una discontinuità imprevedibile e radicale, priva di appartenenza… un vivente assolutamente contingente. “Sentirai di appartenere al tutto quando non sentirai più”, mi dicevo l’altro giorno alle 5 di notte, senza capire il senso di questa frase… Questo tutto di cui sarei parte dunque non esiste che a condizione di morire e non è conoscibile… Resto dunque una parte eccedente… schizzata fuori di -getto dal Tutto, che è infinitamente meno di quel che c’è ora, nei pressi, in questa stanza, tra le mie dita sulla tastiera illuminate da uno schermo a 60 Hz di refresh… prima di chiudere gli occhi come Shiva e far scomparire questo misero assoluto in un sonno incomunicabile… anche a “me stesso”, a questo nodo attorcigliato… in procinto di sciogliersi.
Alla battaglia per la migliore inquadratura ci andassero i tronisti…
(scritto il giorno dopo)
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“Piazza mia bella piazza (girando in tondo con l’indice sul palmo),
qui c’è una lepre pazza…
Il cacciatore PUM PUM (percuotendo il centro del palmo)
sparò
e la lepre… chirichirichirichiri (questo è solletico lungo il braccio fino al collo…)
se ne scappò.
(Filastrocca infantile)
Già alla stazione di Ciampino trovo persone insospettabili, “femministe” sulla cinquantina di “Se non ora quando”, quelle che avevamo boicottato l’8 marzo, che vanno ad una manifestazione che si preannuncia tesa… Tra me e me sul treno che mi porta a Roma, penso a come sarà la mia deriva per le vie della città (qui il mio percorso individuale)… Vado a Roma come un turista ad un safari, armato di macchina fotografica, che si rivelerà solo un travestimento, visto che capisco fin da subito che riprendere o fotografare soggetti e fatti è alquanto inopportuno… diventerei un delatore involontario. Ed è comunque riduttivo… perché quando esco dalla Stazione Termini trovo il corteo già avviato (non ne distinguo né la testa, né la coda) e una folla sterminata che si traveste, cerca di inserirsi nel fiume di gente, si accoda dietro ai carri dei vari spezzoni che sfilano come fossero a carnevale, ma con carri che vendono birra, lanciano slogan e danno indicazioni… Cinema e Teatro occupati, con Arlecchino in cima al loro carro, Globalproject, Cobas, centri sociali, studenti, NoTav, USB, CUB, Rifondaroli, varie tipologie di anarchici… Bandiere di tutti i tipi, tanto sole… sembra una grande festa… ma con volti tesi e anche piuttosto incazzati (pochissimi i veri “indignati”, che a Roma non hanno raggiunto il centinaio e tutt’ora stentano a trovare consensi per i loro continui snobismi, scarti e soprattutto per la tendenza filo popolo viola, quella un po’ stronzetta e legalitaria che ha inquinato del tutto, grazie ai suoi innumerevoli replicanti – IDV, Santoro, Travaglio, Grillo – il dibattito politico italiano… e che davanti alla crisi vera comincia a perdere colpi e mostrare il suo conformismo, se non fascismo, latente). Slogan contro la finanza, ma soprattutto contro il sistema capitalista e maschere odiose (non fosse altro per la pochezza fascistoide di quel film, per l’ideologia ridotta a vendetta personale, risentimento, per la sussunzione della A cerchiata nella V cerchiata) di “V per Vendetta” o l’ambiguità e l’ambivalenza di Anonymous (sabotatori informatici che testano l’efficienza dei software di sicurezza o comunque valorizzano il paradigma e il dispositivo informatico che attaccano). Ma io voglio vedere la testa… chi c’è in testa… così decido di prendere una scorciatoia… voglio capire come è composta la fiumana (so fin da principio di non appartenere a nessuno spezzone… son qui per analizzare, capire, se ci sono punti d’aggancio, se c’è qualcosa che m’interessa, che condividerei…). Imbocco via Daniele Manin, la parallela a sinistra di via Cavour, dove sta sfilando il corteo, che vedo a intermittenza dalle traverse. Supero le scale transennate di S. Maria Maggiore e continuo per via Paolina… Incrocio il corteo all’altezza dello spezzone di Rifondazione. Dopo pochi minuti sento un annuncio dal camion di Rifondazione: “Mi dicono che più avanti hanno incendiato un albergo… ora ci fermiamo e decidiamo cosa fare”… Supero le bandiere rosse e giunto alla curva mi rendo conto che sale del fumo piuttosto alto lungo la fiancata di un palazzo. Mi trovo affianco ad Andrea Rivera (quello delle citofonate) che dice: “Annamosene, va…”.
