Siete una piaga!
Cos’è uno spettro? Un eccessivo ritardo nella latenza delle percezioni. “Dài, su! soffia! espira! svegliati!”.
Cos’è uno spettro? Una coscienza (spettro raddoppiato) prima di ri-tornare, ri-trovarsi, re-inventarsi e ri-conoscersi.
Cos’è uno spettro? Un doppio senza (rad)doppio.
Cos’è uno spettro? Il presente-passato che si presenta come (o passa per) futuro, divenuto da-venire.
Cos’è uno spettro? Frame del’io che rivela di essere scomposto in un noi, in un loro, in qualcosa (onde, flussi, tracce, -getti).
(ce l’avete proprio davanti agli occhi in questo momento, mentre legg
Masticare la luce e sputacchiarla. Curvare la radiazione cosmica di fondo alle cosucce che possiamo toccare, far co-incidere, tra-scrivere.
Che la coscienza, cane da ri-porto di ogni rap-porto e re-lazione, senta di cosa è fatta prima di vigilare sugli spettri delle cose, prima di ri-disporre e pre-disporre l’in-disponibile con i suoi dispositivi.
In poche parole: qualcosa accade prima che sentiamo. Tocca prima di vedere. Qualcosa tocca comunque prima del tuo tocco. Una piccolissima piega, un tempo infinitesimale, potentissimo, nodi semplici che generano tutti i nodi complessi successivi.
Accadàvera la co-scienza.
Tocca la piaga, la piega, come Tommaso (il tomo, non l’a-tomo… il dividuo, non l’in-dividuo… il Gemello, il Doppio… Fa che ciò che si spaccia per ri-sorto, ri-svegliato, non valga più dei suoi simili e delle cose da cui sorge).
La speranza è l’ultima a morire (purtroppo…)
Chi di speranza vive, disperato muore
(mio nonno)
La peggiore delle attitudini umane, la droga più potente… quella che fa avere le traveggole, fa credere alle allucinazioni, sbilancia la realtà verso un solo lato, la fa collassare verso un centro che non c’è… cerca di porre fine a qualcosa che fine non ha… è solo una funzione del tempo in cui sono immersi i viventi, l’attitudine ad una falsa preveggenza, che prevede, individua, solo il presente-passato, predestina tutti ad un destino miserabile di imbecillità generalizzata, cancella il futuro, invece di accoglierlo… Saremo sempre senza speranza, disperati. Possiamo giusto avere una certa grazia, frattale, geometrica, simmetrica… avendo dentro al contempo la disgrazia, la distruzione delle forme, il caos, l’asimmetria.
A-venire… i -getti nei sog-getti e negli og-getti… variamente condensati, rappresi nel fondo del vaso di Pandora.
– Fuggi, fuggi, Speranza…
P.S.: Inventeremo una nuova lingua fatta di lacrime, che chiameremo “desperanto”.
La coscienza
ovvero
a proposito di “ghiribonzi”, di “aùro” pugliese e “ìndico” velletrano.
– da un dialogo su FB –
IO – Abbiamo un nemico interno, ma non è la corruzione (come sbraita Piero Pelù)… sono i ghiribonzi. I “ghiribonzi”, familiarmente detti anche “pali”, sono esseri notturni che abitano nei corridoi, come anche l'”aùro”, sorta di troll peloso presente, oltre che nei racconti popolari pugliesi, anche in qualche quadro di Füssli, in forma di succubo. Hanno presumibilmente gambe corte, altezza che varia dai 60 ai 200 cm, andatura lenta durante lo svolgersi degli incubi notturni, capace però di aumentare considerevolmente, in simultanea con l’esito horror del finale dei suddetti incubi, quando divengono invisibili e infine si avventano sul sognatore, cinturandolo con una scossa elettrica paralizzante al ventre.
PS: Si possono annientare solo riuscendo a parlare, gridare o, ancora meglio, soffiando col naso… dato che risulta difficile, da “paralizzati”, svolgere la “manovra di Valsalva”.
CM – A Velletri lo chiamano Indico!
IO – Ecco:
“L’ìndico” (di Roberto Zaccagnini)
Erno dó’ mesi che Filomenaccia
tenéa l’Indico, ma ’o tenéa de brutto …
de notte ‘n piommo a ’o stommico, poraccia,
’n sapéa che fa’: era provato tutto!
