“T.I.N.T.A.” o “T.I.N.A….T.D”
Sono acronimi da me inventati per l’occasione che stanno per:
There Is No Thatcher Anymore
o
There Is No Alternative… To Death
Era colei il cui ritornello più noto risuona ancora oggi nelle parole di Draghi, per esempio… quel reiterato:
(“non c’è alternativa”)… o quell’altro aforisma (condivisibile, anche se dall’altra parte della barricata):
(“Non esiste una cosa come la società”). Insomma un ipotetico generatore automatico di aforismi thatcheriani dovrebbe iniziare con “There Is No…” qualcosa.
Eccola qui sotto insieme all’altro morto con cui ha edificato il delirio neoliberista che, dopo un breve periodo di molto relative vacche grasse (per la borghesia capitalista o per i Paesi Occidentali: il cosiddetto welfare state sorretto dal deficit spending keynesiano, sostenuto dal parassitismo neocoloniale e dall’“estensione della riproduzione” del capitale), ha posto le basi (*) dell’attuale disperazione strutturale (frutto di un mix letale di nuove strategie militari, industriali, monetarie, finanziarie, cui hanno contribuito anche le teorie di economisti come Friedman, von Hayek, ecc… nonché le ultime tentazioni anarcocapitaliste in pieno sviluppo, da Rothbard in poi…):
E qui qualche esempio in musica della gioia anticipata per la sua dipartita, da me velocemente raccolto in una playlist (play it loud, dance and have fun!):
(*) Per meglio dire: la strategia keynesiana precedente aveva già prodotto sicuramente pessime illusioni sulla natura “sociale” dello sviluppo capitalista… ciò non toglie che la Thatcher non sia stata una figura storica odiosa. In realtà, per trovare le “basi dell’attuale disperazione strutturale”, almeno per me, bisognerebbe scavare fino a strati risalenti a millenni prima… (che so? la nascita del cristianesimo… e più in là la trasformazione dell’individuo da anima indivisibile e contratto di successione in “cittadino”…).
Suonare, risuonare e morire.
Suonare strumenti (a corda, nel mio caso) è una danza di dita cui a tratti si potrebbe andar dietro con la voce… (chiaramente una danza sulle scale imparate e possibilmente dimenticate mentre si sta suonando… la mente è sempre da un’altra parte, per me, quando si suona).
Viene prima il ritmo (lo sviluppo regolare e ciclico nel tempo di un movimento o di un legame che non distingue ancora tra musica e rumore) poi la simultaneità armonico-timbrica entro cui si sviluppa la melodia (l’emergere distinto delle frequenze regolari e in relazione armonica dal caos del rumore)… che si connette con la voce solo alla fine, deformando laringi e muscoli facciali, rendendo ciò che chiamano “soggetto” una specie di onda formante dell’onda portante (che si produce come ho descritto all’inizio, spingendo collateralmente alla secrezione, circolazione e consumo di umori di ogni tipo).
Questo non vuol dire che ciascuno degli elementi autonomizzati che ho descritto (ritmo, armonia, timbro, melodia, voce, espressione) non possa riformare l’intero processo a sua somiglianza…
L’estasi (il sono-fuori-di-me, nel senso del suono più che dell’essere).
I musicisti non suonano… sono suonati.
(da “Come vivere senza essere in tre capitolazioni”)
Non sono “consustanziale” al sistema che contesto (non riconoscendone neanche la “sostanza”). Il sistema che fa sì che il mondo sia a noi comprensibile, la razionalità dell’Occidente e del capitalismo globale, si sovrappone ma non coincide col (sog)getto che sono. Non vendo i miei sogni, la mia (in)coscienza, la mia carne, le mie molecole, anche se son già pronti a prelevarmi DNA o a espiantare i miei organi! C’è qualcos’altro che resiste, c’è tutto che resiste (e non è il lacaniano oggetto “piccolo a”, nè un tag “a”). L’eccezione che (io) sono (o suono?) al sistema (anche se partecipo alla sua sostanza ovvero alla sua finzione, al suo spettacolo) non verrà più reintegrata. Come non sono reintegrabili le stelle e l’intero deserto che è la Realtà, per una posizione pur così intransigente e desiderosa di reinvestire.