Io resto e cerco di capire dove sia schierata la polizia, che (molto stranamente) non si vede proprio… Punto le scale a sinistra di via Cavour verso S.Pietro in Vincoli… Passeggiata turistica e affaccio sul corteo. Dall’alto scorgo due macchine incendiate e il corteo che continua come se niente fosse (del resto fa pendant con gli slogan anti banche e capitalismo finanziario… ma forse, più semplicemente, si sottovaluta il tentativo, da parte di vari gruppi di ragazzi col casco, interni al corteo, di alzare il livello dello scontro… prevale una più mandriana logica di camminanti, di manifestazione-sfilata che da tempo non ha quasi nessun effetto in Italia, grazie ad un sistema mediatico totalmente assevito, impegnato quotidianamente a far scomparire i fatti e a seguire solo la narrazione del governo o, in misura molto minore, dell’opposizione, che è comunque di orientamento liberale…). Il carro più lungo è quello di Globalproject, i negriani (si trattano bene…). Pare tutto tranquillo. Niente polizia, giusto i vigili del fuoco e qualcuno che pulisce. La cosa non mi piace per niente… Gli elicotteri continuano a controllare dall’alto. Scelgo di raggiungere il Colosseo con una lunga deviazione… Passeggiare sotto il sole è molto piacevole. Ancora turisti, manifestanti a cui non sta piacendo la piega che ha preso il corteo e semplici girovaghi… Continuo a cercare di capire dall’alto, affacciandomi da largo Gaetana Agnesi, quello che sta succedendo in questa manifestazione. Vedo siparietti divertenti, ma anche un po’ ambigui. Ragazzi incappucciati e velocissimi che scrivono slogan su muri bianchissimi, rimproverati se non allontanati con la forza da omoni dei vari servizi d’ordine… I più ostili sono quelli dei Cobas… Rimango colpito dalla velocità dell’azione e dalla capacità di scomparire in poco tempo allo sguardo, anche il mio che in teoria potrebbe distinguere meglio… Il moto browniano di queste particelle sfugge alla molarità della massa… Non passano che pochi minuti e la tensione all’interno del corteo sale improvvisa. La gente si muove come pesci in branco al minimo scoppio o al minimo accenno di rissa. È proprio quel che sta succedendo lì sotto, vicino al Colosseo. Un tizio sale su per i giardinetti… Gli chiedo come mai. Mi spiega che dei ragazzi col casco volevano entrare nel corteo e il servizio d’ordine li ha insultati e respinti… (poi saprò, dai diversi servizi televisivi e dalle riprese, che hanno preso le parallele a destra del corteo, dalla parte opposta che io ho percorso e hanno fatto un po’ di macello, da bravi casseur… o black bloc, come li definiranno i commentatori di regime di questo 15 ottobre, rievocando con la bava alla bocca i fasti repressivi di Genova… o infiltrati come preferisce la tradizione paranoide e squadrista degli stalinisti o la coglionaggine dei legalitari-giustizialisti).
Proseguiamo per via Labicana. Io continuo a seguire il corteo a sinistra, ma voglio tagliare a destra per arrivare a piazza S. Giovanni direttamente (niente da fare, non mi piacciono gli skinhead che bevono birra al Bar Colosseo… rinvio la deviazione). A quel punto di nuovo annunci dai megafoni del carro, questa volta dei Cobas, che ci invitano tutti a metterci sul lato sinistro perché hanno dato fuoco ad un cassonetto (in realtà si tratta di un po’ più di un cassonetto: una caserma, qualche auto, ecc…). Mi infilo nei giardinetti di questa villa, dove mi metto a chiacchierare col giardiniere precario, un po’ preoccupato dell’eventuale lavoro extra, ma d’accordo con la manifestazione… Sostiene che avrebbero fatto meglio a incendiare i palazzi del potere… Sorrido, pensando all’ingenuità strategico-militare dell’ipotesi (anche piuttosto qualunquista)… ma se non altro registro una vaga adesione ideale alla manifestazione nel pecariato assunto dal comune di Roma… Il corteo intanto, incurante dell’annuncio, ha riguadagnato l’intera larghezza della strada… Io lo attraverso e mi muovo per raggiungere prima piazza S.Giovanni… Lungo la parallela c’è praticamente un corteo bis, così devio ancora per traverse sulla destra e, all’angolo tra via Annia e via Celimontana, seguendo un improbabile gruppo di turisti tedeschi attempati, quando sono davanti al piantone del Policlinico Militare, vedo sfrecciare a tutta velocità svariate camionette e volanti di polizia e Carabinieri… Il tizio, piuttosto giovane e con un fucile di mezzo, mi chiede: “Ma che è successo?”. Escono anche un paio di impiegati dalla faccia sospettosa che non mi piacciono per niente… Rispondo: “Non so… dicono che hanno incendiato un cassonetto…”. Osservano: “Sì, lo sappiamo… ma tutti questi mezzi! Mi pare esagerato!”