I stròleghi ’era ’ntesi tutti quanti,
fina che u’ llegramante de Schinetta
glie disse: “Filomè, ’n ce stanno santi,
te l’hai da còglie da ’sta casa infetta.
Chisto, ’o vé’? è tarmente aradicato
che nu’ lo scoti manco si vè’ ’o prete.
Gnente acqua santa, zorvo, né ramato …
da’ retta a mmi: meglio che v’’a cogliéte”.
Cossì areddusse i commedi ’a mmatina,
e ’o marito ce revempì ’a cariola.
’O bammoccio portéa ’na concoglina
co’po’de badanai e dó’ lenzola.
Filomenaccia era abboticciato
drento a ’na canestra ’o matarazzo,
s’’o misse ’n capo, ma arivà ’o cuinato
e se fermàne là denanzi ’o stazzo.
Dice: “Che v’’a cogliéte?” – “No, pe’ ’n cazzo ..!
Che glie pigliésse ’n corbo andó se trova!”.
E l’Indico da ’n cima ’o matarazzo:
“Gnamo, cuinà, che gnamo a ’a casa nova!”.
(“ìndico”, dal colore indaco; anche specie di folletto che, nella credenza popolare, immobilizza gli arti alle persone durante il dormiveglia).
CM – Si esatto, proprio lui. A mia nonna appariva di notte, immobilizzandola e “succhiandole il respiro” come sosteneva lei… L’unico modo per mandarlo via era mangiare qualcosa sulla tazza del cesso e recitare: “Indico, vie’ a magna’!”, cosi lui, schifato, andava via…
IO – Taluni psicologi (un cognitivista, in particolare) sostengono si tratti di narcolessia. Ipotizzano che certi effetti paralizzanti durante la fase REM del sogno, siano dovuti a meccanismi autoimmunitari impazziti, che finiscono per bloccare il respiro regolato proprio dal “midollo allungato”… e aggiungono (comicamente) che certi sintomi durano tutta la vita. Per me la malattia di cui parlano costoro, ciò che si comporta troppo spesso da parassita del corpo, ha un solo nome: “coscienza”… e le cause di certi fenomeni non sono solo biologiche come vorrebbero far credere (perché così sempre più siamo considerati… materia biologica da utilizzare in qualche modo per l’altrui godimento). Così non ne verranno mai a capo. Non si possono comprendere certe esperienze se non si combattono e spezzano le relazioni ana-logiche (il legame insistente, ripetuto, “profondo”) tra determinati rapporti sociali (familistici per lo più), associazioni mentali, emblemi culturali, immagini del corpo, etc…
Questa “scienza” inesistente (questa lotta contro gli spettri, anche culturali) l’ho chiamata “psicanalogica”.
CM – Sì… anche secondo me, il rapporto di questi eventi con la nostra natura profonda, con le credenze e le connessioni familiari/culturali è inscindibile… per questo bisogna scavare nei miti!… Si ritorna al discorso dei nostri nemici interni.
IO – Esterni si spera! (Non a caso l’esorcismo di tua nonna veniva pronunciato sul cesso… sono nemici che vanno evacuati da sé e dati in pasto alle tante coscienze di merda che vagano come nervi vaghi, a mettere ansia… ma probabilmente si può solo oscillare tra coscienze di merda, parassitarie, ansiogene a sproposito e coscienze in sintonia con i -getti che le compongono e scompongono, con l’ambiente, il paratesto, che le fa emergere come sub-iecta o, piuttosto, le rigetta, lascia che si presentino, come triade giudice-protagonista-pubblico, su una specie di proscenio o di specchio o di schermo… riparo provvisorio dalla linea di fuoco tra futuro e presente-passato).
Siamo morti viventi
Polvere cosmica sfortunatamente auto-cosciente e con assurde velleità e smanie di riconoscimento.
