“Noah”, il “caca-luce” e la partita doppia
(Dopo quella de “Il cigno nero”, un’altra recensione di un film di Aronofsky… Di “caca-luce”, ovvero del proiettore nelle sale cinematografiche, ho già scritto qui).
“Noah”, ovvero del fallimento di qualsiasi progetto elitista (con tanto di esito etilista…).
Ogni idea paranoide di perfezione, di destino, di completa distruzione e cambiamento rivoluzionario su basi utopiche, ideali, va incontro al fallimento. Viene tradita, in questo caso, da tutti i sodali familiari. Comunque questa genealogia (corrotta, a dispetto dell’idea nefasta di “purificazione”che pervade la mente di Noah) resta salva… la successione, la famigliola, la piccola sostanza sporca e maledetta del (soprav)vivere (sacra in tutti i film di Hollywood)… e l’oscuro disegno del “Signore”, questo disegnatore 3D, creatore e padrone virtuale di tutti i feticci (questi feti fetenti, risparmiati, saved, raddoppiati, piazzati in mezzo alle “cose” – surplus di codice raddoppiato… come nella partita doppia – che galleggiano sul mare della Crisi, nel finale). Dispotica e predestinante “mano invisibile” (o “ano invisibile” o qualunque altro oggetto parziale) che surcodifica e rimappa l’intero mondo, l’intero cosmo, anche in senso genesico (come si evince nella spettacolare sequenza dei noti 7 giorni)… ovviamente non riuscendoci (ormai neanche più nella finzione). Il Dominio che non può cogliersi nella sua totalità semplicemente perché non c’è (se non come effetto speciale senza causa, come pessima favola, come fantasmagoria stupefacente, istupidente). Su tutto il film pesa questo cupo destino mortifero del Potere cinematico statunitense… che brancola come un survivalist rintronato e assetato di sangue in tutte le caverne platoniche (o sale, stanze…) in cui si radunano gli incauti e ostinati spettatori-consumatori (anche quelli gratis… quelli “cattolici”, non paganti, non “protestanti”, per Grazia ricevuta di qualche server…).
L’Eroe-Coglione… quello che lavora, paga, si sacrifica, si indebita, fino alla fine… anche dopo che è fallito.
ovvero
Le avventure del Capitale e della partita doppia sotto forma di gemelline
Per gli appassionati di metafore ardite, quasi acrobatiche… Deleuze-Guattari ne l’Anti-Edipo specificano cosa intendessi per partita doppia a proposito delle due gemelle (intese come monete viventi e merce su due gambe) che Noah risparmia (i grassetti sono miei):
Prima della macchina capitalistica, il capitale commerciale e finanziario stanno solo in un rapporto di alleanza con la produzione non capitalistica, ed entrano nella nuova alleanza che caratterizza gli Stati precapitalistici (donde l’alleanza della borghesia mercantile e finanziaria con la feudalità). Insomma, la macchina capitalistica comincia a funzionare quando il capitale cessa di essere un capitale d’alleanza per diventare capitale filiativo. Il capitale diventa un capitale filiativo quando il danaro genera del danaro, o il valore un plusvalore, «valore progressivo, danaro sempre germogliante che spunta, e come tale capitale… Il valore si presenta tutt’a un tratto come una sostanza automotrice, per la quale merce e moneta non sono che pure forme. Essa distingue in sé il proprio valore primitivo e il proprio plusvalore, cosi come Dio distingue nella propria persona il padre e il figlio, ed entrambi non fanno che uno ed hanno la stessa età, poiché le prime cento lire anticipate diventano capitale solo grazie al plusvalore di dieci lire».
