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Assi che scricchiolano | Contrattacco

Assi che scricchiolano

Gli equivoci di linguaggio di tutte le ideologie contemporanee si basano su alcuni assi (individuo-società, politica-società, liberalismo-socialismo, profitto-reciprocità, surplusmunus,  produzione-riproduzione, lavoro-famiglia, uomo-donna, impero-colonia,  protestante-cattolico, gotico-barocco, conscio-inconscio, capitale-lavoro, legge-interpretazione, fenomeno-osservatore, dispotismo-democrazia, totalità-parte, guerra simmetrica-asimmetrica, ecc…) indiscutibili o quasi nei secoli scorsi, ma che ormai scricchiolano pesantemente… In molti casi non sono già più gli assi portanti che reggono la baracca politica, economica, sociale, antropologica, culturale… ciò che chiamano “civiltà” (questo branco di coglioni, stronzi e assassini), quest’orrenda convivenza metropolitana, interrotta qua e là da località turistiche, aree protette, e che vorrebbe saturare il cosmo…
A mio avviso interrogare l’inconsistenza del sogno di un’origine pura o di una vita slegata dall’orrore sociale (rigorosamente senza morte, arcadica, nirvanica, positiva come il pensiero generato dal THC), della separazione mente-corpo, dell’offerta di una speranza che non c’è, riflesso spettrale e giustificazione goffa di una cattiva coscienza, costituisce un primo passo per avventurarsi nell'”a-venire” e accelerare il lavoro delle crepe del mondo cui troppi sembrano ancora attaccati o della “sostanza” (del patrimonio, della successione, della proprietà, dell’“universale” e indivisibile individualità) che li fonda.

Contrattacco

Regolare l’immaginario e il “munus” come un gioco. Questa la mia eresia.

Regalo regoli variabili, di misura immaginaria, a naso (νοῦς). Cose a dismisura di tutti gli uomini.

Sino ad ora s’è solo sognata una realtà irraggiungibile e che doveva rimanere tale per giustificare un esistente universalmente dominato da un Essere che mette “ordine”, “crea”.

Detesto i “sognatori”. I sogni sono segni… passioni da contabili. Ciò che li determina sono le regole del gioco… entro cui, purtroppo, si inscrive anche l’abominio presuntuoso delle leggi.

Che almeno vi sia un mondo in cui non succeda più niente (nel senso delle successioni).


La guerra in Mali è dunque (in)finita?… ed è più “world” o “etno”?

