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Assi che scricchiolano | Contrattacco

Assi che scricchiolano

Gli equivoci di linguaggio di tutte le ideologie contemporanee si basano su alcuni assi (individuo-società, politica-società, liberalismo-socialismo, profitto-reciprocità, surplusmunus,  produzione-riproduzione, lavoro-famiglia, uomo-donna, impero-colonia,  protestante-cattolico, gotico-barocco, conscio-inconscio, capitale-lavoro, legge-interpretazione, fenomeno-osservatore, dispotismo-democrazia, totalità-parte, guerra simmetrica-asimmetrica, ecc…) indiscutibili o quasi nei secoli scorsi, ma che ormai scricchiolano pesantemente… In molti casi non sono già più gli assi portanti che reggono la baracca politica, economica, sociale, antropologica, culturale… ciò che chiamano “civiltà” (questo branco di coglioni, stronzi e assassini), quest’orrenda convivenza metropolitana, interrotta qua e là da località turistiche, aree protette, e che vorrebbe saturare il cosmo…
A mio avviso interrogare l’inconsistenza del sogno di un’origine pura o di una vita slegata dall’orrore sociale (rigorosamente senza morte, arcadica, nirvanica, positiva come il pensiero generato dal THC), della separazione mente-corpo, dell’offerta di una speranza che non c’è, riflesso spettrale e giustificazione goffa di una cattiva coscienza, costituisce un primo passo per avventurarsi nell'”a-venire” e accelerare il lavoro delle crepe del mondo cui troppi sembrano ancora attaccati o della “sostanza” (del patrimonio, della successione, della proprietà, dell’“universale” e indivisibile individualità) che li fonda.

Contrattacco

Regolare l’immaginario e il “munus” come un gioco. Questa la mia eresia.

Regalo regoli variabili, di misura immaginaria, a naso (νοῦς). Cose a dismisura di tutti gli uomini.

Sino ad ora s’è solo sognata una realtà irraggiungibile e che doveva rimanere tale per giustificare un esistente universalmente dominato da un Essere che mette “ordine”, “crea”.

Detesto i “sognatori”. I sogni sono segni… passioni da contabili. Ciò che li determina sono le regole del gioco… entro cui, purtroppo, si inscrive anche l’abominio presuntuoso delle leggi.

Che almeno vi sia un mondo in cui non succeda più niente (nel senso delle successioni).


La coscienza

ovvero

 a proposito di “ghiribonzi”, di “aùro” pugliese e “ìndico” velletrano.

– da un dialogo su FB –

IO – Abbiamo un nemico interno, ma non è la corruzione (come sbraita Piero Pelù)… sono i ghiribonzi. I “ghiribonzi”, familiarmente detti anche “pali”, sono esseri notturni che abitano nei corridoi, come anche l'”aùro”, sorta di troll peloso presente, oltre che nei racconti popolari pugliesi, anche in qualche quadro di Füssli, in forma di succubo. Hanno presumibilmente gambe corte, altezza che varia dai 60 ai 200 cm, andatura lenta durante lo svolgersi degli incubi notturni, capace però di aumentare considerevolmente, in simultanea con l’esito horror del finale dei suddetti incubi, quando divengono invisibili e infine si avventano sul sognatore, cinturandolo con una scossa elettrica paralizzante al ventre.
PS: Si possono annientare solo riuscendo a parlare, gridare o, ancora meglio, soffiando col naso… dato che risulta difficile, da “paralizzati”, svolgere la “manovra di Valsalva”.

CM – A Velletri lo chiamano Indico!

IO – Ecco:

“L’ìndico” (di Roberto Zaccagnini)

Erno dó’ mesi che Filomenaccia
tenéa l’Indico, ma ’o tenéa de brutto …
de notte ‘n piommo a ’o stommico, poraccia,
’n sapéa che fa’: era provato tutto!
I stròleghi ’era ’ntesi tutti quanti,
fina che u’ llegramante de Schinetta
glie disse: “Filomè, ’n ce stanno santi,
te l’hai da còglie da ’sta casa infetta.
Chisto, ’o vé’? è tarmente aradicato
che nu’ lo scoti manco si vè’ ’o prete.
Gnente acqua santa, zorvo, né ramato …
da’ retta a mmi: meglio che v’’a cogliéte”.
Cossì areddusse i commedi ’a mmatina,
e ’o marito ce revempì ’a cariola.
’O bammoccio portéa ’na concoglina
co’po’de badanai e dó’ lenzola.
Filomenaccia era abboticciato
drento a ’na canestra ’o matarazzo,
s’’o misse ’n capo, ma arivà ’o cuinato
e se fermàne là denanzi ’o stazzo.
Dice: “Che v’’a cogliéte?” – “No, pe’ ’n cazzo ..!
Che glie pigliésse ’n corbo andó se trova!”.
E l’Indico da ’n cima ’o matarazzo:
“Gnamo, cuinà, che gnamo a ’a casa nova!”.

(“ìndico”, dal colore indaco; anche specie di folletto che, nella credenza popolare, immobilizza gli arti alle persone durante il dormiveglia).