[…]
Il celebre problema della caduta tendenziale del saggio del profitto, cioè del plusvalore rispetto al capitale totale, non può essere compreso se non nell’insieme del campo d’immanenza del capitalismo, e nelle condizioni in cui un plusvalore di codice viene trasformato in plusvalore di flusso. Appare innanzitutto (conformemente alle osservazioni di Balibar) che questa tendenza alla caduta del saggio del profitto non ha fine, ma si riproduce da sé riproducendo i fattori che la contrastano. Ma perché non ha fine? Probabilmente per le stesse ragioni che fanno ridere i capitalisti e i loro economisti, quando constatano che il plusvalore non è matematicamente determinabile. Tuttavia non han tanto di che rallegrarsi. Dovrebbero piuttosto concludere con quel che tengono a nascondere: che cioè non è lo stesso danaro ad entrare nelle tasche del salariato e ad iscriversi nel bilancio di un’impresa. Nel primo caso, segni monetari impotenti di valore di scambio, un flusso di mezzi di pagamento relativi a beni di consumo e a valori d’uso, una relazione biunivoca tra la moneta e una gamma imposta di prodotti (« a cosa ho diritto, ciò che mi spetta, è dunque mio…»); nell’altro caso, segni di potenza del capitale, flussi di finanziamento, un sistema di coefficienti di produzione differenziali che manifestano una forza prospettica e una valutazione a lungo termine, non realizzabile hic et nunc, e funzionante come un’assiomatica delle quantità astratte. In un caso il danaro rappresenta un taglio-prelievo possibile su un flusso di consumo; nell’altro una possibilità di taglio-stacco e di riarticolazione di catene economiche nel senso in cui flussi di produzione si adattano alle disgiunzioni del capitale. Si è potuto mostrare nel sistema capitalistico l’importanza del dualismo bancario tra la formazione di mezzi di pagamento e la struttura di finanziamento, tra la gestione della moneta e il finanziamento dell’accumulo capitalistico, tra la moneta di scambio e la moneta di credito.
Per una teoria del di-vertimento e della di-versione
Tratto dalla terza capitolazione (“-getti”) del mio e-book “Come vivere senza essere in tre capitolazioni”.
il tutto sarebbe nulla se non ci fosse qualcosa
così qualcosa c’è
ed è “semplice” complessione
(“principio” del conflitto, nel tempo,
tra ordine energetico e disordine entropico),
ma nell’approssimarsi all’infinito
questo qualcosa si complica a dismisura
tendendo al suo limite,
l’impossibile tutto-niente…
dunque c’è sempre qualcosa
e non è mai la stessa
è di-versa (non: dif-ferente,
non com-porta nulla se non qualcosa):
è di-vertente
* * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * *
Ecco… più che di differenza, da contrapporre all’identità (come è andato di moda nella seconda parte del ‘900) si dovrebbe parlare di di-vertimento, di-versione… una cosa da una parte, una cosa dall’altra… non c’è nulla di pro-duttivo nella realtà, nulla da ducere, condurre, a favore di (“pro”) qualcuno… tutto alla fine diverge. In definitiva, “si muore” non è “si vive”… non c’è sintesi possibile…
Similmente “lavorare” dovrebbe mutarsi nel più vago “fare qualcosa” (che, oltre ad essere divertente e divergente, ha anche un senso di e-mergenza…), senza im-piego (del tempo, della vita, ecc…), senza di-visioni del lavoro, divise, ecc…
A rigore, più che di in/di-vidui (parti di un accordo che si affrontano de visu, per sezionarsi, recintarsi vicendevolmente, tenersi separati e a vista…) si dovrebbe parlare di viventi di-versi, di-vertenti…
Tutto il contrario di quel che si vede in giro…
La di-versione inoltre, non è un de-lirio, non esce da un solco (lat. “lira”) precedentemente scavato… è l’a-venire , l’a-ventura, di nuovi versi… di-vergenti dall’idea di unicità inscritta per esempio nei termini “individuo”, “uni-verso”, ecc…
Il di-vertimento è il principio del gioco (e il gioco del principio).
Laddove il giogo con-giunge due giunti, il gioco li dis-giunge, di-vertendoli, sottraendoli alla loro funzionalità sistemica, macchinica. In un certo senso, la pulsione di morte è di-vertente… ed è alla base della libido, della libertà di movimento e d’azione di qualcosa prima che vi sia una com-binazione, una con-giunzione, l’in-vista-di (l’individuazione di) un utilizzo, di una funzione… prima cioè che gli insiemi si inter-faccino in un sistema.
Un accordo di-vertente e di-vergente tra in/dividui.
Fermo immagine | Discontinuità
Fermo immagine.
Su di una panchina vicino al Colosseo, viale della Domus Aurea… Lei sdraiata con la testra poggiata sulle cosce di lui, che è seduto…
LEI – Ma cosa rimarrà di questo istante?…
IO – Quale istante?
LEI – Questo… Non lo possiamo fermare… A questo istante succede un altro istante e poi un altro…
IO – Beh… diciamo che è un’impressione… quella che il tempo scorra… noi ci siamo immersi… ma non è detto che un istante non sia “sospeso” tra presente-passato e futuro, tra ordine e caos entropico… e ogni istante non sia scomponibile… all’infinito… Si, ma in effetti il tempo scorre… e non possiamo farci niente…
LEI – Sì… e poi moriamo… E che senso ha tutto questo?