Biffature, biforcazioni… stocastiche “biffures”, scriveva Michel Leiris, che però costruiscono un’estetica (a partire dalla propria forma)… materia presuntuosa, leggermente untuosa…
Ci sono tre eventi clou nella vita: la nascita, il sesso e la morte… ma l’ultima è l’orizzonte di non-senso che lascia dischiudere tutti i sensi possibili (inchiavardati alla nascita e al sesso e sempre ritornanti sul miele in cui si rimestano bisogni e desideri, conditi di miserabili astrazioni), che emergono, fulminei, come un singolo senso alla volta (o quasi) nella scena della coscienza, la grande semplificatrice…
Ci portiamo dietro tutti i morti passati, presenti e futuri, ogni volta che pretendiamo di vivere… siamo morti viventi… viventi solo per poco.
Per questo (oltre che per la resurrezione del valore) si sono costruiti cristi-zombie che ascendono in Cielo e altre storie inverosimili… per glorificare un universo sensato che non c’è.
Sognatori allucinati.
Polvere sei…
Cristo ri-morto di Holbein…
gloria estatica di un senso insensato,
di un’esistenza temporanea.
Per una teoria del di-vertimento e della di-versione
Tratto dalla terza capitolazione (“-getti”) del mio e-book “Come vivere senza essere in tre capitolazioni”.
il tutto sarebbe nulla se non ci fosse qualcosa
così qualcosa c’è
ed è “semplice” complessione
(“principio” del conflitto, nel tempo,
tra ordine energetico e disordine entropico),
ma nell’approssimarsi all’infinito
questo qualcosa si complica a dismisura
tendendo al suo limite,
l’impossibile tutto-niente…
dunque c’è sempre qualcosa
e non è mai la stessa
è di-versa (non: dif-ferente,
non com-porta nulla se non qualcosa):
è di-vertente
* * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * *
Ecco… più che di differenza, da contrapporre all’identità (come è andato di moda nella seconda parte del ‘900) si dovrebbe parlare di di-vertimento, di-versione… una cosa da una parte, una cosa dall’altra… non c’è nulla di pro-duttivo nella realtà, nulla da ducere, condurre, a favore di (“pro”) qualcuno… tutto alla fine diverge. In definitiva, “si muore” non è “si vive”… non c’è sintesi possibile…
Similmente “lavorare” dovrebbe mutarsi nel più vago “fare qualcosa” (che, oltre ad essere divertente e divergente, ha anche un senso di e-mergenza…), senza im-piego (del tempo, della vita, ecc…), senza di-visioni del lavoro, divise, ecc…
A rigore, più che di in/di-vidui (parti di un accordo che si affrontano de visu, per sezionarsi, recintarsi vicendevolmente, tenersi separati e a vista…) si dovrebbe parlare di viventi di-versi, di-vertenti…
Tutto il contrario di quel che si vede in giro…
La di-versione inoltre, non è un de-lirio, non esce da un solco (lat. “lira”) precedentemente scavato… è l’a-venire , l’a-ventura, di nuovi versi… di-vergenti dall’idea di unicità inscritta per esempio nei termini “individuo”, “uni-verso”, ecc…
Il di-vertimento è il principio del gioco (e il gioco del principio).
Laddove il giogo con-giunge due giunti, il gioco li dis-giunge, di-vertendoli, sottraendoli alla loro funzionalità sistemica, macchinica. In un certo senso, la pulsione di morte è di-vertente… ed è alla base della libido, della libertà di movimento e d’azione di qualcosa prima che vi sia una com-binazione, una con-giunzione, l’in-vista-di (l’individuazione di) un utilizzo, di una funzione… prima cioè che gli insiemi si inter-faccino in un sistema.
Un accordo di-vertente e di-vergente tra in/dividui.
Fermo immagine | Discontinuità
Fermo immagine.
Su di una panchina vicino al Colosseo, viale della Domus Aurea… Lei sdraiata con la testra poggiata sulle cosce di lui, che è seduto…
LEI – Ma cosa rimarrà di questo istante?…
IO – Quale istante?
LEI – Questo… Non lo possiamo fermare… A questo istante succede un altro istante e poi un altro…
IO – Beh… diciamo che è un’impressione… quella che il tempo scorra… noi ci siamo immersi… ma non è detto che un istante non sia “sospeso” tra presente-passato e futuro, tra ordine e caos entropico… e ogni istante non sia scomponibile… all’infinito… Si, ma in effetti il tempo scorre… e non possiamo farci niente…
LEI – Sì… e poi moriamo… E che senso ha tutto questo?