. Ordinano di chiudere la cancellata. Non si sa mai… Continuo a caracollare per via Celimontana e a questo punto per capire cosa sta succedendo accendo la radio. Radio Onda Rossa mi ragguaglia sul casino che c’è in piazza S. Giovanni, così decido di aggirare ulteriormente fino a che mi trovo all’angolo tra via della Navicella (dove sono parcheggiate tre camionette, nel caso dovessero estendersi gli scontri?) e via dell’Ambaradan. Provo ad avviarmi verso piazza S. Giovanni ma, mentre sento le notizie tremende della radio, vedo come un plotone che batte la ritirata. Musicisti di samba che con musi lunghi per la mancata esibizione. Chiedo spiegazioni e mi sconsigliano di continuare… dicono che la piazza è piena di lacrimogeni, le camionette fanno i caroselli. In effetti in quella direzione si leva un denso fumo nero e bianco. Alla radio sento la battaglia, l’accerchiamento, le cariche, gli investimenti, la piazza circondata… Vengo a sapere che appena ho lasciato il corteo in via Labicana c’è stata una carica (erano i mezzi che avevo incrociato prima all’angolo di via Celimontana). L’unica via di fuga sembra essere proprio via dell’Ambaradan, ma chi è in piazza non vuole andarsene. Si ostina in un corpo a corpo violento quanto sterile con la polizia, visto che il grosso del corteo tra l’altro è stato deviato verso il Circo Massimo. In pratica le forze dell’ordine hanno impedito la conclusione di una manifestazione legittima tagliando e isolando la testa del corteo. A quel punto i manifestanti isolati si sono incazzati e hanno preso a lanciare sassi insieme ai casseur di prima, usciti dalle traverse di via Labicana, che erano stati respinti anche in modo piuttosto ipocrita e sbrigativo dal corteo più frammentato e internamente conflittuale che abbia mai visto (Qui il “linciaggio” dell’iconoclasta per ristabilire la dottrina catto-comunista)… Insomma una débâcle… per la causa degli Indignados che avrebbero voluto accamparsi a S. Giovanni… una prova di forza della tenuta del “movimento” di fronte ad una polizia pasticciona (che presumeva di sgombrare fronteggiando mille o tremila persone legittimamente radunate) senza adeguati mezzi e con pochi uomini. Dopo aver lasciato che si innalzasse il livello di conflitto, lasciando scassare a casaccio senza intervenire (magari anche con qualche piccolo aiuto… ma davvero non ce n’era bisogno dato il livello di incazzatura crescente, da parte di molti anche nei confronti della manifestazione), chi era nella cabina di regia a manipolare i suoi reparti magari ha “ben” pensato di cercare il morto o il ferito tra le forze dell’ordine… sarebbe stato un precedente per un lunghissimo “divieto di manifestazione”, in perfetto stile fascista… ma non c’è stato… (scatta invece tra i “pacifisti”, o meglio tra i comunisti vecchio stampo anche un po’ reazionari, ad ogni botto di petardo, un coro automatico di “Fascisti! Fascisti!”, che vale per qualsiasi cosa non si conformi alla sfilata modello… giorni dopo infatti ci sarà una manifestazione pacifica della FIOM, giusto per neutralizzare del tutto e spegnere nelle narrazioni vendoliane o nella retorica sindacale di Landini il clima pesante e sovreccitato che s’è venuto a creare…). Così me ne torno passando dal Circo Massimo verso l’Arco di Trionfo… Sono tutti lì quelli che hanno abbandonato alle mazzate la testa del corteo… o che hanno prudentemente protetto i “pacifisti”… alcuni dei quali si scopriranno violenti delatori, fornitori di testimonianze audiovisive alla polizia… comunque facce tristi… Per quanto si voglia dipingere positivamente la giornata, risulta evidente che qualcosa è andato storto… e parecchio. Si sono scassati obiettivi a cazzo di cane, non si è compattato niente, non si è adottata nessuna strategia, non c’è stata particolare intelligenza tattica (giusto una prova di resistenza per i prossimi round), poca solidarietà tra gli spezzoni del movimento, tanta volontà di potenza di professorini e partitini del cazzo… Alle luci del tramonto, la mia impressione è quella di un esercito in ritirata… Così decido di andare controcorrente lungo il fiume arenato dei manifestanti e raggiungere nuovamente la stazione Termini. All’imbocco di via Cavour, dietro le ultime sigle anarco-sindacaliste, vedo plotoni di polizia in borghese dalle facce truci… brrrr… Risalendo via Cavour attraverso uno scenario fatto di vetrine rotte, macchine incendiate e scritte sui muri qua e là. Tutti si fermano a fotografare. Su tutto prevale il rumore delle camionette che puliscono le strade. Rumore di una normalità insensata e opprimente, anche nella distruzione degli oggetti più o meno simbolici…
Il nemico è nel portafogli…
Considerazioni
Insomma lo STATO D’ECCEZIONE modello Carl Schmidt continua (molti non se ne sono neanche accorti dato il poco peso che si è dato agli arresti preventivi nei mesi scorsi)… Doloroso vedere video in cui signore anziane vogliono menare i loro nipoti teppistelli (colpevoli solo di avere il look sbagliato)… Forse è proprio la “guerra di tutti contro tutti” di hobbesiana memoria. D’altronde le telecamere sono dappertutto… i punti di vista sovrapposti e confusi… la violenza idem… Semplificare (come si sta facendo, nel modo grottesco e incredibile dei media), in questi casi, vuol dire rafforzare l’apparato di sorveglianza e punizione e sollecitare l’Altro di cui ha bisogno il sistema per performare al meglio (il Terrorismo, ecc… che evidentemente proprio non c’è…). Le visioni del black bloc della Repubblica (davvero una farsa di articolo!), il pessimo servizio del TG3 che riprende quelle tesi, il prendersela coi soliti capri espiatori, che in realtà sfilavano tranquillamente in corteo senza far casino… fanno capire che l’azione repressiva sarà dura e indiscriminata…
Ma la crisi lo sarà di più… e metterà a tacere tutti. Non c’è niente da fare. Né azione, né reazione.