IO – Tutto questo cosa?
LEI – Tutto questo: il sole che ci scalda, la panchina, l’amore…
IO – Nessuno… C’è… Dà l’impressione che ci sia un senso, solo per il fatto che (probabilmente) ci siamo… siamo catturati in questa vibrazione più o meno armonica… Ci siamo ritrovati da questa parte… Ma il senso esiste solo in quanto vi è un non-senso… Te lo domandi quando sei viva… te lo domandi da sveglia… ma se dormi non ci sono più queste domande… Dunque quando ti poni queste domande, dormi…
Si appoggia con una guancia sulla mia coscia destra. Le scosto i capelli con la mano sinistra e le accarezzo la nuca, mentre il sole le illumina l’altra guancia… Si addormenta. Prima di cadere nel sonno mi stringe la mano per un istante. Poi quel che io vedo (il tizio che fa 太极拳, l’uomo seduto di fronte con gli occhiali da sole, i due che si riprendono a turno con una steady-cam dotata di braccio meccanico) lei non lo vede… Probabilmente neanche io.
Discontinuità.
Dopo quello che ho chiamato l’ultimo filosofo, dopo l’apertura decostruttiva (Derrida) o macchinica (Deleuze) del post-strutturalismo… dal piano della riflessione, si è passati alla realtà. Nelle fondamenta del mondo si aprono voragini, tutto quel che era crolla e va in frantumi… impossibile recuperarne il senso passato, impossibile costruirne uno futuro. Non possiamo percepire l’85% della materia (il fantasma fecale del nostro cosmo), siamo ciechi per 4 ore al giorno per via delle saccadi, ascoltiamo musica con 44.000 silenzi al secondo che non percepiamo, tra un atomo e l’altro vi sono spazi, campi, relativamente immensi, tra le stelle e le galassie vi è una dimensione spazio-temporale discontinua… granulare, a brane, a più dimensioni… abbiamo un genoma spazzatura che sta lì senza un perché (e questo solo perché non trasmetterebbe “informazioni”…), un chilo e mezzo di batteri nel nostro corpo, vediamo il flusso di immagini senza vedere i singoli fotogrammi, vediamo l’immagine sullo schermo senza vedere i pixel RGB.
In economia la valorizzazione che conta è in negativo… è il buco di bilancio a creare valore… buco che si è ormai diffuso (“spread”) ovunque… e ce l’hanno un po’ tutti (e questo alla lunga rende impossibile il capitalismo, che può perpetrarsi solo crinandosi in crisi, accumulando con ferocia o sopprimendo i creditori di volta in volta… Dunque compaiono buchi e distorsioni anche nel Diritto e nelle democrazie… nelle ideologie come nelle esistenze messe precariamente a lavoro… Ma la violenza è un lusso che è possibile fino a un certo punto…).
Infine, viviamo morendo progressivamente…
L’informatica sembra consacrare una cospirante assenza di spazi di ambiguità, obbedendo solo alla logica binaria di input/output (I/O) il nuovo soggetto monadico, computante e paranoico inventato da Leibniz, che magari Freud provò ad investire di (s)cariche libidiche, di giubilo di fronte al rocchetto che compare e scompare davanti agli occhi dell’infante (il gioco del fort-da, una specie di cucù-sèttete), ma che, dato il numero incredibile di ripetizioni di impulsi I/O che quella logica gestisce, per esempio, in un processore, è più un rumore disarmonico, il ron ron della macchina di cui delirava Antonin Artaud… quello che ci svuoterebbe appunto di quello che c’è in mezzo tra un sì e un no, tra un vivente e un morto… quello che continuiamo ad affermare contro Tutto, ad ogni passo, ad ogni impulso elettrico della nostra chimica (dis)organica… tra scosse, brividi, contrazioni, decontrazioni e fasci di nervi…
Insomma questa vita quantizzata, digitalizzata, discontinua è insopportabile. Spossessa continuamente di sé… ma in un modo che non è quello proprio della natura… Bataille avvertì che siamo accomunati intimamente dalla “continuità” (la “sozzura”, la morte, il sesso)… io non avverto niente di tutto ciò. Non ho niente in comune con niente e nessuno… mi percepisco come una discontinuità imprevedibile e radicale, priva di appartenenza… un vivente assolutamente contingente. “Sentirai di appartenere al tutto quando non sentirai più”, mi dicevo l’altro giorno alle 5 di notte, senza capire il senso di questa frase… Questo tutto di cui sarei parte dunque non esiste che a condizione di morire e non è conoscibile… Resto dunque una parte eccedente… schizzata fuori di -getto dal Tutto, che è infinitamente meno di quel che c’è ora, nei pressi, in questa stanza, tra le mie dita sulla tastiera illuminate da uno schermo a 60 Hz di refresh… prima di chiudere gli occhi come Shiva e far scomparire questo misero assoluto in un sonno incomunicabile… anche a “me stesso”, a questo nodo attorcigliato… in procinto di sciogliersi.