CM – Si esatto, proprio lui. A mia nonna appariva di notte, immobilizzandola e “succhiandole il respiro” come sosteneva lei… L’unico modo per mandarlo via era mangiare qualcosa sulla tazza del cesso e recitare: “Indico, vie’ a magna’!”, cosi lui, schifato, andava via…

L'ìndico secondo Cristiano Mancini

IO – Taluni psicologi (un cognitivista, in particolare) sostengono si tratti di narcolessia. Ipotizzano che certi effetti paralizzanti durante la fase REM del sogno, siano dovuti a meccanismi autoimmunitari impazziti, che finiscono per bloccare il respiro regolato proprio dal “midollo allungato”… e aggiungono (comicamente) che certi sintomi durano tutta la vita. Per me la malattia di cui parlano costoro, ciò che si comporta troppo spesso da parassita del corpo, ha un solo nome: “coscienza”… e le cause di certi fenomeni non sono solo biologiche come vorrebbero far credere (perché così sempre più siamo considerati… materia biologica da utilizzare in qualche modo per l’altrui godimento). Così non ne verranno mai a capo. Non si possono comprendere certe esperienze se non si combattono e spezzano le relazioni ana-logiche (il legame insistente, ripetuto, “profondo”) tra determinati rapporti sociali (familistici per lo più), associazioni mentali, emblemi culturali, immagini del corpo, etc…
Questa “scienza” inesistente (questa lotta contro gli spettri, anche culturali) l’ho chiamata “psicanalogica”.

CM – Sì… anche secondo me, il rapporto di questi eventi con la nostra natura profonda, con le credenze e le connessioni familiari/culturali è inscindibile… per questo bisogna scavare nei miti!… Si ritorna al discorso dei nostri nemici interni.

IO – Esterni si spera! (Non a caso l’esorcismo di tua nonna veniva pronunciato sul cesso… sono nemici che vanno evacuati da sé e dati in pasto alle tante coscienze di merda che vagano come nervi vaghi, a mettere ansia… ma probabilmente si può solo oscillare tra coscienze di merda, parassitarie, ansiogene a sproposito e coscienze in sintonia con i -getti che le compongono e scompongono, con l’ambiente, il paratesto, che le fa emergere  come sub-iecta o, piuttosto, le rigetta, lascia che si presentino, come triade giudice-protagonista-pubblico, su una specie di proscenio o di specchio o di schermo… riparo provvisorio dalla linea di fuoco tra futuro e presente-passato).


Binari morti

Avevo sognato di vagare (di notte) per una Taranto del tutto in mano a bande criminali… scampato al furto della macchina che mi stava dando un passaggio, scopro, al posto del vecchio porto militare (nelle nari il tipico odore di mare e alghe morte), dei binari ferroviari con operai che costruiscono parti meccaniche al tornio all’interno di un vagone posto su un binario morto…
– Ma che fate, lavorate a quest’ora?
– Come tutti, no?
Lì vicino c’è Fulvio Abbate… ci guardiamo negli occhi senza dirci nulla… lacrime silenziose ci solcano il viso. Salgo sul tetto sfondato del vagone, mentre sento lo “scrittore” blaterare garrulo di Teledurruti davanti alla sua telecamerina…

(una visione infernale…)


Uno strano sogno tra padri vivi/morti, corpi nuovi e panspermìa post-carnevalizia…

Ho fatto uno strano sogno…

Sognavo di essere a tavola con mio padre (sogno spesso di mangiare con persone morte) e il resto della mia famiglia, nella casa dove sono nato, a Taranto. Nel sogno mi accorgo che mio padre sarebbe dovuto essere morto, così a bassa voce gli chiedo:
– Ma tu non dovevi essere…?
Così comincia a raccontarmi del suo bizzarro viaggio post mortem… Ad un certo punto del cammino, lungo una strada che attraversava campi e boschi, trova un vecchio al margine della strada che gli riferisce due parole (che non ricordo) in dialetto reggino (nel senso di Reggio Emilia, dice…). Si ritrova poi in una sala a pianta poligonale di un castello piena zeppa di oggetti e separé con questo vecchio che gli spiega il suo nuovo corpo… Mio padre, con un corpo effettivamente diverso e più giovane, chiede il permesso di andare dietro un separé… Probabilmente si masturba… Si sposta dietro un altro separé adibito a gabinetto e esulta per il nuovo pene perfettamente funzionante e anche di buona fattura…

Purtroppo non ricordo le due parole pronunciate dal dio!… ekò tepsì… una roba simile… (eppure nel sogno le avevo annotate…).

Digressione psicanalogica. 

La prima cosa che faccio è vedere quali siano i cibi dei morti e perché esista da sempre questa (macabra?… no…) convivialità. Così scopro, in un bell’articolo, che in Puglia si mangia il grano dei morti, la mediterranea kòllyba di cui sagacemente si parla anche qui. Fatto con grano cotto e mele granate, che tanto adoro (frutti di Venere e della Bilancia, segno sotto il quale sono nato), al punto che le ho caravaggescamente ritratte… E la mia considerazione circa il cibo dei morti, va al di là del fatto che oggi sia il “mercoledì delle ceneri” (mentre quello invece è il cibo del 2 novembre…). Sempre di semi sotto terra stiamo parlando, sempre di cicli naturali, inverni psichici, che non vedono l’ora di rompere la loro pelle e germinare…

Si dovrebbe digiunare alle Ceneri… ma poi arriverebbero i morti (come si riporta nell’articolo appena linkato: “Il cibo dei morti poteva essere consumato o meno dai vivi. Nel primo caso stabiliva con i morti un legame biunivoco: mangiato dai vivi li nutriva entrando nel loro corpo, ma nutriva anche i morti, salvando le loro anime. Nel secondo caso il cibo si lasciava ai morti, nella notte tra il 1 e il 2 novembre, nella certezza che questi tornassero nelle loro case per consumare il cibo preparato loro dai parenti. Da qui l’usanza, in varie regioni italiane, di imbandire una tavola completa la sera precedente il 2 novembre, lasciandola così per tutta la notte”)… dunque credo sia meglio mangiare per loro (ma per dove insucchierebbero il cibo i suddetti morti? sono forse parassiti? larve?)… No, no… “cenere alla cenere”R.I.P.

Il punto è che noi siamo i morti.

(Infatti nel sogno alla fine ero io quello che esultava masturbandosi dietro il separé nella stanza di dio).