(scritto il 16 ottobre)
Oggi in ogni famiglia c’è almeno un nemico.
* * * * *
Nei giorni seguenti il mainstream mediatico e mediocratico (anche nel senso di mediocre) monterà la vicenda a modo suo… producendo più che altro una montatura insopportabile, portando i discorsi sulla dicotomia sterile e reazionaria violenza/non-violenza… come se non fosse violento rendere inutili le manifestazioni per anni, minimizzandole con le agenzie e i telegiornali; come se non fosse violento impedire in ogni modo che si sviluppi anche una rappresentanza istituzionale di istanze estranee alla religione liberale o liberista; come se non fosse violento, il giorno prima al Parlamento, scippare l’ennesima fiducia, questa volta col trucco dei radicali ligi ai regolamenti… come se non fosse violento bombardare i libici, come se non fosse violento negare diritti ai profughi rinchiudendoli nei CIE; come se non fosse violento derubare il futuro di milioni di persone con dei giochi di prestigio finanziari; come se non fosse violento barricarsi in una gerontocrazia di vecchi avidi, idioti e avari e impedire alle generazioni degli ultimi 40 anni di avere i diritti e le condizioni materiali delle precendenti; come se non fosse violento ogni fottuto supermercato, bancomat, casello autostradale o tornello della pubblica amministrazione, delle fabbriche o delle aziende; come se non fosse violenta l’idiozia imperante di dover continuare a pagare tasse e lavorare per sopravvivere… se non addirittura lavorare gratis… per ingrassare un mondo che premia in modo smisurato solo chi è più stronzo.
Dirò di più: il mainstream, lo Spettacolo, il taglio di montaggio del “potere”, vuole il sangue… Non c’è rappresentazione più perfetta di quella che rischia di smarrire il suo ordine, di quella che suscita emozioni primitive, sollecita il sistema, una reazione, una risposta… non c’è eroe mediatico migliore del black bloc… quanto meno del suo mito… Il Ribelle, l’individuo marginale (come può esserlo anche un broker rispetto alla Borsa o un massone rispetto allo Stato), che fino ad allora aveva zigzagato lungo il corteo per non farsi acciuffare (come io avevo zigzagato per disertare la fiumana di gente più o meno conforme, il drago…), ad un certo punto conquista il proscenio, diventa un mucchio di pixel su tutti gli schermi, con un estintore in mano… e tutti ad improvvisarsi detective, identificare, rendere identico quello che non lo è (che non corrisponde ad alcun modello, che mischia memi anche contradditori tra loro, versioni semplificate della realtà, format signoraggisti, perfino proto-nazisti…). Non è il Grande Fratello… non dobbiamo nominare chi deve uscire dal contesto della gabbia degli uomini liberi, giusti, onesti, residenti, cittadini a modo… Non si possono addirittura rispolverare leggi speciali (come ha ventilato Di Pietro: ”Si deve tornare alla Legge Reale. Anzi bisogna fare la ‘legge Reale 2’, alias Di Pietro, contro atti criminali come quelli di Roma. Si devono prevedere arresti e fermi obbligatori e riti direttissimi con pene esemplari”) dei tempi degli anni di piombo, per dei danni alle cose… ma ancor di più, per quello che tutta la società dello Spettacolo, della Simulazione e tutti i telegiornali in realtà desiderano. La notizia non c’è senza lancio di estintore, senza camionetta bruciata, senza bleccheblocche… Il sistema performa meglio dove si crina, dov’è in crisi, dove genera la sua crisi... Ecco che i ragazzi che sono stati messi sotto dai caroselli delle camionette e resistevano al nulla, al potere che non c’è (ma che ha ancora bisogno di manifestarsi, in modo spettacolarmente territoriale e dispotico, sotto forma di manganelli, solo per far credere che lì vi è del potere… in qualche luogo preciso, istituzionale) sono vittima di un equivoco. Non c’è realtà del conflitto… solo una crassa farsa, una simulazione beota. Specialmente quando il luogo è ad alta rilevanza mediatica. La realtà si neutralizza, scatta la simulazione generale… Si attiva l’auto-panopticon… tutti riprendono tutti, cominicia la delazione generalizzata, il monitoraggio reciproco… La polizia chiede ai cittadini di fornire le prove registrate dei reati… I poliziotti vengono ripresi nella loro più o meno sportiva azione repressiva. Tutti sono chiamati ad essere poliziotti e black bloc di loro stessi… si cerca di insinuare in tutti un conflitto schizofrenico (ma non era una manifestazione che contestava il “potere”?)… come schizofrenica è una manifestazione che deve necessariamente alzare il livello di scontro per poter attivare la digitalizzazione collettiva delle immagini, l’eccitazione dei sensori, perché si riprenda all’infinito, da migliaia di angolazioni diverse… e inevitabilmente si annulli e ingolfi il pur implacabile e tremendo divenire del reale…