(da “Chi è senza mercato scagli la prima pietra…”)
Chi suona non sta suonando e dimentica quel che sa… le mani si muovono da sole… è un esercizio di dissociazione, di spossessamento… dell’autore, del soggetto, del musicista, ecc… che dovrebbe essere suonato prima di suonare… “Io sono”, nel senso di io suono…
Suonare è sempre risuonare (è un fenomeno senza origine o fine, senza alfa & omega … ri-suoniamo sempre… neanche il silenzio è silenzio finché è possibile udire, finché c’è qualcosa).
Il silenzio del silenzio, quello definitivo, comunque mi atterrisce… morire non è come addormentarsi… non mi si può dire “non è niente”… è niente… Come accettare allora di vibrare nonostante tutto (o il niente, che è lo stesso)?
Come non capire che vivere è un errore (un errare) che si paga infatti con la morte? forse giusto morendo… o vivendo… che è la stessa cosa… è quel che facciamo, in effetti… oscillando… (nessuno scampo gnostico).
Un brevissimo-lunghissimo riverbero di in-finito… piacevolmente incosciente, dolorosamente cosciente, dolorosamente piacevole, piacevolmente doloroso, incoscientemente cosciente, coscientemente incosciente, ecc…
* * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * *
Con i miei amici dell’ex Volo Notturno, Fabio (autore della linea di piano nel video qui sopra) e Antonello, c’è stata una bella session il 26 dicembre 2012 (purtroppo senza testimonianze audio o video)… erano anni che non suonavamo insieme ma è stato come se non avessimo mai smesso di suonare.
Il metodo consiste in questo: uno comincia una struttura armonico-ritmica, l’altro la perturba con controtempi, rumore e dissonanze, poi si riporta ad un compromesso d’ordine per poi ricominciare con il disturbo… creare il vuoto per far infilare l’altro per poi, una volta che l’altro lo riempie, crearne subito un altro… il movimento sconnesso che consegue è più o meno come l’eracliteo: “Dai discordi splendida armonia”.
“Tempus fugit – morte di uno spettatore” | un video di Valerio Mele
Dopo il folle pluriomicida alla prima dell’ultimo orribile Batman e l’ambasciatore ucciso forse da veri colpi di arma da fuoco mentre era intento a conquistare mondi alieni tramite il videogame multiplayer “Eve online” (il suo epitaffio: “FUCK – GUNFIRE”… traduzione approssimativa: “Cazzo – sparano”), forse è il caso di limitarsi a constatare il decesso simbolico degli spettatori, ormai non più in grado di opporre alcunché al flusso straripante di immagini che scherma, in modo sempre più idiota, una realtà killer…
Così ho prodotto questo breve video di un minuto appunto per costatare il decesso (forse anche il mio) dello spettatore sommerso dal mainstream o dell’internettiano annegato nella navigazione virtuale.
Tecnicamente, si tratta di un cielo in croma key che rivela un timelapsing di bellissime nuvole striate con piccoli cirri precedentemente girato. Vi sono inoltre pesanti correzioni di colore e aggiustamenti del volto in primo piano con filtri compositi e colorazioni varie (ho fatto il possibile per ritoccare asperità e sovraesposizioni… le mie occhiaie, cari criticoni, sono comunque paragonabili a quelle del morto davanti allo schermo, più o meno…).