Buonanotte… zzzzzz.
Dio è Tutto… dunque anche ogni sua eccezione
Facevo quattro passi sulla via di Damasco per smaltire una cena pesantuccia a base di soma e fagioli con le cotiche, quando una strana figura con una ancora più strana cavalcatura mi si parò innanzi. Pareva un elefante a cavallo di un topolino. Sceso dal topino, l’elefante si sedette con un piede poggiato in terra e l’altro no come a dire: “Vivo nel mondo senza essere nel mondo”… La sua proboscide era storta per imitare con la sua figura la sillaba sacra OM che in sé racchiude la veglia, i sogni e il sonno senza sogni… Stavo quasi per addormentarmi quando, mi balenò una domanda…
VALERIO – Chi càspita sei?
GANESH – Come puoi leggere dal copione, sono Ganesh, figlio di Shiva, l’Assoluto senza attributi, e Parvati, la madre degli esseri… Sono il “Signore delle moltitudini”… una specie di Abrhamo l’ebreo (il “padre delle moltitudini”)… ma divino.
VALERIO – Come mai da queste parti?
GANESH – Ho letto nel tuo post “Sono un isolotto vulcanico“, che hai fatto esperienza del Bramhan… dopo aver preso il soma.
VALERIO – No, un momento… la Brabham era una macchina di formula 1 giusto?… E quello non era il soma, ma una “sola”… acido spacciato per fumo.
GANESH – Vedo che hai le idee confuse, ma sono qui apposta… Mi chiamano per indicare la via verso il Bramhan Nirguna, l’Assoluto senza Attributi. L’essenza, la beatitudine e la consapevolezza siano con te… Rimuoverò tutti gli ostacoli materiali e spirituali che ti impediscono di accedere al Bramhan.
VALERIO – Però…
GANESH – Guarda la mia fronte… C’è il tridente del tempo, presente-passato-futuro… E nel mio ventre ci sono tutti gli universi. Tu hai saggiamente affermato che non pensi se non grazie a fulmini che continuamente attraversano e muggiscono nella tua mente-labirinto… Ebbene, sappi che è il Non-manifestato, il Bramhan senza attributi che parla nella tua mente, fuori del Tempo e dentro il Tempo allo stesso istante. Poiché Dio (o Bramhan o Shiva) è Tutto…
VALERIO – Tutto?… Allora anche io sono Bramhan, tuo padre… E non devo rinunciare al mio “ego” per raggiungerti. Egli è già qui. La tua ascia che taglia i desideri e il tuo cappio che vuole avvincermi a te non mi servono… Ti capisco e questo basta. Quanto alla tua pinguedine che trattiene in sé tutti i mondi possibili, la ritengo una fonte di infinita ilarità…
(ridiamo come fanciulli per 5 sruti… che non so cosa siano)
VALERIO – Appurato che non penso, ma scaglio frecce che arrivano a bersaglio prima ancora di essere scoccate…
GANESH – Dice la Kena Upanishad: “Esso s’annuncia come fa il lampo”… solo per intuizione puoi cogliere il Bramhan. “Ciò che non può essere pensato con il pensiero, ciò per mezzo del quale il pensiero vien pensato, questo sappi che è il Bramhan”… Se ti balena in mente un’idea, questa è Indra, il fulmine.