Ci sono poi echi di tradizioni assai strane, cristianamente blasfeme e a chiaro sfondo sessuale, tipo quella di San Minchilleo (una curiosità: se si cerca il blasfemo “San Minchilleo” su Google si viene dirottati su San Michele!)…  che di questi tempi viene celebrato in Sardegna (dove ancora si travestono da capre sacrificate, come ai tempi del Carnevale, del currus navalis, di Dioniso… Ma anche l’etimologia proposta dai cristiani “carnem levare”, togliere la carne, non è sbagliata… io la intenderei più come smembramento a vivo, che come digiuno…).

Alcuni sardi (qui un bel saggio per chi volesse approfondire: “La parola carrasecare (carre de secare), con la quale si designa il carnevale sardo, etimologicamente significa carne viva da smembrare) celebrano il carnevale con un rito pagano del tutto simile a quello che si svolgeva in onore di Dioniso… le Antesterie.

Ma devio per un attimo, citando un passo  da Le meraviglie della natura – Introduzione all’alchimia di Elémire Zolla:

“Ad Atene era tempo di vino nuovo, e vi si celebravano le Antesterie, feste del vino nuovo o phàrmakon e della cacciata dei demoni o morti inquieti. Dioniso presiedeva muovendosi su un carro in forma di nave (il currus navalis: il “carnevale”),  lo seguivano in processione satiri, i sacrificatori di caproni vestiti di pelle caprina. Il Carnevale è la festa dei morti che mascherati tornano fra i vivi a mendicare tributi: l’atmosfera è lugubremente scherzosa.

[…]

Il vino nuovo sperde i morti, sempre vaganti dopo lo Scorpione, sempre da esorcizzare. Si lustra e si monda: februm è ogni cosa che purifichi, come la febbre; il Carnevale è festa febbrile.

[…]

E’ tempo di semina e potatura”. 

E a proposito di morti, ecco qui una cartolina autografa a me spedita da Elémire Zolla, un anno prima di morire:

Inoltre, sempre dalla voce della Wikipedia circa le Antesterie:

“Il 13 di Antesterione era il giorno delle pentole, nelle quali si mettevano cereali e miele cotti insieme. Vi è qui un’associazione fra cibo primitivo e cibo dei morti, nel senso di cibo consumato dagli antenati. Ai morti viene infatti offerta la cosiddetta panspermìa (πανσπερμία), una torta impastata col seme di ogni pianta (che è appunto il significato letterale della parola greca). Una sorta di equivalente cristiano della panspermìa sarebbero da considerarsi i kòllyba (neutro plurale greco, κόλλυβα, “pasticcetti”). Il nome deriva dalla parola kòllybos (κόλλυβος) che era il chicco di grano utilizzato per pesare l’oro, e più tardi questa parola veniva utilizzata per definire una moneta che equivaleva ad 1/4 delle monete di bronzo. Gli ingredienti di questi cibi sono ricchi di simbologia. Le mandorle rappresenterebbero le ossa nude; la melagrana simboleggerebbe il ritorno del corpo nella terra”.

Questo (tra l’altro) spiega chiaramente perché tuttora chiamiamo “grana” il denaro… e approfondisce la simbologia della melagrana (e il perché nel sogno mio padre è me… in quanto sono io, come vivente/morente, ad essere morto ed essere eroticamente felice di venire… facendo delle membra coriandoli, cenere o sperma… o gettando parole come queste che sto scrivendo).

Altro che “pasto totemico”, patriarcato, divieto di incesto e parricidio… Qui muore sia il Padre che il Figlio (e senza venire ammazzati!)… Non ci sono più carnefici, vittime, capri espiatori e tragedie greche che tengano… Finita la festa. Sperma in cenere. Col tempo, un po’ alla volta, imparando a vivere (e morire), forse romperemo la catena vittimaria…

Secondo me, è assai probabile che nei riti dionisiaci, inoltre, il piatto chiamato “panspermìa” contemplasse tra gli ingredienti anche il seme umano… Mi pare ovvio… conseguenziale…

 Altra ovvietà è la Cerere nascosta in questo passaggio tra Padre e Figlio…


Universi-bolla quadridimensionali si infrangono contro l’orizzonte degli eventi…

 

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(Una divagazione estetico-intuitiva riguardo alle dimensioni che comprendono la nostra, suggerita da alcune teorie della meccanica quantistica e della gravità quantistica, che parlano tra l'altro di orizzonte degli eventi).