Senza questo schizo-capitalismo non c’è Spettacolo… non c’è nulla da raccontare, né narrare… c’è un trauma infinito, irrisolvibile, senza esito. Ogni scontro-evento si avvita su se stesso in suddivisioni infinitesimali dello scontro, si annulla infine nelle foto ricordo e si spegne un po’ alla volta… Quel che resta è il dispositivo che innesca, la macchina del controllo automatico che si perfeziona, che impara dalla sua sollecitazione, le contromosse; dall’esperimento con cavie umane, la tattica militare e mediatica; dai desideri, il loro possibile reimpiego o il loro appagamento riproposto in forme più innocue, più fashion… con surrogati, feticci, nuove merci, nuovi modelli umani…
Nulla fa pensare che questo pattern non si replichi in futuro, dato che ci attendono anni di scontri sociali e politici… se non guerre vere e proprie…
“E’ interessante notare che, sul piano strettamente visivo, questi “riots”, queste azioni rivoltose, sembrano le uniche in grado di colpire alla stessa velocità dei famigerati mercati finanziari. In termini puramente simbolici, le fulminee azioni della guerriglia urbana danno cioè l’illusione di essere le uniche capaci di tener testa al ritmo forsennato della speculazione finanziaria, che abbatte i prezzi dei titoli, aumenta i tassi d’interesse e offre un alibi ai governi che colpiscono il welfare e il lavoro. Potremmo dire, insomma, che a un primo sguardo i “demolitori” sembrano i soli in grado di “colpire veloci” come gli speculatori” (Emiliano Brancaccio).
Un esempio lampante di dromocrazia… In un certo senso questa violenza furtiva e rapidissima ci colpisce in ogni istante migliaia di volte… con i mille dispositivi di comunicazione cui siamo connessi. Eppure tutta questa macchina(zione) ha un punto debole… dipende da pochi elementi di fondo (Denaro, Lavoro, Centrali, Modelli, ecc) che abbiamo troppo interiorizzato per mettere in discussione… Ma a questo punto, rimettere in discussione i “fondamentali”, giocare un’altra partita, è forse l’unica via d’uscita.
‘Non sono proprio tutte le persone che credevano in un modo o nell’altro nel sistema capitalista quelle che ora, deluse, vanno a protestare? Non è questa la gente che sente che il sistema le prometteva una dignità che ormai hanno perso? Non sono queste le persone che hanno creduto alla favola della “democrazia”?’ Questo è ciò che accade con tutte le chimere, alla fine evaporano, lasciando dietro di sé una scia di scontenti, defraudati, indignati.
Ci si dovrebbe domandare cosa può esserci dopo il paradigma uscito dalla Rivoluzione Francese… dalle Repubbliche, dagli Stati Nazionali, dalle Democrazie rappresentative… Si sta esaurendo un ciclo. E non ci si è neppure cominciati ad interrogare sulla dissoluzione della forma stato e quello che verrà… di certo non sarà la catastrofe che ci si immagina… dipende dai punti di vista…
Tutto decade e poi muore. Per fortuna di chi verrà.
Dopo i riot e gli arresti del 15 ottobre. I negriani vogliono solo un potere più diffuso, “moltitudinario” come dicono loro, ma mai coincidente con ciascuno (e ciò va in culo ai loro “figli”, a quelli che si sono buttati nella mischia rimettendoci la libertà)… vogliono fare i capetti… come hanno spesso fatto i marxisti. Loro sono “dotati”… Poi, qui in Italia, la carriera è assicurata… un posto lo trovano sempre i professionisti del “tumulto” col culo altrui:
“Riteniamo sia di fondamentale importanza riaprire la riflessione e il confronto su un nuovo federalismo post-statale, da intendere non come modello o forma di governo ma, al contrario, come processo orizzontale, pattizio, aperto, in grado di coinvolgere una pluralità di poteri, SOGGETTI ED ISTITUZIONI DOTATI ab origine di CAPACITA’ COSTITUENTE. Un federalismo, per usare le parole di Luciano Ferrari Bravo, concepito come CONCENTRAZIONE DI POTERE NON CENTRALIZZATA, capace di tagliare trasversalmente e ricombinare dimensione territoriale e sociale”.