Continuo le mie riflessioni sulla guerra in corso iniziate nel post precedente
Bisogna spulciare tra i video prodotti all’estero per poter vedere come sono abbigliati, quali bandiere sventolano e quali armi usano i fantasmi alqaidisti contro cui le forze armate francesi (con quelle italiane e statunitensi in appoggio) sono in guerra nel Mali (checché se ne dica…). Qui un riassunto dei prodromi di questo conflitto. Innanzi tutto sembra che non si tratti di fantasmi del tutto incorporei (probabilmente l’improbabile nettezza dello schieramento alqaidista così come viene narrato dai media internazionali, fa sembrare questi padroncini del deserto piuttosto  finti nel senso etimologico di plasmati… fabbricati e confezionati ad hoc per le TV e l’immaginario securitario di tutto il mondo, sempre oscillante tra il paranoide e il terrorizzato dal bau bau di turno). Certo, un news network “indipendente” (finto alternativo e un magari zeppo di “infiltrati”) come The real TV di stanza a Washington, con collaboratori come Chomsky, è da prendere comunque con le pinze… Per esempio, c’è l’idea ricorrente che i gruppi che hanno occupato il nord del Mali provenissero dalla Libia e siano stati armati dalla recente guerra per uccidere Gheddafi (probabilmente da inglesi, francesi e quatarini, su suggerimento della nuova strategia obliqua del Pentagono… la stessa che sembra aver ideato il recente colpo di stato in Mali, operato da ufficiali maliani formatisi in USA, come sostiene il video di the real TV…). Io credo che sia un po’ troppo complottista però l’idea che svariati gruppi di “integralisti islamici” siano tutti infiltrati dalle strategie oblique statunitensi… Si considera troppo potente un impero che si dimostra invece piuttosto “mean”, meschino, nei mezzi e, militarmente parlando, non troppo sagace e raffinato… è tutt’al più capace, anche per risparmiare qualche dollaro, di suscitare il caos – shakerando prima dell’uso le divisioni etniche (che hanno pur sempre una base razzista, sono un po’ il razzismo politically correct in tempi di democrazia…), nazionali e religiose di una data regione – vedere come evolve la situazione con i compagni di merende disposti o in azione sul campo e, giusto se le cose non vanno come pianificato, intervenire con la stessa enfasi che ultimamente pervade le previsioni meteo (tendono a dare nomi roboanti, tratti dalla mitologia o dal peggiore metaforismo, sia alle operazioni militari che alle perturbazioni o agli uragani, forse per suggerire un senso di ineluttabilità, astratta fatalità e predestinazione alle missioni “liberatrici” del complesso militare industriale o postindustriale)… o intervenire con la stessa logica fondante della civiltà sorta dopo Hiroshima… che solitamente prima bombarda e molto dopo sbircia coprendosi gli occhi o mangiando patatine, tutto ciò che si incenerisce per terra. Ritengo che in quella regione di nessuno che è il deserto, in questo caso il Sahara occidentale, dove per decenni  sono state ricacciate popolazioni (cui in alcuni casi è persino stata cancellata la nazione di provenienza con un tratto di penna, cui sono stati bombardati villaggi col napalm!), possano trovare temporanee alleanze moltitudini erranti (anche nomadi) di guerriglieri e individui che odiano di un odio viscerale gli “occidentali” (e dunque gli americani che ne sono il referente principale, più potente ed egemone), con le loro mire imperialiste, l’accaparramento delle risorse naturali e l’impoverimento programmatico delle popolazioni locali, che hanno la sventura di avere sotto il suolo giacimenti di petrolio, uranio, oro e compagnia bella… Sì, possono essere odiati… non sono irresistibili, non sono il mondo migliore che possa esistere, come si raccontano, quello che assimilerà tutto ciò che si oppone loro, non sono quel popolo benvoluto e continuamente god-blessed che credono di essere… tuttalpiù una moltitudine (pur sempre particolare e storicamente determinata) di macchine-umane variamente assemblate e in miserabile competizione tra loro. Si eccitano, si elettrizzano e si entusiasmano così…


Lyotardiano nello stigmatizzare gli africani, cui piacerebbe libidinalmente essere schiavi, diretto nell’accusare di terrorismo di Stati Uniti, sagace nel sospettare che il vero obiettivo degli USA è probabilmente l’Algeria di Bouteflika (aggiungerei io: dati i suoi rapporti con la Cina e la non sufficiente, secondo la strumentale opinione degli Stati Uniti, collaborazione nella “guerra al terrorismo”), feroce nei confronti del presidente del Mali installato dopo il golpe che ha subito invocato l’aiuto degli ex-colonizzatori, l’uomo nel video qui su (un simpatico africano residente in USA credo, dall’aspetto quasi presidenziale ma dai toni molto più incazzati dell’attuale comandante in capo delle forze armate USA) per altri versi pone le basi, con i suoi discorsi di autodeterminazione armata panafricana  (ma non c’è mai stata una comunità continentale africana, come del resto non è possibile che ci sia una comunità unita di tutti i viventi presenti un continente anche altrove…), di una potenziale guerra su basi etniche (se non razziali) o di un conflitto con gli arabi, che sarebbero senza alcun dubbio, secondo lui, tutti pagati dalla CIA per destabilizzare stati altrimenti pacifici…