VALERIO – …Non mi interrompere, che perdo il filo… Appurato che in accordo con quanto dicono le Upanishad non ci sono che fulmini scagliati dal di fuori del tempo che noi chiamiamo pensiero… e che non siamo l’osservatore, ma l’osservare… che mai sarà conscio di sé in quanto è fuori di sé in ogni istante… appurato questo io ti dico una cosa: non è con l’ascesi, il dominio di sé e i sacrifici che trovo pace… Io così vedo solo un uomo grasso seduto che crede di avere un’illuminazione. Se Dio è Tutto è anche una sua parte… E una parte deve necessariamente possedere le qualità del Tutto. Anche la più infima delle forme. Il problema, caro Ganesh, è che anche tu, come me, sei un’eccezione, un’apparenza. Come ti manifesti nella realtà sei fregato. Sei soggetto al tempo, anche se ne sei il padrone, devi assumere sembianze comprensibili… L’Assoluto, lo Zero, deve eccepirsi per essere qualcosa o tutte le cose. Tu che sei il “dio di tutte le cose” sei l’Eccezione. E di certo non avevo mai visto un elefante cavalcare un topo!
GANESH – E’ senz’altro così… ma non è la Verità.
VALERIO – Per la “scienza” di mia invenzione, l’analogica, questa è una “sinèddoche“… la parte per il tutto o il tutto per la parte… o, per la matematica frattale (disturbata dal caos, dunque dalle innumerevoli eccezioni che i matematici chiamano “attrattori strani”), io stesso sono te che ti dici Tutto e hai nel tuo ventre gonfio tutti i mondi possibili. Insomma: Dio essendo il Tutto e tutte le sue parti dialoga con se stesso (quante sono le sue eccezioni e le forme simili possibili) in continuazione… poliloga… Come l’intera umanità, tutti gli animali, le piante e i minerali. E’ un triste dettaglio dell’eccezione, quello di dover morire per confermare la regola… e la regola è che Dio eccede costantemente se stesso per esistere… Abdica costantemente alla sua totalità… E’ fuori di sé perché non vi può essere che contingenza. La mia esistenza è il coronamento di questa spirale che ha fatto cadere Dio sin quaggiù… Se nego me stesso, con tutti gli ammennicoli che mi appartengono (mente, ego, immaginazione, forma, corpo, desiderio, ecc…) nego Dio, dunque te, signore manifestato… e non potrei stare a dialogare con Te in questo momento. Né potrei con alcuna delle tue altre forme o eccezioni. Invece parlo con altri… faccio finta che siano davvero loro, ma non vedo che eccezioni del tuo essere, perennemente martoriato dalla molteplicità delle tue forme… Di certo, tornare alla sorgente può essere un’esperienza memorabile, ma io non vedrei in me che un vecchio grinzoso con le gambe conserte e in posa ascetica che rinsecchisce come un albero in inverno. Se dovessi tornare, tornerei come Eccezione dell’Eccezione che sono. Mi eccepirei come parte soggetta allo spazio-tempo, muterei la mia luce, la mia energia e la mia massa… tornerei nel tuo ventre e ne riuscirei come tua nuova eccezione. Perché il Bramhan ineffabile è qui in ogni istante del tridente che hai impresso sulla fronte… e ogni istante lancia folgori. Anche se lui non c’è se non fuori di sé, ovvero come eccezione. Una folgore solo un po’ più potente sarà lanciata e le cose cadranno dal basso verso l’alto. E pioverà dalla Terra verso il Cielo. E toccato lo Zero con un dito, tornerò come nuova creatura o non ritornerò affatto… oppure rimarrò nei mondi intermedi. Ma come si può eccepire lo Zero?
GANESH – Dio parla con Dio. L’uomo con l’uomo. Dio parla con l’uomo, l’uomo con Dio. Una Parte è il Tutto e Tutto è una Parte. Tutto è simile e differente, ma non è Uno… ed è nella sua giusta posizione solo come Eccezione... Grazie per avermi restituito la zanna spezzata. Ora da Zero passo direttamente a Due… e a tutte le altre cose… L’Uno, misura di tutte le cose, non è poi così “stabile”… è 0,99 perioodico o 1,00000001 periodico. Oscilla. Io stesso, con la sola zanna del mio “monismo”, non mi reggevo che su un topolino. L’Essere e la Verità sono impossibili… E anche io non vedo che un presuntuoso uomo assorto nel pensiero, quando dovrebbe piuttosto essere quel fulmine… che noi indù adoriamo come Indra.
(Shiva, padre di Ganesh, chiude gli occhi e incenerisce tutto)
NEL SILENZIO DELLA NOTTE IMPENSABILE
– epilogo –
WILLIAM BLAKE – Arise and drink your bliss, cause every thing that lives is holy! *
BARUCH SPINOZA – Deus sive natura.**
ERACLITO – Il fulmine governa ogni cosa.