Grande opera di recupero della protesta all’interno di una dialettica innocua… una deviazione della “locomotiva” su un binario morto… E’ una critica spuntata quella che non tocca i fondamentali (Lavoro, Denaro, Prezzo, Banche, Stato, ecc…). Un’altro esempio di come si stiano annacquando i dibattiti sulla crisi… arrestando la critica e l’analisi con un linguaggio gergale, vago e alquanto paraculo…
Alla manifestazione del 15 è poi seguita una serie di occupazioni… a partire da #occupywallstreet…che vedremo come evolverà. Si definiscono il popolo del 99%… conto l’1% di cattivoni. Il popolo bue (di ogni stato) ha bisogno di un colpevole, di un capro espiatorio per sentirsi migliore, “onesto”, privo di responsabilità… Forse fanno schifo tutti… sia l’1% che il 99%… chi più, chi meno. Per quanto mi riguarda, ho l’ambizione di non essere un vivente disposto ad essere sondaggiato in percentuali… né voglio imporre il peso della mia volontà e immaginazione… tanto più secondo logiche di maggioranza. Bisognerebbe inventare le regole di un nuovo gioco e metterle in pratica…
(Una divagazione estetico-intuitiva riguardo alle dimensioni che comprendono la nostra, suggerita da alcune teorie della meccanica quantistica e della gravità quantistica, che parlano tra l'altro di orizzonte degli eventi).
Per analogia, vedo, nel movimento con cui una bolla si strozza per diventarne più di una, questo passaggio da "buco nero" a "buco bianco"… Quest'ultimo a mio avviso potrebbe essere il big bang di un nuovo universo…
Sempre nell'analogia, il confine della bolla, come la linea di superficie, sono l'orizzonte degli eventi di ciascun universo-bolla, quello al di là del quale perde di senso l'unità quadridimensionale (spazio-temporale, definita da x,y,z e t). L'acqua in cui gli universi sono immersi e l'aria soprastante rappresenterebbero altre dimensioni che comprendono le 4 conosciute di cui possiamo avere esperienza e nelle quali ha senso per gli scienziati condurre esperimenti… Nell'acqua in questo caso non avrebbe alcun senso la singola bolla in sé (la sua relativa realtà spazio-temporale) ma la somma di tutte le perturbazioni che spostano gli universi dalla dimensione acqua a quella aria. Nell'acqua cioè non fluirebbe il tempo come distinto in presente-passato e futuro, ma come un insieme indistinto in cui le probabilità spazio-temporali hanno già creato forme definite, orizzonti di realtà (unversi-bolle, appunto). In una simile dimensione l'inizio, il presente e la fine di ciascun universo convivono, sono individuabili in un punto qualsiasi e secondo una direzione a piacere (un po' come accade per la posizione probabile dell'elettrone nella sua orbita). L'acqua preme, perturba e deforma gli spazio-tempo, gli universi-bolla, li costringe nella loro evoluzione temporale, ne accelera o rallenta la dinamica dei movimenti (ecco che si spiegherebbe anche l'accelerare dell'allontanamento delle galassie, l'accelerazione del redshift), prima di consegnarli all'"aria"… E l'aria cosa potrebbe essere se non la pressione che produce gli universi spazio-temporali, solo più allentata, divenuta gas?… ecco dischiudersi un impensabile spazio-tempo senza orizzonte… Una sorta di rimescolamento del tempo, dei poliversi (o multiversi, dicono i fisici) dallo spazio-tempo reversibile… si sarebbe liberi, se si potesse essere e vivere in quella dimensione, di non essere se stessi, di andare avanti e indietro nel tempo, trasformarsi… Ovvio che secondo questa logica frattale le variazioni e i cambiamenti di stato possono essere infiniti… all'aria potrebbero aggiungersi infiniti altri elementi e dimensioni… in una processione senza origine, né fine, complessivamente senza senso… ma in-finita, localmente sensata…
(Scartando le noiosissime ipotesi di un tutto che sia un perfetto niente o un tutto pieno omogenei) Dio sarebbe infinitamente torturato dalle esistenze e dalle fasi di transito, dunque non esisterebbe mai in quanto Tale… Noi siamo una di quelle sevizie… seviziati a nostra volta dalle turbolenze che ci scomporranno in nuove forme… piccole divinità provvisorie relativamente felici di esistere e terrorizzate dalla loro fine relativa…
Non credo ad ogni modo che dimensioni diverse non possano comunicare tra loro (se già non lo fanno… la natura animale e del pensiero si muove in modo molto misterioso per esempio)… Mi piacerebbe imparare a cambiare forma. Prima di morire, possibilmente.
Il bello è che, dopo aver scritto queste righe, scopro che qualcuno ha già pensato un multiverso inflattivo a bolle! 🙂
"L'universo sembra un enorme frattale in crescita. Consiste di molte bolle inflattive che producono nuove bolle, che a loro volta producono altre nuove bolle, ad infinitum. Perciò l'evoluzione dell'universo non ha fine e può non avere alcun inizio. Dopo l'inflazione, l'universo si divise in domini differenti di grandezza esponenziale nei quali le proprietà delle particelle elementari e anche le dimensioni dello spazio-tempo potevano essere differenti".