Volevo solo far notare come anche nell’opporsi alla violenza globale del dominio statunitense e “occidentale” si rischia di formulare giudizi del tutto interni allo stesso paradigma che si intende contestare… si agitano sempre spettri, fantasmi di qualcosa che non c’è (come le etnie, le comunità, le identità, i generi, i diritti, le divinità varie) in nome del quale battersi, uccidere, morire… Semplificare in questo modo non è certo la via più efficace per uscire dall’attuale pantano… Ho un’altra idea di semplificazione, che magari tenterò di spiegare in altri post…


“In Mali non è finita”, dice il professore Chester Crocker dell’Università di Georgetown, assistente alla Segreteria di Stato per gli affari africani nel 1980 ed esperto di sicurezza internazionale e gestione dei conflitti.

“Se le forze africane presidiano le città, ciò significa che il resto del territorio sarà nelle mani del nemico”. Ecco come parlerebbe un vero paranoico…
Senza contare che “sarà fondamentale che i francesi, così come gli americani, i britannici e i vicini africani, siano in stretto coordinamento con gli algerini, essenziali in questa storia.
Naturalmente all’interno delle cellule islamiche di cui stiamo parlando molti sono algerini, non Tuareg del Mali o della Libia, sono algerini“. Lo dicevo che questi mirano a destabilizzare l’Algeria!… (del resto i media facevano il tifo per le primavere arabe e si dolevano per la poca spettacolarità e il fallimento delle sommosse in Algeria… o in Marocco).

Pure rousseaiano il professore yankee quando dice: “Quello che richiederà tempi lunghi sarà piuttosto la necessità di ricucire e ricostruire il tessuto politico e il contratto sociale del popolo”
Fino ad ora il Mali in America era conosciuto più che altro per il film in cui Martin Scorsese sosteneva la panzana che lì fosse nato il blues… (ma si sa, gli americani mandano avanti prima Hollywood… l’hanno fatto anche con noi… Pensano a come rendere profittevoli le risorse culturali locali… lo fecero col neorealismo… Prelevano solo quegli elementi che possono essere messi in comune col loro modo di vedere… danno una chance… e nel frattempo pensano a dove installare basi militari).

Tra l’altro questa faccenda del blues è stata impiantata pure nelle popolazioni saharawi (quelle di cui parlavo prima, bombardate col napalm dai marocchini nel 1975… dopo il dissolvimento della colonia spagnola del Sahara Occidentale)… Furono ricacciate in un campo profughi dipendente dagli aiuti ONU che si trova in Algeria poco sopra il Mali (ci deve essere qualcosa che proprio interessa, da quelle parti)… Mariem Hassan, che in questo video, che incrocia in modo un po’ forzato blues e litanie saharawi, canta accompagnata da chitarra elettrica, dai campi profughi è finita a fare concerti in giro per il mondo…

A proposito di fronte frattale del conflitto.

Anche io mi sono dedicato ad “Alchimie etniche” in musica, ma più per trovare punti di contatto tra culture e sensibilità diverse, aprire le limitate strutture occidentali ad elementi nuovi o, più probabilmente, per mischiare materiali sonori senza un centro che si potesse definire “etnico” o “world” (anche se oggi avrei chiamato il CD “Alchimie modali” per non incorrere in equivoci)… e “world” è una sorta di “centro di recupero” globale per anomie locali… queste operazioni le fanno altri per colonizzare… per assimilare culture e popoli nella Grande Macchina della Competizione… Così come fecero con gli schiavi negri nei campi di cotone: come hanno confezionato tessuti dal cotone raccolto, hanno anche confezionato il blues da chi raccoglieva cotone… e comunque sempre roba grezza per farci altre robe più raffinate su cui farci soldi è (nel mio caso, il mio pezzetto di cervello in affitto, la percentuale coloniale del 50% sull’insano privilegio dei diritti di proprietà intellettuale del “vivaio di musicisti” della Rai, come lo chiamava un funzionario di quelle parti…). Non posso dirmi “innocente”… gli “scopi nobili” vanno sempre a farsi benedire, quelli ignobili restano… (del resto alla Rai non potevano essere interessati se non avessero percepito un principio di malvagità in quello che ascoltavano… “più percussioni”, suggerivano… “più musica suonata con le mani, meno loop”… ma io non avevo nulla di autoctono, di originale, di tradizionale, da proporre… la mia immaginazione non ha un territorio, una legge (forse delle regole del gioco, sempre mutevoli)… mi avevano scambiato per qualcosa che non sono (non avevo alcuna intenzione di travestirmi da arabo o turco o indiano come si usa fare tra molti musicisti attratti dall’esotico per estrarre tradizioni pure con lo stesso spirito del WWF nei confronti degli animali in via d’estinzione… o sistemare tappetini da ginnastica e altarini Ikea come fanno certi fissati con lo yoga e le religioni orientali… che non sono certo sadu)… ma senza né Tradizione, né piena conformità alla moda – o allo sfruttamento – del momento si rimane in una terra di nessuno, che è appunto la mia… e quella del branco di post-moderni sparsi per la società postindustriale con tante idee e capacità, ma poche relazioni produttive indipendenti… e non parlo di nicchiette culturali… Insomma più che un “vivaio”, a me sembra una tonnara… o un deserto).