IO – Tutto questo cosa?
LEI – Tutto questo: il sole che ci scalda, la panchina, l’amore…
IO – Nessuno… C’è… Dà l’impressione che ci sia un senso, solo per il fatto che (probabilmente) ci siamo… siamo catturati in questa vibrazione più o meno armonica… Ci siamo ritrovati da questa parte… Ma il senso esiste solo in quanto vi è un non-senso… Te lo domandi quando sei viva… te lo domandi da sveglia… ma se dormi non ci sono più queste domande… Dunque quando ti poni queste domande, dormi…
Si appoggia con una guancia sulla mia coscia destra. Le scosto i capelli con la mano sinistra e le accarezzo la nuca, mentre il sole le illumina l’altra guancia… Si addormenta. Prima di cadere nel sonno mi stringe la mano per un istante. Poi quel che io vedo (il tizio che fa 太极拳, l’uomo seduto di fronte con gli occhiali da sole, i due che si riprendono a turno con una steady-cam dotata di braccio meccanico) lei non lo vede… Probabilmente neanche io.
Discontinuità.
Dopo quello che ho chiamato l’ultimo filosofo, dopo l’apertura decostruttiva (Derrida) o macchinica (Deleuze) del post-strutturalismo… dal piano della riflessione, si è passati alla realtà. Nelle fondamenta del mondo si aprono voragini, tutto quel che era crolla e va in frantumi… impossibile recuperarne il senso passato, impossibile costruirne uno futuro. Non possiamo percepire l’85% della materia (il fantasma fecale del nostro cosmo), siamo ciechi per 4 ore al giorno per via delle saccadi, ascoltiamo musica con 44.000 silenzi al secondo che non percepiamo, tra un atomo e l’altro vi sono spazi, campi, relativamente immensi, tra le stelle e le galassie vi è una dimensione spazio-temporale discontinua… granulare, a brane, a più dimensioni… abbiamo un genoma spazzatura che sta lì senza un perché (e questo solo perché non trasmetterebbe “informazioni”…), un chilo e mezzo di batteri nel nostro corpo, vediamo il flusso di immagini senza vedere i singoli fotogrammi, vediamo l’immagine sullo schermo senza vedere i pixel RGB.
In economia la valorizzazione che conta è in negativo… è il buco di bilancio a creare valore… buco che si è ormai diffuso (“spread”) ovunque… e ce l’hanno un po’ tutti (e questo alla lunga rende impossibile il capitalismo, che può perpetrarsi solo crinandosi in crisi, accumulando con ferocia o sopprimendo i creditori di volta in volta… Dunque compaiono buchi e distorsioni anche nel Diritto e nelle democrazie… nelle ideologie come nelle esistenze messe precariamente a lavoro… Ma la violenza è un lusso che è possibile fino a un certo punto…).
Infine, viviamo morendo progressivamente…
L’informatica sembra consacrare una cospirante assenza di spazi di ambiguità, obbedendo solo alla logica binaria di input/output (I/O) il nuovo soggetto monadico, computante e paranoico inventato da Leibniz, che magari Freud provò ad investire di (s)cariche libidiche, di giubilo di fronte al rocchetto che compare e scompare davanti agli occhi dell’infante (il gioco del fort-da, una specie di cucù-sèttete), ma che, dato il numero incredibile di ripetizioni di impulsi I/O che quella logica gestisce, per esempio, in un processore, è più un rumore disarmonico, il ron ron della macchina di cui delirava Antonin Artaud… quello che ci svuoterebbe appunto di quello che c’è in mezzo tra un sì e un no, tra un vivente e un morto… quello che continuiamo ad affermare contro Tutto, ad ogni passo, ad ogni impulso elettrico della nostra chimica (dis)organica… tra scosse, brividi, contrazioni, decontrazioni e fasci di nervi…
Insomma questa vita quantizzata, digitalizzata, discontinua è insopportabile. Spossessa continuamente di sé… ma in un modo che non è quello proprio della natura… Bataille avvertì che siamo accomunati intimamente dalla “continuità” (la “sozzura”, la morte, il sesso)… io non avverto niente di tutto ciò. Non ho niente in comune con niente e nessuno… mi percepisco come una discontinuità imprevedibile e radicale, priva di appartenenza… un vivente assolutamente contingente. “Sentirai di appartenere al tutto quando non sentirai più”, mi dicevo l’altro giorno alle 5 di notte, senza capire il senso di questa frase… Questo tutto di cui sarei parte dunque non esiste che a condizione di morire e non è conoscibile… Resto dunque una parte eccedente… schizzata fuori di -getto dal Tutto, che è infinitamente meno di quel che c’è ora, nei pressi, in questa stanza, tra le mie dita sulla tastiera illuminate da uno schermo a 60 Hz di refresh… prima di chiudere gli occhi come Shiva e far scomparire questo misero assoluto in un sonno incomunicabile… anche a “me stesso”, a questo nodo attorcigliato… in procinto di sciogliersi.