Dalla “liberazione sessuale” a GG Allin qualcosa deve essere andato storto…
Il punto è che il ritorno del rimosso, ovvero l’ipotesi “rivoluzionaria” post-freudiana che una produttività bruta, la libido, possa sollevarsi contro i tabù e le prescrizioni della “civiltà” modificandone le strutture, indica in realtà le risorse materiali (non impiegate direttamente nella produzione ma nel consumo distruttore di risorse) le quali dovranno essere riprodotte successivamente in qualche modo (che guarda caso è sempre lo stesso, questa sorta di immaginario “motore a due tempi” diviso tra produzione primaria e secondaria, economia e politica, struttura e sovrastruttura, ecc…). Spesso invece questo dispendio (è il caso di GG Allin, ma anche dell’ordine circense del porno, come dell’attuale modo di produzione) diviene immediatamente produttivo, dispositivo per capitalizzare (spettacolarizzare, simulare, feticizzare, surrogare) fino all’estremo (se non fino alla morte) la vita… precarizzandola, privandola progressivamente di qualunque possibile relazione, progettualità e strategia, chiedendo un “di più” irrecuperabile, imponendo sottilmente una sorta di obbligo debitorio “individuale” (“idiota” in senso aristotelico) che ha sempre strisciato nei secoli tra dispotismi e democrazie…
Considerazioni postume (7 settembre 2012)
Ciò a cui teniamo di più e che riteniamo al di fuori del “sistema” o contro di esso è già capitalismo.
Non c’è una natura o una sessualità che sia estranea a questo rapporto sociale.
L’importante è cosa si monta e come (anche nel senso della sequenza di montaggio). La natura e il sesso sono un artificio.
Pensare (e vivere) a partire da questo. Nessuna nostalgia di una “sostanza” o di una “origine” perduta ha più senso. Ciononostante c’è sempre un fuori immaginario (che diventerebbe reale) da mettere in moto per scatenare i giunti della Grande Macchina.
Lavorio della morte o del futuro… dell’a-venire.
La droga delle religioni
“Può portare il soggetto a forti allucinazioni visivo-auditive definite come “di pre-morte”, con la percezione di ‘entità disincarnate’, apparenti visioni del futuro (flashforward) e vista del proprio corpo dall’esterno. […]
C’è ragione di pensare che l’organismo sfrutti molecole con azione simile in condizioni d’arresto cardiaco per preservare l’integrità del sistema nervoso centrale e periferico”.
(tratto dalla voce Ketamina della Wikipedia)
Stamattina, appena svegli, io e la mia fidanzatadiscutevamo dell’importanza degli umori (gli attuali neurotrasmettitori) per gli esseri umani… e ipotizzavo l’esistenza di un’endorfina estremamente potente, capace, in prossimità della propria morte di renderla più accettabile (un po’ come c’è l’orgasmo perché ci si riproduca, ecc…).
In realtà ancora prima si parlava dei residui dell’androginia fetale sul nostro corpo… Ci si poneva domande tipo:
– Perché gli uomini hanno i capezzoli se non servono?
– Perché hanno una sutura longitudinale sullo scroto?
Di conseguenza notavo una sorta di lavoro della morte al principio della vita, che uccide selettivamente alcune cellule, membrane, ecc… per forgiare le forme umane che riconosciamo come tali. Da lì poi si è passati a parlare della morte (cazzo, appena svegli!!!)… e dunque di religioni e umori (questi sarebbero la base animale, indifferente e “innocente” della costruzione corporea delle etnie, animica delle religioni e razionale dell’apparato militare… tripartizione di cui parlavamo invece ieri a cena…).
Insomma i discorsi di una normale coppia…
Fermo immagine | Discontinuità
Fermo immagine.
Su di una panchina vicino al Colosseo, viale della Domus Aurea… Lei sdraiata con la testra poggiata sulle cosce di lui, che è seduto…
LEI – Ma cosa rimarrà di questo istante?…
IO – Quale istante?
LEI – Questo… Non lo possiamo fermare… A questo istante succede un altro istante e poi un altro…
IO – Beh… diciamo che è un’impressione… quella che il tempo scorra… noi ci siamo immersi… ma non è detto che un istante non sia “sospeso” tra presente-passato e futuro, tra ordine e caos entropico… e ogni istante non sia scomponibile… all’infinito… Si, ma in effetti il tempo scorre… e non possiamo farci niente…
LEI – Sì… e poi moriamo… E che senso ha tutto questo?
IO – Tutto questo cosa?