Madri, mogli e figlie del Despota

(In questa epoca idiota in cui si disquisisce di laicità e fondamentalismo e c’è chi difende l’indifendibile da entrambi gli schieramenti, preferisco la libertà di deriva analogica alla Bestemmia gratuita, sghignazzante, provocatoria… ma di che?… Meglio l’apostasia definitiva di qualsiasi religione, anche laica… il discredito, il disconoscimento, il disprezzo e il disinteresse per certi imbrogli colossali, irricevibili, senza recupero possibile, neanche per vie traverse… piddine, pretastre o fallaciane che siano…).

Prendo spunto dalla scoperta di un manoscritto riguardante un possibile Cristo sposatoTeologicamente, in realtà, non farebbe una piega. Maria era madre, moglie e figlia rispettivamente del Figlio, dello Spirito Santo e del Padre (le tre persone divine dei cristiani)… e sempre di marie (sia pur proiettate su altri corpi e vicende) si parla anche quando si parla di Maddalena… Il punto oscuro è semmai perché il nome “Maria” provenga dall’ebraico “Ribellione”1. “Ribellione” alla terra nera degli idoli, alle piaghe penitenziali (quelle d’Egitto, 10 quante sono le sephirot), alla nuova vita alchemicamente trasformata con una separazione e una successiva soluzione acida2… Seguiranno, nel racconto biblico, svariati prodigi, colonne di fuoco, ןמ ovvero “manna” (=“che cos’è?”) bianca, cibo più o meno spirituale che cade dal cielo (albedo, mercurio sublimato, rugiada…), serpenti “fiammeggianti” (ףרשׂ, serafiche quanto velenose rubedo nel deserto)… e giù, giù, attraverso diverse vicissitudini di opere cominciate e abbandonate, templi costruiti e distrutti… fino all’athanor (Magdala=”torre”) della tintrice-prostituta liberata dai 7 demoni e che va con tutti i metalli-animepolvere di proiezione del Cristo, “l’unto” appunto dagli unguenti di quella… divenuto Oro (Aur=ebr. Luce), Cristo solare, sacrificio di Dio stesso, la dismisura disumana per eccellenza, senso delle cose espropriate di ogni altro senso possibile (…denaro), sovranità nulla, campata in aria, modellata sugli alchimismi psichici di qualche patriarca paranoide o di qualche sacerdote che ne fece le veci… oppure di qualche eremita delirante per la fame, che abbraccia in un tutt’uno, universale quanto incestuoso, la stirpe immaginaria del Despota… e che inchioderà per millenni gli uomini alla loro condanna (un “debito infinito”) al cospetto del Signore di turno. Poiché il Verbo che si è fatto carne questo vuol dire: che da quel momento in poi non sfuggirà più niente alla presa del Paranoico3, alla grammatica dei suoi predicati e declinazioni… e i corpi4 saranno organicamente da lui posseduti5… persino dopo la morte, con le obbligazioni delle successioni proprietarie… individuae come l’anima, parcella dell’Orco divino.