Per analogia, vedo, nel movimento con cui una bolla si strozza per diventarne più di una, questo passaggio da "buco nero" a "buco bianco"… Quest'ultimo a mio avviso potrebbe essere il big bang di un nuovo universo…
Sempre nell'analogia, il confine della bolla, come la linea di superficie, sono l'orizzonte degli eventi di ciascun universo-bolla, quello al di là del quale perde di senso l'unità quadridimensionale (spazio-temporale, definita da x,y,z e t). L'acqua in cui gli universi sono immersi e l'aria soprastante rappresenterebbero altre dimensioni che comprendono le 4 conosciute di cui possiamo avere esperienza e nelle quali ha senso per gli scienziati condurre esperimenti… Nell'acqua in questo caso non avrebbe alcun senso la singola bolla in sé (la sua relativa realtà spazio-temporale) ma la somma di tutte le perturbazioni che spostano gli universi dalla dimensione acqua a quella aria. Nell'acqua cioè non fluirebbe il tempo come distinto in presente-passato e futuro, ma come un insieme indistinto in cui le probabilità spazio-temporali hanno già creato forme definite, orizzonti di realtà (unversi-bolle, appunto). In una simile dimensione l'inizio, il presente e la fine di ciascun universo convivono, sono individuabili in un punto qualsiasi e secondo una direzione a piacere (un po' come accade per la posizione probabile dell'elettrone nella sua orbita). L'acqua preme, perturba e deforma gli spazio-tempo, gli universi-bolla, li costringe nella loro evoluzione temporale, ne accelera o rallenta la dinamica dei movimenti (ecco che si spiegherebbe anche l'accelerare dell'allontanamento delle galassie, l'accelerazione del redshift), prima di consegnarli all'"aria"… E l'aria cosa potrebbe essere se non la pressione che produce gli universi spazio-temporali, solo più allentata, divenuta gas?… ecco dischiudersi un impensabile spazio-tempo senza orizzonte… Una sorta di rimescolamento del tempo, dei poliversi (o multiversi, dicono i fisici) dallo spazio-tempo reversibile… si sarebbe liberi, se si potesse essere e vivere in quella dimensione, di non essere se stessi, di andare avanti e indietro nel tempo, trasformarsi… Ovvio che secondo questa logica frattale le variazioni e i cambiamenti di stato possono essere infiniti… all'aria potrebbero aggiungersi infiniti altri elementi e dimensioni… in una processione senza origine, né fine, complessivamente senza senso… ma in-finita, localmente sensata…
(Scartando le noiosissime ipotesi di un tutto che sia un perfetto niente o un tutto pieno omogenei) Dio sarebbe infinitamente torturato dalle esistenze e dalle fasi di transito, dunque non esisterebbe mai in quanto Tale… Noi siamo una di quelle sevizie… seviziati a nostra volta dalle turbolenze che ci scomporranno in nuove forme… piccole divinità provvisorie relativamente felici di esistere e terrorizzate dalla loro fine relativa…
Non credo ad ogni modo che dimensioni diverse non possano comunicare tra loro (se già non lo fanno… la natura animale e del pensiero si muove in modo molto misterioso per esempio)… Mi piacerebbe imparare a cambiare forma. Prima di morire, possibilmente.

Il bello è che, dopo aver scritto queste righe, scopro che qualcuno ha già pensato un multiverso inflattivo a bolle! 🙂

"L'universo sembra un enorme frattale in crescita. Consiste di molte bolle inflattive che producono nuove bolle, che a loro volta producono altre nuove bolle, ad infinitum. Perciò l'evoluzione dell'universo non ha fine e può non avere alcun inizio. Dopo l'inflazione, l'universo si divise in domini differenti di grandezza esponenziale nei quali le proprietà delle particelle elementari e anche le dimensioni dello spazio-tempo potevano essere differenti".

Chi ha scritto queste parole è uno scienziato appassionato di riflessi sull'acqua e un grande fotografo… Un fratello frattale russo… solo un po' più ricco di me…


Il video del funerale in mare di Osama Bin Laden


“Tutti giù per Terra!” – finalmente in DVD

Dopo svariate vicissitudini, ho finito di auto-produrre, con l’aiuto di Ugo Innamorati, questo video di quasi mezz’ora, disponibile in DVD e sia per intero (qui sotto) che  in piccoli estratti su YouTube. Estratti:

 

“Tutti giù per Terra!” – un video di Valerio Mele.

Dopo “Scarpe diem” (video in cui si narra della sua fuga dalla civiltà e della sua mancata rieducazione) il commendator Ugo Filippi (Ugo Innamorati) prende a delirare.
Il suo “fido” maggiordomo Porfirio (Valerio Mele) asseconda ognuna delle sue differenti personalità, con svariati travestimenti, per carpire insieme alla sua misteriosa fidanzata (Cristiana Elle) dove abbia nascosto i suoi soldi…

Tratto da un soggetto nato da lunghe ed esilaranti conversazioni telefoniche tra i due attori protagonisti, il video è stato girato, tra l’altro, nella cornice medievale della splendida Collepino…

Qui sotto, di seguito, prima la seconda e poi la prima, le due puntate de “La saga del commendator Filippi”… ed altro materiale…

Per contatti: Valerio Mele, Ugo Innamorati.

PS: Vi ricordo che come gadget c’è il Calendario 2010


Il futuro in quanto tale | Tre riflessioni non essenziali sul tempo

Queste tre riflessioni erano tre note del post “Basta con la società“… Sono dei ragionamenti tra me e me… e vanno presi come tali.
1. Sostenere il futuro
Non vi sono che finzioni tattiche e finalità strategiche che l’eterno presente desiderante o raziocinante, in cui ci si vorrebbe far vivere, disegna in contrasto con quelle (meno psicotiche, meno “umane”, spaventate dalla vita) scolpite dagli e-venti, dalle geometrie del futuro, che tende a disgregare ovviamente un simile strapotere dell’infimo e del vile… di un presente-passato arroccatosi nella difesa di un indifendibile esistente. Sostenere la levità del futuro-non-presente credo possa essere una specie di dovere morale di tutti i viventi… La chiamo anche “responsabilità”. Una sorta di sensibilità profetica. Emergenza (eccezione, dettaglio, embolon, parte, periferia) che non permetta alcun rientro nell’alveo delle strategie di incorporazione e neutralizzazione del sistema e che ne impedisca la reazione. Nessun “emergentismo“. Nessun titillamento della polizia o dell’esercito…

  2. Sul tempo, il privilegio del futuro ed altre dimensioni.

Scopro che Elémire Zolla, il complesso pensatore sincretico, alchimista e ultra-conservatore, scrisse queste parole di fuoco contro i partigiani del futuro:

«Il reale è un bene e pienamente reale è soltanto il presente. Tuttavia chi guarda al passato può, se non fantastica, afferrare qualcosa di determinato. Soltanto chi guarda al futuro è esposto in pieno alla satanica irrealtà, al massimo di non-essere, perché il futuro è la temporalità schietta e irrimediabile, il luogo della speranza e del timore, l’ignoto, ciò che non somiglia affatto all’eterno, mentre il presente, se portato con rassegnazione o lodato, si illumina di indizi o primizie d’eternità. (…) l’Evoluzione, l’umanesimo scientifico e in genere le dottrine che inchiodino al futuro sono satanicamente incoraggiate: tema, avarizia, lussuria, ambizione sono radicate nell’avvenire, mentre la gratitudine e la lode sono volte al passato e l’amore è tutto presente». 