VALERIO – Ho compreso. Non c’è che questo e qualcos’altro che sta per accadere.
C. – Ma questo l’ho detto io stanotte!…
PARVATI (madre di Ganesh) – La mia infinita bellezza non è data che da un piccolissimo granello o da una singola onda.
VALERIO – L’assoluto è contingente. Tutto è libero. L’emblema è sciolto***.
PARVATI (sposa di Shiva) – Preso da fuori è gettato dentro. Ma il dentro è il fuori.
VALERIO – Troppo soma…
NOTE
* trad.: “Levatevi a bere alla vostra beatitudine, poiché ogni cosa che vive è sacra!” (da “Visione delle figlie di Albione”).
** trad.: “Dio, cioè la natura”.
*** L’emblema (la forma che rimanda ad altre per analogie e rassomiglianze) è “ciò che viene gettato dentro“. “Sciolto” è invece l’etimologia di “Assoluto”. Così la libertà assoluta (dell’eccepire, del “prendere da fuori“) nega se stessa e diventa la necessità delle forme e del loro infinito approssimarsi alla matematica e alla geometria senza riuscirvi. Un triangolo non è mai un triangolo…
e ovunque non ci sono che singolarità di un modello perfetto che non c’è. L’emblema comporta l’eccezione. Questo “effetto collaterale” è tutto ciò che c’è. Torniamo sempre qui ma con qualche variazione.
Per una ridefinizione della ‘Patafisica
Dando a priori il mio assenzio alle tesi di Alfred Jarry, mi autoproclamo sua eccezione e genero in questo istante il mio singolare e personale Nuovo Collegio di ‘Patafisica.
Alfred Jarry sosteneva che la ‘Patafisica “è la scienza di ciò che si aggiunge alla metafisica, sia in essa, sia fuori di essa”. Insomma proponeva nuovi punti di vista molto critici nei confronti della metafisica tradizionale, della scienza, del pensiero utilitarista, del pensiero dei suoi successori, ecc…
E’ per questa ragione che sciolgo il mio appena sorto Nuovo Collegio di ‘Patafisica.
Ma vorrei continuare a ridefinire la mia eccezione, dando un’altra interpretazione dell’etimologia della scienza scoperta da Alfred Jarry, padre di tutte le avanguardie e figlio di tutti i “classici”.
La Patafisica è la scienza che studia la Natura seguendo l’Umore personale come criterio parziale, ma non per questo meno autorevole, di indagine. Deriva da “pathos” e “physis”=emotività e natura. Dunque è in realtà la scienza delle trasformazioni… o la pubblicità di prodotti inesistenti. E si identifica con una delle fasi dell’Alchimia (il cui vero etimo è davvero impossibile definire).
Jarry si preoccupò di dimostrare in un teorema quale fosse la superficie di Dio, giungendo alla conclusione che “DIO E’ IL PUNTO DI TANGENTE DI ZERO E DELL’INFINITO”.
Io vi aggiungo un postulato (basato sulla mia percezione particolare, ovvero assoluta):
Se Dio è Tutto è anche una sua Eccezione. E tale Eccezione può rivendicare sia la sua particolarità rispetto alla sua Origine, che ridefinirsi nuovamente come Assoluto.
Da questo postulato ne deriva che, oltre ad essere tutto quello che la tradizione racconta, Dio ride.
Diversamente non si capirebbe come mai ci siano in giro tanti “scherzi della Natura”, Sua amata compagna di creazione.
E se c’è un’Origine, essa è biblicamente Maschio e Femmina. Ovvero è platonicamente sferica e senza sesso.
Squalificherei a questo punto alcuni sedicenti patafisici, tra cui:
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Alfred Jarry (per il fatto di esser morto e per il suo silenzio-assenzio)
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tutti i membri del Collegio di Patafisica (perché si son fin troppo divertiti a suggere con la cannuccia il suddetto assenzio insieme ai liquami del cadavere di Jarry)
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Italo Calvino e Dario Fo (perché non vedo cosa abbiano mai avuto a che fare con la ‘patafisica)
-
ecc…
Propongo nuovi nomi di patafisici, tra cui:
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Valerio Mele
-
ecc…
P.S.: Per approfondimenti:
Alfred Jarry – “Gesta e opinioni del dottor Faustroll, patafisico” (Adelphi)
Jean Baudrillard – “Le strategie fatali” (Feltrinelli)
Valerio Mele – discografia e bibliografia completa