NOTE

1 םירמ, “Miriam”, come la sorella “profetessa” di Mosè, questa specie di םימ , maym=ebr. “acqua” – fig. “urina”, “sperma”! –  ma con una ר, “testa”, che danza e canta una volta separate e richiuse le acque del Nilo e approdati sull’altra sponda… o הרמ, Marah=”l’amara”… come la fonte amara resa dolce con un legno inviato da Dio a Mosè, subito dopo la vicenda dei canti di gloria dopo l’attraversamento del Nilo… analogia da cui deriva anche il culto della Madonna legato a tante sorgenti d’acqua

2 Simbolicamente, immagino, le lance degli egiziani sui loro carri (“affondati come piombo in acque profonde”, Esodo 15, 10) dietro il mercurio ebraico in fuga.

3 …e monoteista che trascende la comunità disordinata, clanica, immanente, nomadica, dalle alleanze e dalla filiazione fluttuante.

4 …di quell’ecclesia che etimologicamente chiama fuori dal mucchio o dentro l’adunanza.

5 …anche in modo odiosamente fraterno, ipocritamente e sentimentalmente “francescano”, mentre già l’Inquisizione arroventava i suoi attrezzi di tortura… “fraternité” da cui non sarà esente neanche la Rivoluzione francese.


Il futuro in quanto tale | Tre riflessioni non essenziali sul tempo

Queste tre riflessioni erano tre note del post “Basta con la società“… Sono dei ragionamenti tra me e me… e vanno presi come tali.
1. Sostenere il futuro
Non vi sono che finzioni tattiche e finalità strategiche che l’eterno presente desiderante o raziocinante, in cui ci si vorrebbe far vivere, disegna in contrasto con quelle (meno psicotiche, meno “umane”, spaventate dalla vita) scolpite dagli e-venti, dalle geometrie del futuro, che tende a disgregare ovviamente un simile strapotere dell’infimo e del vile… di un presente-passato arroccatosi nella difesa di un indifendibile esistente. Sostenere la levità del futuro-non-presente credo possa essere una specie di dovere morale di tutti i viventi… La chiamo anche “responsabilità”. Una sorta di sensibilità profetica. Emergenza (eccezione, dettaglio, embolon, parte, periferia) che non permetta alcun rientro nell’alveo delle strategie di incorporazione e neutralizzazione del sistema e che ne impedisca la reazione. Nessun “emergentismo“. Nessun titillamento della polizia o dell’esercito…

  2. Sul tempo, il privilegio del futuro ed altre dimensioni.

Scopro che Elémire Zolla, il complesso pensatore sincretico, alchimista e ultra-conservatore, scrisse queste parole di fuoco contro i partigiani del futuro:

«Il reale è un bene e pienamente reale è soltanto il presente. Tuttavia chi guarda al passato può, se non fantastica, afferrare qualcosa di determinato. Soltanto chi guarda al futuro è esposto in pieno alla satanica irrealtà, al massimo di non-essere, perché il futuro è la temporalità schietta e irrimediabile, il luogo della speranza e del timore, l’ignoto, ciò che non somiglia affatto all’eterno, mentre il presente, se portato con rassegnazione o lodato, si illumina di indizi o primizie d’eternità. (…) l’Evoluzione, l’umanesimo scientifico e in genere le dottrine che inchiodino al futuro sono satanicamente incoraggiate: tema, avarizia, lussuria, ambizione sono radicate nell’avvenire, mentre la gratitudine e la lode sono volte al passato e l’amore è tutto presente». 