Ne deduco quindo che sono sulla buona strada. E’ indifendibile la “Tradizione” che ci ha condotti sin qui. E il futuro, come io l’intendo, come un vento stellare, non prevede affatto l’avarizia o l’ambizione (e di certo non comporta un “umanesimo”)… Ha più il senso di uno scacco, che ogni uomo, anche i mistici… persino Cristo, ha dovuto affrontare. Lamma sabactàni! (“Dio mio, perché mi hai abbandonato?”). Il grido feroce di un uomo di fronte al suo annientamento…

Qui, The wreck (Mauro De Zordo), riflette sul tempo come presenza e su tutte le sue possibili grammatiche… partendo da “Ousia e grammé” di Jacques Derrida.

Ci sarebbe da pensare ciò che suggeriscono alla filosofia le moderne teorie della fisica quantistica o le scoperte dell’astronomia. Le diverse grammatiche di cui parlava The wreck mi hanno fatto pensare a piani dimensionali differenti… ed al tempo come contenitore vuoto , la condizione, dello spazio (che si contrae e si espande assieme ad esso…). E penso che non possiamo ben comprendere, ma solo intuire, matematicamente o meno, qualcosa che condizioni lo spazio-tempo, come una quinta dimensione che condizioni gli eventi cosmici. Ma siamo davvero troppo piccoli (troppo modello standard) e abbiamo troppo poco tempo a disposizione per notare i cambiamenti macro-cosmici… O troppo grandi per gli eventi micro-cosmici. L’uomo è a dismisura di tutte le cose.
Mia opinione è che le galassie siano come un gorgo d’acqua in un lavandino. E che dunque vi sia un buco. E che vi sia qualcosa, dunque, solo in prossimità del suo annientamento. La nostra gloriosa vita sarebbe decadente… il brillìo finale di una colossale entropia.
E vedo questi buchi neri come l’imbastitura di un tessuto… che apre a nuove dimensioni. A nuove catastrofi… E noi abbiamo bisogno di quiete per vivere, non di continue esplosioni stellari o planetarie…

Noi intanto capiamo chiaramente solo le quattro dimensioni in cui ci muoviamo (x,y,z e t). Anche se, ogni tanto, qualche errore nella teoria ci rivela la mise en abyme in cui vaghiamo con nonchalance.

Il probabile errore è derivato dal concetto di “punto”. E dal sottovalutare lo zero… questi immensi spazi vuoti che sembrano prevalere, rispetto a quel qualcosa, cui siamo aggrappati come il muschio ad un sasso.

La Kristeva suggeriva (in “Semeiotikè, appunti per una semanalisi”, il salto da 0 a 2 bypassando l’1. Io non so che dirvi… Provate a pensare a ripiegare tutti gli spazi-tempo possibili (luce inclusa)… ne esce fuori un disegno? La distribuzione delle galassie nel cosmo segue una logica? Ci può interessare? La capiremmo?
Quel che so è che viviamo sul ciglio di un burrone. Siamo l’effetto di un ristagno. E ci consideriamo ancora il centro e la misura di tutte le cose! Che penosa presunzione…

Saremmo un evento. Fuori presente, fuori presenza. Gettato dal futuro. In questa terra di nessuno che noi recintiamo e chiamiamo presente, presenza. Ma è un imbroglio per non urlare di dolore da mane a sera (e la realtà sarebbe questa…).

   3. Il futuro | Ribaltando ancora una volta Aristotele…

“The past is now part of my future,
The present is well out of hand”.

(da “Heart and soul” di Ian Curtis dei Joy Division).

Provo a tradurre:

“Il passato è ora parte del mio futuro
il presente non è affatto a portata di mano”.

Il futuro pare essere davvero distruttivo, sì (come dice Zolla). Considerato che Ian Curtis si impiccò di lì a poco… E’ da notare come nessun filosofo si sia occupato del futuro in quanto tale, come dimensione anomala del tempo. Liquidato da Aristotele, Epicuro, s. Agostino come inessenziale, come un non-essere… recuperato in una dimensione escatologica e finalistica dal cristianesimo, da Hegel, Marx, etc… sognato dagli utopisti e dagli apocalittici di tutte le ere… è stato ad ogni modo ingabbiato in una dimensione ontologica, che non gli è propria, evidentemente.
Interessante il ribaltamento di prospettiva, che squilibra tutte le simmetrie, i passati sedimentati, le armonie, le geometrie… Quel-che-sarà non si sa ma diviene tutto ciò che conosciamo. Se ammettessimo con Spinoza un ordine necessario, nel suo sguardo impossibile sub specie aeternitatis, allora forse vi vedremo una cosmica assenza di libertà, un determinismo da orologiai, che può far pensare ad un Dio-Macchina. Io vi vedo invece una libertà assoluta, nel senso che è sciolta persino dall’ontologia e dalle care forme, cui siamo legati per timorosa abitudine più che per scelta.
E’ la stessa cosa che affermare (come ho fatto) che l’io sia come un bersaglio convinto di essere l’arciere. Ecco: il presente-passato è l’arciere che pensa di “penetrare il futuro” (come dice Bergson) e andare a bersaglio… quando invece è la freccia-a-bersaglio (il futuro) che trapassa l’arciere. E’ l’arciere ad essere invaso (ed invasato) dalle tecniche e dalle forme generate dal fine (la freccia-a-bersaglio). Così come il gatto-in-posizione-iniziale non precede il gatto-in-posizione-finale, ma è il contrario. Diversamente il gatto starebbe fermo. Insomma Aristotele ha ribaltato la questione potenza-atto. La fine di un moto non è il suo essere-in-atto, ma il suo essere-in-potenza… ed è condizione che sembra generare dinamiche studiabili secondo leggi, ma solo in apparenza… poiché se il passato appare imbrigliabile in un essere, il futuro non lo è. Possiamo prevederlo, assecondando in questo la sua natura in potenza. Ma non è detto che sia così come lo potremmo conoscere in virtù del nostro passato, della nostra esperienza, del nostro vissuto. Questa incertezza lo rende poco interessante agli occhi dell’universalismo e dell’ontologismo dei filosofi… del loro ammuffito interesse per la staticità, la struttura, gli aspetti invarianti degli eventi. Quando invece l’interessante per me è proprio l’eccezione inspiegabile, il caso fortuito, l’evento imprevedibile…