LEI – Tutto questo: il sole che ci scalda, la panchina, l’amore…
IO – Nessuno… C’è… Dà l’impressione che ci sia un senso, solo per il fatto che (probabilmente) ci siamo… siamo catturati in questa vibrazione più o meno armonica… Ci siamo ritrovati da questa parte… Ma il senso esiste solo in quanto vi è un non-senso… Te lo domandi quando sei viva… te lo domandi da sveglia… ma se dormi non ci sono più queste domande… Dunque quando ti poni queste domande, dormi…
Si appoggia con una guancia sulla mia coscia destra. Le scosto i capelli con la mano sinistra e le accarezzo la nuca, mentre il sole le illumina l’altra guancia… Si addormenta. Prima di cadere nel sonno mi stringe la mano per un istante. Poi quel che io vedo (il tizio che fa 太极拳, l’uomo seduto di fronte con gli occhiali da sole, i due che si riprendono a turno con una steady-cam dotata di braccio meccanico) lei non lo vede… Probabilmente neanche io.
Discontinuità.
Dopo quello che ho chiamato l’ultimo filosofo, dopo l’apertura decostruttiva (Derrida) o macchinica (Deleuze) del post-strutturalismo… dal piano della riflessione, si è passati alla realtà. Nelle fondamenta del mondo si aprono voragini, tutto quel che era crolla e va in frantumi… impossibile recuperarne il senso passato, impossibile costruirne uno futuro. Non possiamo percepire l’85% della materia (il fantasma fecale del nostro cosmo), siamo ciechi per 4 ore al giorno per via delle saccadi, ascoltiamo musica con 44.000 silenzi al secondo che non percepiamo, tra un atomo e l’altro vi sono spazi, campi, relativamente immensi, tra le stelle e le galassie vi è una dimensione spazio-temporale discontinua… granulare, a brane, a più dimensioni… abbiamo un genoma spazzatura che sta lì senza un perché (e questo solo perché non trasmetterebbe “informazioni”…), un chilo e mezzo di batteri nel nostro corpo, vediamo il flusso di immagini senza vedere i singoli fotogrammi, vediamo l’immagine sullo schermo senza vedere i pixel RGB.
In economia la valorizzazione che conta è in negativo… è il buco di bilancio a creare valore… buco che si è ormai diffuso (“spread”) ovunque… e ce l’hanno un po’ tutti (e questo alla lunga rende impossibile il capitalismo, che può perpetrarsi solo crinandosi in crisi, accumulando con ferocia o sopprimendo i creditori di volta in volta… Dunque compaiono buchi e distorsioni anche nel Diritto e nelle democrazie… nelle ideologie come nelle esistenze messe precariamente a lavoro… Ma la violenza è un lusso che è possibile fino a un certo punto…).
Infine, viviamo morendo progressivamente…
L’informatica sembra consacrare una cospirante assenza di spazi di ambiguità, obbedendo solo alla logica binaria di input/output (I/O) il nuovo soggetto monadico, computante e paranoico inventato da Leibniz, che magari Freud provò ad investire di (s)cariche libidiche, di giubilo di fronte al rocchetto che compare e scompare davanti agli occhi dell’infante (il gioco del fort-da, una specie di cucù-sèttete), ma che, dato il numero incredibile di ripetizioni di impulsi I/O che quella logica gestisce, per esempio, in un processore, è più un rumore disarmonico, il ron ron della macchina di cui delirava Antonin Artaud… quello che ci svuoterebbe appunto di quello che c’è in mezzo tra un sì e un no, tra un vivente e un morto… quello che continuiamo ad affermare contro Tutto, ad ogni passo, ad ogni impulso elettrico della nostra chimica (dis)organica… tra scosse, brividi, contrazioni, decontrazioni e fasci di nervi…
Insomma questa vita quantizzata, digitalizzata, discontinua è insopportabile. Spossessa continuamente di sé… ma in un modo che non è quello proprio della natura… Bataille avvertì che siamo accomunati intimamente dalla “continuità” (la “sozzura”, la morte, il sesso)… io non avverto niente di tutto ciò. Non ho niente in comune con niente e nessuno… mi percepisco come una discontinuità imprevedibile e radicale, priva di appartenenza… un vivente assolutamente contingente. “Sentirai di appartenere al tutto quando non sentirai più”, mi dicevo l’altro giorno alle 5 di notte, senza capire il senso di questa frase… Questo tutto di cui sarei parte dunque non esiste che a condizione di morire e non è conoscibile… Resto dunque una parte eccedente… schizzata fuori di -getto dal Tutto, che è infinitamente meno di quel che c’è ora, nei pressi, in questa stanza, tra le mie dita sulla tastiera illuminate da uno schermo a 60 Hz di refresh… prima di chiudere gli occhi come Shiva e far scomparire questo misero assoluto in un sonno incomunicabile… anche a “me stesso”, a questo nodo attorcigliato… in procinto di sciogliersi.