Buonanotte… zzzzzz.
Ho sognato che il tempo aveva invertito il suo corso…

– Ma lo sai chi è questo “monumento” qui vicino?
– No, chi è?
– E’ John Bonham!
Gli sorride, ammirata… e lui si schernisce, dicendo qualcosa in inglese, davanti al suo boccale di birra.
Peccato che sia un morto che si è introdotto nella breccia del mio presente (anche se onirico). Infatti i problemi sono continuati nel sogno di stanotte. Ma erano molti di più i guai…
Oggetti che volavano venuti dal futuro, i morti di domani che invadevano a tratti il tempo presente… a volte erano le persone stesse che diventavano i morti che sarebbero stati… ma erano vivi… ed era normale…
come non lo è l’idea che l’ombra possa precedere la luce (cosa che sappiamo essere poco comprensibile, per le nostre menti attratte anche in modo pre-logico dalla luce e, d’altro canto, spaventate dall’ombra, dal buio… abituate a pensare il positivo prima del negativo, in quanto è su quel versante che noi riteniamo di essere… in quel che “c’è”, nell’esistente…).
Insomma era tutto un pullulare di morti viventi e umani che improvvisamente si divoravano l’uno con l’altro… Cunicoli avveniristici e catacombe. Rovine e agguati nell’ombra… Ma nel complesso tanta luce e tanti colori… Io difendo il mio sonno e la mia incolumità nel sogno con l’arma vincente della mia adolescenza: “Non esistete…”. E tutto perdeva potere e si dissolveva… in un paesaggio diurno di rovine e macchine fantascientifiche che volteggiavano qua e là insieme a pteranodonti e biciclette.
Cosa vuol dire? Che la linearità che conosciamo del tempo è frutto di un verso, di una direzione, in cui siamo presi come coscienza, linguaggio, corpi, materia, ecc…? Quella che da qualche tempo i fisici chiamano l’asimmetria della materia e a cui, in precedenza, un’inattuale e sovreccitato Nietzsche (scorgendola sotto le sembianze di un gorgo infinito che tutto riconferma) non potè far altro che “dir di sì”? Non fosse altro che per l’abisso che vi aveva intravisto…
O semplicemente è un riflesso del fatto che qui in Italia non si capisce più niente e tutto sembra essere mischiato e sottosopra?
Oppure si tratta di miei personali timori circa il futuro?
Eppure non avevo mangiato pesante…

Dio è Tutto… dunque anche ogni sua eccezione
Facevo quattro passi sulla via di Damasco per smaltire una cena pesantuccia a base di soma e fagioli con le cotiche, quando una strana figura con una ancora più strana cavalcatura mi si parò innanzi. Pareva un elefante a cavallo di un topolino. Sceso dal topino, l’elefante si sedette con un piede poggiato in terra e l’altro no come a dire: “Vivo nel mondo senza essere nel mondo”… La sua proboscide era storta per imitare con la sua figura la sillaba sacra OM che in sé racchiude la veglia, i sogni e il sonno senza sogni… Stavo quasi per addormentarmi quando, mi balenò una domanda…
VALERIO – Chi càspita sei?
GANESH – Come puoi leggere dal copione, sono Ganesh, figlio di Shiva, l’Assoluto senza attributi, e Parvati, la madre degli esseri… Sono il “Signore delle moltitudini”… una specie di Abrhamo l’ebreo (il “padre delle moltitudini”)… ma divino.
VALERIO – Come mai da queste parti?