Né il futuro può essere imbrigliato dalle scienze, divise nelle varie discipline del presente (insieme ai lavori che vi corrispondono) proprio per minimizzare gli “urti” del caso fortuito, delle asimmetrie, dei neutrini sfuggenti, dei geni impazziti… Le scienze si riparano dall’oggetto (o dal fantasma dell’oggetto) del loro studio.

Qui si parla del futuro che invade il presente-passato, non del presente-passato che penetra secondo costume positivista un futuro già previsto, la sua immagine passata… il futuro anteriore… ciò che sarà stato.

E’ come se l’aldilà dello specchio anticipasse i nostri movimenti. Siamo la caricatura del nostro riflesso. E questa caricatura presuntuosa la considerano cosa nobile e degna di interesse.
Procediamo a ritroso (a compilare e raccontare le nostre azioni, i nostri pensieri le nostre parole) a partire dai fini che di volta in volta emergono.

non stiamo parlando di istanti in succesione, di fotogrammi, come in una pellicola cinematografica...Sottintendo che per me il pensiero è movimento in un ambiente virtuale… in cui ci muoviamo come in quello reale (mediante immagini sensoriali che divengono idee e concetti astratti, che si generano a partire dalle invarianti delle singolarità, e solo alla fine vengono inquadrati in una griglia, catalogati… ma è un’attività poliziesca e infeconda che mi interessa relativamente).

Mi si potrebbe obiettare che il futuro di cui parlo sia già passato. No, per il suo carattere imprevedibile e incerto. E aggiungo: non è l’immagine della posa finale del nostro movimento a generare il movimento, ma la stessa posa finale a sollecitarne l’immagine nella nostra mente. L’interiorità non è che questa apertura.


Il feto-monolito e lo schizo-capitalismo

Perché non l’uomo, ma il mondo è diventato un anormale.
(da “Van Gogh, il suicidato dalla società” di Antonin Artaud)
Stanotte, dopo aver letto le terribili storie intorno ad Antonin Artaud, di torture, elettroshock, quando era in vita… e delle aspre contese, seguite alla sua morte, tra la sua famiglia e i suoi amici surrealisti, per contendersene i deliri e i segreti, raccontate da Sylvère Lotringer (e ripensando ai deliri del poeta francese circa madri, sorelle e feti, ai tentativi disperati di ricostruzione di un io, dopo i mancamenti a se stesso impostigli elettricamente in manicomio) ho fatto un sogno. Ecco un esempio di “maculata concezione”(come scriveva Artaud): Ero nella stanza da letto, la mia, ma era anche quella di mia madre… così, in un angolo a destra della testata del letto avevo il mio alambicco e nell’angolo a sinistra la foto del Matrimonio di mia Madre poggiata su un comò… Mia Sorella è accanto al letto in piedi a far da testimone, come fosse un mio Doppio al femminile. Ad un certo punto, al posto dell’alambicco, mia Sorella vede qualcosa, che mi indica… Mi giro e vedo un Feto in levitazione. Stessa cosa dall’altro lato al posto della foto del Matrimonio. Il fatto è che questo feto (che era unico anche se erano due) si muove, ma è invisibile… pur conservando la “tangibilità”. Intuendo questo, cerco di fermarlo prima che mi raggiunga (il suo potere è quello di paralizzare, impedire di parlare o gridare… oltre a quello consueto di “cinturare elettricamente” il ventre come descrisse Strindberg in “Inferno”). Al tatto è come un parallelepipedo… la cui luce nera mi ricorda il monolito di “2001 odissea nello spazio”… Vedo chiaramente che (l’evento palingenetico, l’ecce puer) la nascita del Messia è in realtà un incubo spaventoso… che si dilegua quando Mia Sorella mi conferma di aver assistito anche lei all’orribile prodigio… smentendo così ogni possibile ipotesi di un mio personale delirio. Io arresto la scena con un “Nel nome del Padre…” di rito (sembra essere tutt’ora il metodo più efficace per imporre un ritmo ternario al Dualismo insorgente), che riporta tutto all’ordine e al risveglio.