Chi ha scritto queste parole è uno scienziato appassionato di riflessi sull'acqua e un grande fotografo… Un fratello frattale russo… solo un po' più ricco di me…
In occasione della “Notte dei Musei 2011”, ho approfittato per fare una visita alla “Galleria Nazionale di Arte Moderna” di Roma, dove c’era anche la mostra sui Preraffaeliti… Ho anche le foto ad alta risoluzione per farne dei poster… Qui uno slide:
Credo di aver scattato delle belle foto… anche se non sono i quadri e le statue viste dal vivo… I riflessi in alcune foto mostrano quanto siano male esposti alcuni quadri (faretti fulminati o mal direzionati)… ma stando vicino alle pennellate degli autori ci si può spostare per vedere meglio… l’astrattezza o la matericità del dettaglio, l’insieme, i volumi, la fattura, le mille percezioni della stessa cosa (…quellatecnicamente riproducibile con una macchina fotografica e stampabile, scansionabile, visionabile su schermo, ecc…). Attraverso le opere stringi la mano di Gustav Klimt, di Dante Gabriel Rossetti, di Edward Burne Jones, di Gaetano Previati (il mio preferito). E questo non lo potresti fare attraverso una fotografia. Non troveresti il varco…
“Venere che apre i cuori”… con le armi di Eros+Psiche (freccia+farfalla)… Troppo comodo…
Esageratamente leziosi, spocchiosi, i Preraffaeliti… Quel che si intende per “torre d’avorio”… Il che non esclude l’addensarsi di un’evanescente bellezza che fiorisce nella solitudine dorata… e che conserva le tracce di un doloroso ripiego. Quello che tutt’ora viviamo nel chiuso delle nostre case-celle.
E poi c’è sempre tutta questa carne nei quadri e nelle sculture di fine ‘800 esposte alla Galleria Nazionale di Arte Moderna (chiamata, con un pessimo acronimo mangereccio, “GNAM”)… gettata in terra, rapita, avvinta da perversità e lussurie varie, esotica, pagana, improbabile, kitsch… che, con una progressione sadiana (nel senso de “Le 120 giornate di Sodoma”) slitterà verso i cumuli dei corpi di Auschwitz… Voglio pensare che sia stata una deviazione feroce dalla delicatezza e dall’interesse per la linea curva femminile… Un po’ come Nietzsche che avrebbe potuto non essere frainteso dal nazismo… Ma la morbosità che ha accompagnato la dissoluzione dell’idealismo e la sua mistica contorta (fino ai suoi ultimi lampi genocidi) c’è tutta…
Nell’epoca della pornografia, rivedere tutto questo prurito degli artisti, che provava a bucare le maglie della Storia, fa pensare che sarebbe potuta andare diversamente… rispetto alle orribili, tetre e segaligne figure del Ventennio cui è stata indegnamente dedicata una sala della GNAM (…ma del resto siamo nella città che ha come sindaco un tale sposato alla figlia del fondatore di Ordine Nuovo e che compra le case occupate da movimenti di estrema destra).
Il Simbolismo e i suoi misteri sono rimasti chiusi nel silenzio impotente di una cospirazione silenziosa (estatica, dionisiaca, allusiva, individualista) degli artisti, che evidentemente non è riuscita… se non degradandosi a seduzione pubblicitaria o fosse comuni. Secondo me li ha fregati l’Ideale… che continuava a sopravvivere come un pericoloso fantasma distruttore, pur nella nietzschiana assenza della Verità e di Dio, grazie ai suoi apparati coercitivi che erano rimasti tutti in piedi… Avrebbero dovuto ridere di più delle forme e fare qualcosa, invece di affermarsi come artisti liberi, eccentrici, ai margini di una Società che stava rimpiazzando i Sovrani fino a diventare l’orribile “soggetto sociale globale” che regna nella bruttezza e nella perdita completa delle conoscenze e delle abilità artistiche e artigianali delle attuali “democrazie” (l’arte contemporanea, se pur suggestiva o consapevolmente insensata, la potrebbe fare chiunque… Alla fine sono cacate, come quella inscatolata di Manzoni… S’è persa la fattura, ma anche l’arte… c’è solo deformità o design…
Il punto è che noi stessi siamo arte, siamo artati, costruiti, senza Verità, ma vivi… Non siamo fatti in serie come vorrebbero succedanei macchinizzati dell’Idealismo… Semplicemente non ci rendiamo conto delle potenzialità che potrebbe avere questa consapevolezza, se solo si ribaltassero i rapporti di forza e di potenza… e si usassero i loro strumenti, superando la divisione del lavoro e la catena di montaggio che frantuma le conoscenze e le ideologie in memi, che separa gli spazi, crea tornelli e confini e che ci considera mero materiale, merce, risorsa, mucchio di competenze messe a profitto… o spreco, rifiuto…
Il libero accesso ai musei ha suggerito anche questo… dovrebbe essere sempre così e dappertutto… anche nelle caserme, anche nei manicomi, nelle prigioni, nei luoghi di lavoro…).