Ne deduco quindo che sono sulla buona strada. E’ indifendibile la “Tradizione” che ci ha condotti sin qui. E il futuro, come io l’intendo, come un vento stellare, non prevede affatto l’avarizia o l’ambizione (e di certo non comporta un “umanesimo”)… Ha più il senso di uno scacco, che ogni uomo, anche i mistici… persino Cristo, ha dovuto affrontare. Lamma sabactàni! (“Dio mio, perché mi hai abbandonato?”). Il grido feroce di un uomo di fronte al suo annientamento…

Qui, The wreck (Mauro De Zordo), riflette sul tempo come presenza e su tutte le sue possibili grammatiche… partendo da “Ousia e grammé” di Jacques Derrida.

Ci sarebbe da pensare ciò che suggeriscono alla filosofia le moderne teorie della fisica quantistica o le scoperte dell’astronomia. Le diverse grammatiche di cui parlava The wreck mi hanno fatto pensare a piani dimensionali differenti… ed al tempo come contenitore vuoto , la condizione, dello spazio (che si contrae e si espande assieme ad esso…). E penso che non possiamo ben comprendere, ma solo intuire, matematicamente o meno, qualcosa che condizioni lo spazio-tempo, come una quinta dimensione che condizioni gli eventi cosmici. Ma siamo davvero troppo piccoli (troppo modello standard) e abbiamo troppo poco tempo a disposizione per notare i cambiamenti macro-cosmici… O troppo grandi per gli eventi micro-cosmici. L’uomo è a dismisura di tutte le cose.
Mia opinione è che le galassie siano come un gorgo d’acqua in un lavandino. E che dunque vi sia un buco. E che vi sia qualcosa, dunque, solo in prossimità del suo annientamento. La nostra gloriosa vita sarebbe decadente… il brillìo finale di una colossale entropia.
E vedo questi buchi neri come l’imbastitura di un tessuto… che apre a nuove dimensioni. A nuove catastrofi… E noi abbiamo bisogno di quiete per vivere, non di continue esplosioni stellari o planetarie…

Noi intanto capiamo chiaramente solo le quattro dimensioni in cui ci muoviamo (x,y,z e t). Anche se, ogni tanto, qualche errore nella teoria ci rivela la mise en abyme in cui vaghiamo con nonchalance.

Il probabile errore è derivato dal concetto di “punto”. E dal sottovalutare lo zero… questi immensi spazi vuoti che sembrano prevalere, rispetto a quel qualcosa, cui siamo aggrappati come il muschio ad un sasso.

La Kristeva suggeriva (in “Semeiotikè, appunti per una semanalisi”, il salto da 0 a 2 bypassando l’1. Io non so che dirvi… Provate a pensare a ripiegare tutti gli spazi-tempo possibili (luce inclusa)… ne esce fuori un disegno? La distribuzione delle galassie nel cosmo segue una logica? Ci può interessare? La capiremmo?
Quel che so è che viviamo sul ciglio di un burrone. Siamo l’effetto di un ristagno. E ci consideriamo ancora il centro e la misura di tutte le cose! Che penosa presunzione…

Saremmo un evento. Fuori presente, fuori presenza. Gettato dal futuro. In questa terra di nessuno che noi recintiamo e chiamiamo presente, presenza. Ma è un imbroglio per non urlare di dolore da mane a sera (e la realtà sarebbe questa…).

   3. Il futuro | Ribaltando ancora una volta Aristotele…

“The past is now part of my future,
The present is well out of hand”.

(da “Heart and soul” di Ian Curtis dei Joy Division).

Provo a tradurre:

“Il passato è ora parte del mio futuro
il presente non è affatto a portata di mano”.