Giger - "Dead babies"

Ne derivano alcune considerazioni. Non trovo in questo alcuna novità rilevante circa la mia composizione simbolica di fondo (fatta di insofferenza nei confronti delle logiche patriarcali e di orripilazione per le poltiche del desiderio materno di fallicità – di gestione del Figlio come fosse un Fallo – vissute come minaccia alla mia stessa Vita, tramite un mio rimpiazzo con un Sostituto… il FETI-cismo insomma, la merce al posto di ME)… ma vi è piuttosto la suggestione di un Dualismo senza ordine, né condizione sopportabile, che si oppone con tutte le forze ed in modo imprevedibile, irragionevole, distruttivo, invisibile e spettrale (quasi come incarnasse un principio del Male) ad un Sistema teso (sino allo spasimo, fino a lacerarsi) alla pacificazione, basato sul Terzo (ciò che possiamo immaginare come lo Stato, un ordine simbolico, la perfetta costruzione di una metafisica come quella di S. Tommaso d’Aquino, ecc…). E questo scenario non è… personale.   E’ lo scenario messo in campo, per esempio, dalla Guerra al Terrorismo, in cui, dietro un’apparente gestione razionale degli eventi, si cela un mostro di innesti e proliferazioni (traffico d’armi, patti trasversali, campi di reclutamento, centri di addestramento, ma anche, sul fronte interno… “comunità”, sette, gang, bande…) nel tessuto stesso della società, che si pretende Razionale e che si suppone esista (pur essendo una sorta di finzione scenica, la rappresentazione di un ordine semi-naturale, un sostrato mitico su cui adagiare il corpo-in-frammenti del sistema; a mio avviso non vi è mai stato alcun “contratto sociale”… come sostengo in questo commento 22). Dunque questo Dualismo terrorista, questa Eccezione del Diritto, quando rivela la sua verità oscena, nascosta dal Sistema che la copre e la supporta occultamente, sembra presentarsi come fosse la Realtà… Ma è un mostro creato in laboratorio… Ora, nel mio sogno, questo mostro, voleva sostituirsi al MIO laboratorio, alla mia coscienza (rimbalzata tra maschile e femminile e che trova la sua provvisoria unità nell’uovo alchemico). Ma non c’è risucito, evidentemente…  In quale scenario ci si muove? Più o meno quello labirintico, spettrale e cannibalico di Pacman… che ha in sé la simpatia finta di uno smile. E’ il capitalismo… che mira ad integrare nella sua composizione onnivora, come di una zucca decomposta che rinasce da sé materializzandosi qua e là, anche i deliri della schizofrenia, una volta letti come rivoluzionari (da Kristeva, Deleuze, per esempio) ed ora integrati (in qualche modo) nei circuiti del sistema. Sylvère Lotringer scrive una sorta di requiem della resistenza possibile (prendendo le distanze dagli inviti insurrezionali di qualche “invisibile” gnostico contemporaneo, che pur conserva un notevole acume… se non fosse che è il capitale stesso a spingere verso le barricate e ad inventare scenari alla “Terminator”):“Cosa si può intendere con resistenza? Resistenza al capitalismo? Ma con il capitalismo abbiamo a che fare con una nozione molto artaudiana: è ovunque e in nessun luogo, si tratta infatti di un concetto confuso, anarchico, come Eliogabalo, ti volti e non è più lì dove si trovava. Non si ha nel capitalismo una progressione logica o prevedibile, è qualcosa di affine alla follia. E come si può pensare di combattere la follia? Ci si può solo rendere conto che non si ha a che fare con qualcosa di umano, perché non è un sistema concepito per essere al servizio dell’umanità. Tutto ciò ricorda la storia dell’apprendista stregone: il capitalismo, si badi bene, è sempre esistito, ma nelle società primitive era sottoposto a tutta una serie di limiti e costrizioni, ma noi abbiamo, per così dire, lasciato uscire il genio dalla lampada e finirà per distruggere l’intero pianeta. L’avidità di profitto, la speculazione rovinano anche le migliori intenzioni, per cui anche un’industria ecologica, nonostante i suoi obiettivi positivi, viene sovvertita dalla logica cui obbedisce, logica che finisce per rafforzare il capitalismo. Gli stessi concetti con cui si confrontavano Artaud e Bataille risultano obsoleti rispetto al capitalismo contemporaneo, che finisce per produrre degli zombie soddisfatti di sé, i quali non si chiedono neppure in che direzione procedono. Ne risulta una sorta di Grand Guignol dove nessuno ha più coscienza, ad esempio, del fatto centrale che la sua vita è limitata. C’è qualcuno che prevede ancora fasi di rivolta, come ne l’Impero di Antonio Negri, ma non condivido questa visione ottimistica poiché, nonostante vi possano essere evoluzioni inattese come imprevisto fu il maggio del Sessantotto e il mito che ne originò, oggi mancano dei miti sufficientemente forti. Il capitalismo stesso si presenta come un mito e riesce a suscitare, come tale, degli affetti ma non si tratta di affetti che posseggono alcunché di autentico”.


Ho sognato che il tempo aveva invertito il suo corso…

…anche se era un fenomeno che si mescolava alla normale linearità del tempo che porta da un passato ad un presente attraverso questo ponte o (come direbbe la Arendt) questa “breccia” del presente. Anomalie del tempo all’incontrario qua e là. Preannunciate da un’altro sogno in cui……mi ritrovavo in una bella casa grande, in una festa tra amici, modello festa liceale, dove suonava un gruppettino rock: i Led Zeppelin
John Bonham, batterista dei Led ZeppelinIn una pausa tra una suonata e l’altra mi ritrovo accanto nientepopodimeno che John Bonham… il batterista morto dei Led Zeppelin… e lo indico alla mia ragazza:
– Ma lo sai chi è questo “monumento” qui vicino?
– No, chi è?
– E’ John Bonham!
Gli sorride, ammirata… e lui si schernisce, dicendo qualcosa in inglese, davanti al suo boccale di birra.