Qui, di questo culo di marmo, incomprensibilmente nascosto ai visitatori, su cui è scolpita persino la cellulite, che non è donna ma è marmo solo per caso… dicono così: L’ambiente è stato intenzionalmente caratterizzato, per la statuaria, dalla figura femminile nell’immaginario spiritualistico di fine secolo: l’innocenza, il peccato, la maternità, la vedovanza. Anche la selezione dei dipinti, di scuola romana e settentrionale, si subordina al clima simbolistico ed evocativo proprio della parabola crepuscolaristica “in negativo” di fine Ottocento che l’esordiente Boccioni definirà “emporio di sentimentalismo moderno”.
Con Boccioni però la luce (…la pennellata) sapientemente scomposta da Previati e dal suo Divisionismo si fa violenta, deformante, anti-accademica… fino ad approdare al ribellismo fascistoide e bellicista del Futurismo marinettiano… Quelle potenziali soggettività femminili vengono sfregiate, scomposte, macchinizzate… Si dovranno attendere gli anni ’70 per cercare di liberare quei corpi dalle stratificazioni edipico-masturbatorie maschili (perciò queste madri o peccatrici erotizzate scolpite nella fredda pietra… provate voi a penetrare una donna di marmo!… essa è interdetta al sesso in modo evidente, pur evocando l’agognato contatto ad ogni levigata dell’artista o alla possibile carezza del visitatore)… e gli anni ’80-’90 e questo primo decennio per ritornare prepotentemente alla restaurazione senza fronzoli del circo del desiderio masturbatorio (sempre maschile… tendenzialmente violento, imbecille e con donne anorgasmiche) con l’estetica porno o con le modelle e veline varie… Con l’erotismo hard(ware) e soft(ware)… a seconda delle gradazioni di intensità… con i videogameammazza-e-spara veri o virtuali…
Insomma, quel che intendo dire è che quella sensualità e quell’interesse morbosetto di fine Ottocento, nelle loro promesse mancate, forse erano meglio dei loro sviluppi… Su qualche statua si deposita persino la polvere. Più nessuno le accarezza.
La mia traversata del corteo serale (organizzato da Centro Donna Lisa, Donnedasud, le Facinorosse, Infosex-Esc, Lucha y Siesta Action-A, le Malefiche, la Meladieva, le Ribellule, SuiGeneris) dell’8 marzo 2011 a Roma, dalla Bocca della Verità fino a Campo de’ Fiori, all’indomani delle notizie circa lo stupro di una donna in una caserma dei carabinieri, avvenuto in un contesto di politiche reazionarie e razziste avviate da tempo dal governo italiano e dal sindaco Alemann0… e altrove rispetto ai fiocchi rosa di altre manifestazioni più edulcorate e ripulite (che rispolverano addirittura la “nazione” nelle loro rivendicazioni radical-chic) del femminismo d’accatto e superficiale radunatosi intorno alle esternazioni di Concita de Gregorio, alle tesi de “Il corpo delle donne” e di “Se non ora quando”…
Io, personalmente, ho partecipato volentieri in quanto trovo insopportabile la pressione di questo stato sulle vite e sulle libertà individuali dei soggetti più esposti alla crisi epocale del capitalismo che stiamo vivendo (…anche se forse è proprio nella crisi che il capitalismo si esalta maggiormente e scopre la sua “verità” più violenta… e, localmente, dispotica… es.: in alcuni stati chiave, nelle relazioni private, nelle forme mafiose del capitale, ecc…).
Donne, migranti, precari, disoccupati… il fronte si allargherà man mano che la crisi avanza… Non sarà più solo una questione di diritti civili… e non ci sarà manipolazione mediatica che tenga…
E’ il momento sia di agire in modo più efficace, modificando direttamente i rapporti sociali, che di spremersi le meningi per pensare e costruire le regole del gioco di un futuro radicalmente diverso da quello che vorrebbe prospettarci questa classe dominante elitaria e senza scrupoli… (che non è una “casta”, una “cricca”, una “lobby”… come se da qualche altra parte potesse esserci invece un improbabile capitalismo buono e virtuoso…).
Avendo acquistato una videoreflex, la panasonic GH1, e in attesa di nuovi pregevoli video, ecco alcuni miei scatti, presi qua e là… Ovviamente non sono pubblicati alla massima risoluzione, ma rendono l’idea… Buon viaggio.
Un assaggio della qualità del video anche a luce bassa è questa mia prova con l’ud di “Scenes of Instanbul” di Omar Faruk Tekbilek.
Tagliatore di morfemi, in particolare di prefissi, trasformò:
– l’individuo in dividuo
– il soggetto in getto
– il comunismo in munismo
– l’autonomia in anomia
Se Nietzsche filosofava col martello, egli usava piuttosto l’accetta (quando non erano rintracciabili, articolazioni, viti o bulloni per separare i giunti delle parole).
Munista, dividualista, inventore di nuove scienze quali la psicanalogica e l'a-linguistica, talvolta aggiungeva dei prefissi… prevalentemente “anti-”:
- anti-identitarismo
- anti-territorialismo
- anti-comunitarismo
- anti-universalismo
- anti-umanesimo