Il futuro pare essere davvero distruttivo, sì (come dice Zolla). Considerato che Ian Curtis si impiccò di lì a poco… E’ da notare come nessun filosofo si sia occupato del futuro in quanto tale, come dimensione anomala del tempo. Liquidato da Aristotele, Epicuro, s. Agostino come inessenziale, come un non-essere… recuperato in una dimensione escatologica e finalistica dal cristianesimo, da Hegel, Marx, etc… sognato dagli utopisti e dagli apocalittici di tutte le ere… è stato ad ogni modo ingabbiato in una dimensione ontologica, che non gli è propria, evidentemente.
Interessante il ribaltamento di prospettiva, che squilibra tutte le simmetrie, i passati sedimentati, le armonie, le geometrie… Quel-che-sarà non si sa ma diviene tutto ciò che conosciamo. Se ammettessimo con Spinoza un ordine necessario, nel suo sguardo impossibile sub specie aeternitatis, allora forse vi vedremo una cosmica assenza di libertà, un determinismo da orologiai, che può far pensare ad un Dio-Macchina. Io vi vedo invece una libertà assoluta, nel senso che è sciolta persino dall’ontologia e dalle care forme, cui siamo legati per timorosa abitudine più che per scelta.
E’ la stessa cosa che affermare (come ho fatto) che l’io sia come un bersaglio convinto di essere l’arciere. Ecco: il presente-passato è l’arciere che pensa di “penetrare il futuro” (come dice Bergson) e andare a bersaglio… quando invece è la freccia-a-bersaglio (il futuro) che trapassa l’arciere. E’ l’arciere ad essere invaso (ed invasato) dalle tecniche e dalle forme generate dal fine (la freccia-a-bersaglio). Così come il gatto-in-posizione-iniziale non precede il gatto-in-posizione-finale, ma è il contrario. Diversamente il gatto starebbe fermo. Insomma Aristotele ha ribaltato la questione potenza-atto. La fine di un moto non è il suo essere-in-atto, ma il suo essere-in-potenza… ed è condizione che sembra generare dinamiche studiabili secondo leggi, ma solo in apparenza… poiché se il passato appare imbrigliabile in un essere, il futuro non lo è. Possiamo prevederlo, assecondando in questo la sua natura in potenza. Ma non è detto che sia così come lo potremmo conoscere in virtù del nostro passato, della nostra esperienza, del nostro vissuto. Questa incertezza lo rende poco interessante agli occhi dell’universalismo e dell’ontologismo dei filosofi… del loro ammuffito interesse per la staticità, la struttura, gli aspetti invarianti degli eventi. Quando invece l’interessante per me è proprio l’eccezione inspiegabile, il caso fortuito, l’evento imprevedibile…

Né il futuro può essere imbrigliato dalle scienze, divise nelle varie discipline del presente (insieme ai lavori che vi corrispondono) proprio per minimizzare gli “urti” del caso fortuito, delle asimmetrie, dei neutrini sfuggenti, dei geni impazziti… Le scienze si riparano dall’oggetto (o dal fantasma dell’oggetto) del loro studio.

Qui si parla del futuro che invade il presente-passato, non del presente-passato che penetra secondo costume positivista un futuro già previsto, la sua immagine passata… il futuro anteriore… ciò che sarà stato.

E’ come se l’aldilà dello specchio anticipasse i nostri movimenti. Siamo la caricatura del nostro riflesso. E questa caricatura presuntuosa la considerano cosa nobile e degna di interesse.
Procediamo a ritroso (a compilare e raccontare le nostre azioni, i nostri pensieri le nostre parole) a partire dai fini che di volta in volta emergono.

non stiamo parlando di istanti in succesione, di fotogrammi, come in una pellicola cinematografica...Sottintendo che per me il pensiero è movimento in un ambiente virtuale… in cui ci muoviamo come in quello reale (mediante immagini sensoriali che divengono idee e concetti astratti, che si generano a partire dalle invarianti delle singolarità, e solo alla fine vengono inquadrati in una griglia, catalogati… ma è un’attività poliziesca e infeconda che mi interessa relativamente).

Mi si potrebbe obiettare che il futuro di cui parlo sia già passato. No, per il suo carattere imprevedibile e incerto. E aggiungo: non è l’immagine della posa finale del nostro movimento a generare il movimento, ma la stessa posa finale a sollecitarne l’immagine nella nostra mente. L’interiorità non è che questa apertura.