GANESH – Ho letto nel tuo post “Sono un isolotto vulcanico“, che hai fatto esperienza del Bramhan… dopo aver preso il soma.
VALERIO – No, un momento… la Brabham era una macchina di formula 1 giusto?… E quello non era il soma, ma una “sola”… acido spacciato per fumo.
GANESH – Vedo che hai le idee confuse, ma sono qui apposta… Mi chiamano per indicare la via verso il Bramhan Nirguna, l’Assoluto senza Attributi. L’essenza, la beatitudine e la consapevolezza siano con te… Rimuoverò tutti gli ostacoli materiali e spirituali che ti impediscono di accedere al Bramhan.
VALERIO – Però…
GANESH – Guarda la mia fronte… C’è il tridente del tempo, presente-passato-futuro… E nel mio ventre ci sono tutti gli universi. Tu hai saggiamente affermato che non pensi se non grazie a fulmini che continuamente attraversano e muggiscono nella tua mente-labirinto… Ebbene, sappi che è il Non-manifestato, il Bramhan senza attributi che parla nella tua mente, fuori del Tempo e dentro il Tempo allo stesso istante. Poiché Dio (o Bramhan o Shiva) è Tutto…
VALERIO – Tutto?… Allora anche io sono Bramhan, tuo padre… E non devo rinunciare al mio “ego” per raggiungerti. Egli è già qui. La tua ascia che taglia i desideri e il tuo cappio che vuole avvincermi a te non mi servono… Ti capisco e questo basta. Quanto alla tua pinguedine che trattiene in sé tutti i mondi possibili, la ritengo una fonte di infinita ilarità…
(ridiamo come fanciulli per 5 sruti… che non so cosa siano)
VALERIO – Appurato che non penso, ma scaglio frecce che arrivano a bersaglio prima ancora di essere scoccate…
GANESH – Dice la Kena Upanishad: “Esso s’annuncia come fa il lampo”… solo per intuizione puoi cogliere il Bramhan. “Ciò che non può essere pensato con il pensiero, ciò per mezzo del quale il pensiero vien pensato, questo sappi che è il Bramhan”… Se ti balena in mente un’idea, questa è Indra, il fulmine.
VALERIO – …Non mi interrompere, che perdo il filo… Appurato che in accordo con quanto dicono le Upanishad non ci sono che fulmini scagliati dal di fuori del tempo che noi chiamiamo pensiero… e che non siamo l’osservatore, ma l’osservare… che mai sarà conscio di sé in quanto è fuori di sé in ogni istante… appurato questo io ti dico una cosa: non è con l’ascesi, il dominio di sé e i sacrifici che trovo pace… Io così vedo solo un uomo grasso seduto che crede di avere un’illuminazione. Se Dio è Tutto è anche una sua parte… E una parte deve necessariamente possedere le qualità del Tutto. Anche la più infima delle forme. Il problema, caro Ganesh, è che anche tu, come me, sei un’eccezione, un’apparenza. Come ti manifesti nella realtà sei fregato. Sei soggetto al tempo, anche se ne sei il padrone, devi assumere sembianze comprensibili… L’Assoluto, lo Zero, deve eccepirsi per essere qualcosa o tutte le cose. Tu che sei il “dio di tutte le cose” sei l’Eccezione. E di certo non avevo mai visto un elefante cavalcare un topo!
GANESH – E’ senz’altro così… ma non è la Verità.