Buonanotte… zzzzzz.
E’ ri-morto.
“Questo quadro!…”, gridò il principe, come colpito da un’idea improvvisa. “Questo quadro!…”, ripeté.
“Ma questo quadro può far perdere la fede!”
“Infatti la si può perdere”, confermò inaspettatamente e all’improvviso Rogòzin.
(F. Dostoevskij – L’idiota)
In effetti è un quadro che va persino oltre i peggiori incubi di Quentin Tarantino (poiché rimane indefinitamente lì, in un teatro misero di cui sfonda la quarta parete, senza redenzione alcuna)… Un quadro ateo. La Kristeva ha scritto un saggio a tal proposito in “Sole nero – depressione e malinconia”…
RESTIAMO UMANI.
Basta discorsi vittimari. Non c’è bisogno dei “nostri morti” e tanto meno di fratellanza per poter parlare, pensare, emozionarsi, agire. Questo è pasto totemico, necrofilia… quello che il cristianesimo chiama “comunione”. Non vedere il contesto generale, incantarsi a guardare un dettaglio… seguire lo sversamento del mainstream. Sentirsi fratelli. Essere conformisti.
Basta leggere o rileggere qualcosa di Nietzsche, Stirner, Lautréamont o Foucault… per capire come l’umanità sia un’invenzione… una divinità subdola.
Giustamente Nietzsche collocava il tentativo fallito di superamento dell’umano al mercato, in Così parlò Zarathustra… “Tutti gli uomini sono uguali” lo dice il mercato… e lo sono davanti alla merce (prima che alla Legge, anch’essa una merce ideologica, usata da una classe che nasconde continuamente i rapporti di disuguaglianza profonda, se non la violenza più efferata, dietro concetti astratti e “umanitari” appunto). E non a caso Marx parlava del denaro come dell’equivalente generale di tutte le merci… L’uomo liberale, in quanto misura di tutte le merci (più che di tutte le cose), diventa il denaro stesso (o, nella forma peggiore, il capitale, soggettivandolo)… Per l’uomo liberale, borghese, gli uomini diventano il prezzo giusto… merce o denaro equivalente. E si può acquistare il loro tempo e la loro vita, in maniera più o meno giusta. A questo punto la legge della domanda e dell’offerta, la “mano invisibile”, farà il resto… e alcune vite umane finiranno per non valere niente…
L’Umanità, la Fratellanza, le Famiglie, le Nazioni sono delle prigioni, dei bracci della morte… Viviamo in degli “isolati” che ricordano le baracche dei campi di concentramento e ancora parliamo di umanità senza vedere cosa abbia comportato questa livella insensata e indiscutibile… o questa bandiera comune che spesso si sventola, come se fosse neutrale e fosse cosa buona e giusta… Ognuno di noi è differente e singolare, speciale (anche senza specie, senza specchio), irripetibile… questo è il bello. Le combinazioni sono incalcolabili. Eccedono l’immaginazione e le categorie. Questo traboccare scioglie i recipienti astratti, li rovescia sui pessimi inventori delle barriere, dei confini, delle composizioni di classe… Prima di porre l’umanità al servizio della “lotta di classe”, occorrerebbe rivedere le tassonomie di Linneo e quanto siano cadute in disgrazia, grazie all’inclassificabilità dei funghi, per esempio… Ecco, mi cito: “Siamo saprofiti temporaneamente umani”.