VALERIO – Per la “scienza” di mia invenzione, l’analogica, questa è una “sinèddoche“… la parte per il tutto o il tutto per la parte… o, per la matematica frattale (disturbata dal caos, dunque dalle innumerevoli eccezioni che i matematici chiamano “attrattori strani”), io stesso sono te che ti dici Tutto e hai nel tuo ventre gonfio tutti i mondi possibili. Insomma: Dio essendo il Tutto e tutte le sue parti dialoga con se stesso (quante sono le sue eccezioni e le forme simili possibili) in continuazione… poliloga… Come l’intera umanità, tutti gli animali, le piante e i minerali. E’ un triste dettaglio dell’eccezione, quello di dover morire per confermare la regola… e la regola è che Dio eccede costantemente se stesso per esistere… Abdica costantemente alla sua totalità… E’ fuori di sé perché non vi può essere che contingenza. La mia esistenza è il coronamento di questa spirale che ha fatto cadere Dio sin quaggiù… Se nego me stesso, con tutti gli ammennicoli che mi appartengono (mente, ego, immaginazione, forma, corpo, desiderio, ecc…) nego Dio, dunque te, signore manifestato… e non potrei stare a dialogare con Te in questo momento. Né potrei con alcuna delle tue altre forme o eccezioni. Invece parlo con altri… faccio finta che siano davvero loro, ma non vedo che eccezioni del tuo essere, perennemente martoriato dalla molteplicità delle tue forme… Di certo, tornare alla sorgente può essere un’esperienza memorabile, ma io non vedrei in me che un vecchio grinzoso con le gambe conserte e in posa ascetica che rinsecchisce come un albero in inverno. Se dovessi tornare, tornerei come Eccezione dell’Eccezione che sono. Mi eccepirei come parte soggetta allo spazio-tempo, muterei la mia luce, la mia energia e la mia massa… tornerei nel tuo ventre e ne riuscirei come tua nuova eccezione. Perché il Bramhan ineffabile è qui in ogni istante del tridente che hai impresso sulla fronte… e ogni istante lancia folgori. Anche se lui non c’è se non fuori di sé, ovvero come eccezione. Una folgore solo un po’ più potente sarà lanciata e le cose cadranno dal basso verso l’alto. E pioverà dalla Terra verso il Cielo. E toccato lo Zero con un dito, tornerò come nuova creatura o non ritornerò affatto… oppure rimarrò nei mondi intermedi. Ma come si può eccepire lo Zero?
GANESH – Dio parla con Dio. L’uomo con l’uomo. Dio parla con l’uomo, l’uomo con Dio. Una Parte è il Tutto e Tutto è una Parte. Tutto è simile e differente, ma non è Uno… ed è nella sua giusta posizione solo come Eccezione... Grazie per avermi restituito la zanna spezzata. Ora da Zero passo direttamente a Due… e a tutte le altre cose… L’Uno, misura di tutte le cose, non è poi così “stabile”… è 0,99 perioodico o 1,00000001 periodico. Oscilla. Io stesso, con la sola zanna del mio “monismo”, non mi reggevo che su un topolino. L’Essere e la Verità sono impossibili… E anche io non vedo che un presuntuoso uomo assorto nel pensiero, quando dovrebbe piuttosto essere quel fulmine… che noi indù adoriamo come Indra.
(Shiva, padre di Ganesh, chiude gli occhi e incenerisce tutto)
NEL SILENZIO DELLA NOTTE IMPENSABILE
– epilogo –
WILLIAM BLAKE – Arise and drink your bliss, cause every thing that lives is holy! *
BARUCH SPINOZA – Deus sive natura.**
ERACLITO – Il fulmine governa ogni cosa.
VALERIO – Ho compreso. Non c’è che questo e qualcos’altro che sta per accadere.
C. – Ma questo l’ho detto io stanotte!…
PARVATI (madre di Ganesh) – La mia infinita bellezza non è data che da un piccolissimo granello o da una singola onda.
VALERIO – L’assoluto è contingente. Tutto è libero. L’emblema è sciolto***.
PARVATI (sposa di Shiva) – Preso da fuori è gettato dentro. Ma il dentro è il fuori.
VALERIO – Troppo soma…
NOTE
* trad.: “Levatevi a bere alla vostra beatitudine, poiché ogni cosa che vive è sacra!” (da “Visione delle figlie di Albione”).
** trad.: “Dio, cioè la natura”.
*** L’emblema (la forma che rimanda ad altre per analogie e rassomiglianze) è “ciò che viene gettato dentro“. “Sciolto” è invece l’etimologia di “Assoluto”. Così la libertà assoluta (dell’eccepire, del “prendere da fuori“) nega se stessa e diventa la necessità delle forme e del loro infinito approssimarsi alla matematica e alla geometria senza riuscirvi. Un triangolo non è mai un triangolo…
e ovunque non ci sono che singolarità di un modello perfetto che non c’è. L’emblema comporta l’eccezione. Questo “effetto collaterale” è tutto ciò che c’è. Torniamo sempre qui ma con qualche variazione.