Non “restiamo umani”. Noi moriamo. Allo stesso modo, viviamo… temporaneamente… e non c’è trascendenza che tenga…
Ciò che ci avvicina non sono delle finzioni (quelle servono ai p.r. del Circo Barnum della politica o dei social media), ma la consolazione reciproca e occasionale da questa disperazione (questa sì, umana e solo umana) di fondo… o le scosse mortali/vitali dell’orgasmo… Non sentite anche voi come vi lavorano dentro i funghi? Come voi stessi siete in qualche modo già ora i funghi che vi attraversano e vi trasformeranno in concime? Occorrerebbe una macchina per tagliare i nomi astratti dalle nostre teste…
De-composizione di classe…
“Dichiarazione universale dei diritti umani”:
« Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti.
Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza».
Fratellanza? Ragione? Coscienza? Nascono liberi e eguali di diritto, ma poi?… se non si sentono “fratelli”? se sono irragionevoli? Se sono incoscienti, matti, idioti?… C’è la galera, il manicomio, la guerra, la repressione, ecc… E quanto alla Costituzione Italiana: cos’è questo umano (che qui si circoscrive al pericoloso e semplice “cittadino”) “senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione” se non moneta vivente, merce su due gambe, merce al lavoro, uno schiavo col contentino della medaglia della “dignità”?… A me l’umanità fa orrore. Ci sono alcune persone… ecco tutto… ognuno si scelga quelle che ritiene più simpatiche e non pretenda di imporre la sua simpatia come un valore astratto valido per tutti… (diffidare dei simpaticoni…). La regola generale, per quel che so e ho visto sino ad ora, è che per lo più ci stiamo tutti reciprocamente sul culo… La fatica è non far sì che questa cosa diventi un problema, con “maggioranze” o “minoranze” (…rappresentanti di una classe) che intendano soggiogare a sé tutti gli altri (inclassificabili soprattutto)… con strumenti e linguaggi comuni (monete, etimi, simboli, immagini, memi, narrazioni, ideologie) concepiti fin dall’inizio per innescare e incentivare competizione, sopraffazione e sfruttamento…
“Per i vili e gli increduli, gli abietti e gli omicidi, gli immorali, i fattucchieri, gli idolatri e per tutti i mentitori è riservato lo stagno di fuoco e di zolfo: questa è la seconda morte” (Ap 21,8).
Ma siamo così sicuri che la morte spirituale (la seconda morte, in quanto la prima sarebbe quella “corporale”) sia una brutta cosa? Forse il cristianesimo esperisce la morte in maniera poco onesta… la fiction improbabile e costruita su paure e puntelli ancestrali che edifica per far accettare l’inaccettabile forse cancella la realtà: la condizione miserabile dell’esistenza umana. Bella quanto effimera… nata come rottura di un equilibrio che non ci prevede mai come entità autonoma e assoluta, ma come vibrazione momentanea… come quella della codina perduta dello spermatozoo che eravamo. Io non credo in una folla di miliardi di spettri in attesa di giudizio. La sentenza è già scritta. Morirete punto e basta. Tutto questo non doveva esserci. Senza considerare che senza una perfetta morte o nerezza non rinasce proprio niente. La nigredo è nigredo. Non altro. Quel che muore è l’umano, la persona che egoisticamente vorremmo durasse in eterno… Ma perché poi? A far che?… Sopravvivono i funghi, le ife, le spore… e la polvere.
Giornate dell’Oblio
Tra “giornate della memoria” dell’olocausto o delle foibe si tirano i morti da una parte o dall’altra a seconda delle convenienze… dimenticando che i lager ci sono tuttora in Italia e altrove anche oggi:
1) per gli zingari (grazie al sindaco Alemanno: “Maledetti campi abusivi” e richiesta di poteri speciali per le deportazioni nei campi di concentramento fuori Roma, mentre era tra le baracche ancora fumanti, poco dopo la morte in un incendio di 4 bambini zingari…),
2) per i migranti (qui si chiamano CIE… esternalizzati in Libia per le torture, ecc…),
3) per le donne uccise in casa a ritmo quasi quotidiano,
4) per i lavoratori che muoiono di lavoro, anche loro quotidianamente,
5) per i rifugiati e gli esuli morti in mare, mitragliati dalle motovedette libiche (la G.d.F. non vuole più salirci a bordo… non vuole vedere?),
6) per i palestinesi a Gaza,
7) per i terremotati abruzzesi, ecc…
Dunque che i morti di ieri riposino…queste celebrazioni servono solo a giustificare la violenza del presente…
Il modello concentrazionario in fondo è il modello base dell’urbanistica contemporanea…
(Fondamentalmente si dovrebbero far piani per evadere… cominciando col liberare alcuni luoghi…)
DIVAGAZIONE, ORACOLO E PSICANALOGICA DELL’EVIRAZIONE
Qui si parla dell’arte del ricordo e di una certa ambiguità degli eventi nell’era della pornografia mediatica…
Sentenzia la Pizia:
– Cioè: il “grande occhio” ha ripreso (e forse deciso) l’evirazione americana?
E’ una cosa tipo la Torre dei tarocchi (che in kabbalah è “Ayin”=l’Occhio… di Dio si intende… quello che fulmina i malcapitati che nella carta cadono dalla Torre)… ci sono mille modi di ri-prendere la stessa cosa… così tanti che si annulla qualsiasi possibilità di coglierla.
Per cui quello dice: “Sappiamo tutto, non possiamo nulla”.
Pure Eschaton su FB casualmente riprendeva questa cosa ieri in francese: “Tout est permis mais rien n’est possible” (da Michel Clouscard)… Tutto è permesso, ma niente è possibile…
Anche se non penso che le cose stiano proprio così…
Il mondo non è chiuso nei segni che lo interpretano… o che lo vorrebbero mappare come Google Earth… qualcosa (tutto o quasi… ma non ha “potere”… è indifferente…) resta sempre fuori a negare le pretese totalitariste della democrazia globale, del suo linguaggio…
Mi viene in mente Attis.
Sangue versato per salvare la matrice (la riproduzione sociale, la Grande Madre, Cibele, che guarda caso ha le fattezze dell’Italia, con la sua corona turrita in testa… e suona anche il tamburello… tattatà-tattatà-tattatatta-tata-tatà). Da notare l’estrema misoginia del gesto del giovine, che preferisce non sposare nessuna causa (né quella istituzionale, né quella del desiderio inconfessabile, ispirato dal demone bisessuale) e mantenersi incontaminato nella sua ambiguità, mettendo in tal modo un piede qui e uno lì… Il doppio gioco insomma. Attis, l’eunuco americano… Essi si sovvertono da soli e cantano il loro inno nello stesso tempo… demonizzano un paese straniero (destabilizzandolo dall’interno) e poi corrono a salvarlo… Ecco la psicosi che si nasconde in ogni Madre-Patria, divenuta ovviamente, in seguito, solo Patria… de-erotizzata, mortale.
Il Valter Binaghi salvava la parte soggettiva (creativa, amorosa), cercando così di salvare il suo dio cristiano dall’orgia e dalla confusione, ma anche quello è coinvolto eccome in questi riti sanguinari… o-sceni. Da nascondere sotto un’evidenza porno (una maschera maschile che deve ricoprire entrambi i ruoli, evirandosi, mestruandosi, sanguinando, occultando e segregando la femmina… la sua libertà dai percorsi patriarcali… o quel che vuol dire e che è sempre da de-finire… o che forse non ha proprio fine, nel suo essere ciclica, in-finita…).
Altro che riti della primavera… Bella primavera di merda che avevano pensato, i romani dell’Impero… Carnevale o pesce d’aprile che fossero le feste in onore di Cibele…
Gli americani quindi si sarebbero evirati da soli (per un secondo fine… come nel mito di Attis…).