Peccato che sia un morto che si è introdotto nella breccia del mio presente (anche se onirico). Infatti i problemi sono continuati nel sogno di stanotte. Ma erano molti di più i guai…

Oggetti che volavano venuti dal futuro, i morti di domani che invadevano a tratti il tempo presente… a volte erano le persone stesse che diventavano i morti che sarebbero stati… ma erano vivi… ed era normale…

come non lo è l’idea che l’ombra possa precedere la luce (cosa che sappiamo essere poco comprensibile, per le nostre menti attratte anche in modo pre-logico dalla luce e, d’altro canto, spaventate dall’ombra, dal buio… abituate a pensare il positivo prima del negativo, in quanto è su quel versante che noi riteniamo di essere… in quel che “c’è”, nell’esistente…).

Insomma era tutto un pullulare di morti viventi e umani che improvvisamente si divoravano l’uno con l’altro… Cunicoli avveniristici e catacombe. Rovine e agguati nell’ombra… Ma nel complesso tanta luce e tanti colori… Io difendo il mio sonno e la mia incolumità nel sogno con l’arma vincente della mia adolescenza: “Non esistete…”. E tutto perdeva potere e si dissolveva… in un paesaggio diurno di rovine e macchine fantascientifiche che volteggiavano qua e là insieme a pteranodonti e biciclette.

Cosa vuol dire? Che la linearità che conosciamo del tempo è frutto di un verso, di una direzione, in cui siamo presi come coscienza, linguaggio, corpi, materia, ecc…? Quella che da qualche tempo i fisici chiamano l’asimmetria della materia e a cui, in precedenza, un’inattuale e sovreccitato Nietzsche (scorgendola sotto le sembianze di un gorgo infinito che tutto riconferma) non potè far altro che “dir di sì”? Non fosse altro che per l’abisso che vi aveva intravisto…

O semplicemente è un riflesso del fatto che qui in Italia non si capisce più niente e tutto sembra essere mischiato e sottosopra?

Oppure si tratta di miei personali timori circa il futuro?

Eppure non avevo mangiato pesante…



La Fortuna è un vento stellare

E se la mia Musa mi svegliasse e mi dicesse che la Fortuna non può essere ricercata per sé… ma che essa è un vento che decide dove andare?…

Il vento soffia a mezzogiorno, poi gira a tramontana; gira e rigira e sopra i suoi giri il vento ritorna”. (Qo 1, 6)

Essa è come una tromba d’aria… non puoi trovarti dove essa è a tua volontà… solo lei decide, solo lei può sollevarti.

Se cerchi di trovarla, la Fortuna fuggirà… Lei, figlia di Mercurio e Venere (ovvero la Vita e i suoi Corpi conduttori), passa dove vuole, in minore o maggiore quantità e in accordo con la tua capacità di lasciarti attraversare o condensarla.

E’ forse il nostro “campo magnetico”, molto prima della nostra coscienza ad entrare in gioco.

O meglio, il segreto pulviscolo che si condensa nelle coscienze a determinare l’incrocio tra la Fortuna e la nostra vita.

nebulosa di Orione fotografata da Hubble

Così occorrerebbe rinunziare ad essere Persona, maschera di sé… riuscire a lasciare questa dimensione anche per un solo incommensurabile istante e affidarsi al vento stellare che ci attraversa segretamente…

Quello accanto, per esempio, è il vento nebuloso di Orione… Quale probabilità vi è di catturare la polvere di quelle strie azzurrine e violette in un oceano di niente?

Eppure gli invisibili venti stellari ci attraversano costantemente… noi stessi, abbandonata la Persona, siamo quel cosmo nebuloso… E siamo lo sguardo degli egiziani, nelle notti del deserto, che puntava, inconsapevole e affascinato, proprio verso quella culla di stelle nascenti.

la Fortuna dell'iconografia tradizionale che getta "polvere di proiezione"Le nostre aurore boreali danzano al plenilunio. In attesa di un refolo di Fortuna… senza cornucopia di Amaltea, senza la corona di mura di Tyche, senza la benda… giusto il vento di Iside pelagia o di Venere marina.

Né la muove la meccanica ruota dei Tarocchi, azionata da scimmiette…

I mondi alati (vedi illustrazione) la recano… quel che noi segretamente siamo, condensando in vita della polvere di stelle.

E così, ritrovando la rotta stellare tra la gente e perdendo la propria avidità, può capitare anche di trovare delle banconote per terra…

Buona Fortuna!

PS: Chiudi gli occhi, condensa la polvere di proiezione e gettala in terra…


Psicanalogica – l’Embolon contro il Symbolon

In questo post si parlerà dell’Analogica applicata alla psiche umana, ovvero della Psicanalogica e dell’oggetto (o piuttosto dell’ in-getto, em-bolo o em-blema) del suo studio. Poichè, per inventare una nuova “scienza”, occorre prima decidere di cosa si occupi…

Io, suo fondatore, sarei dunque uno psicanalogista?… Non so, forse è un po’ presto per definire i titoli d’onore e i diritti di esistenza di una “scienza” che deve ancora nascere… Ma l’ho già tutta in mente, quindi non resta che inventarmela (da “invenio”=scopro) man mano…

Jacques Lacan con sigaro storto

Questo signore, Jacques Lacan, parlava, finché era vivo, con voce cavernosa, producendosi in discorsi spesso oscuri e incomprensibili, ma la moda dei pensatori francesi dell’epoca faceva sì che lo si stesse ad ascoltare molto attenti, ripetendo le sue oscure formule e spesso  complicandole ulteriormente… Era uno “sciamano” che magnetizzava l’attenzione sulla sua rilettura di Freud. Insomma era uno psicanalista, non uno “psicanalogista” come me… e aveva l’intenzione di rivelare la “verità” dell’inconscio. E di definire, nel corso dei peregrinamenti teorici di una ventina di seminari, la “posizione del soggetto” nello spazio psichico che aveva disegnato:

il "nodo borromeo", incontro dei tre piani RSI (Reale, Simbolico, Immaginario) che per Lacan definiscono il soggetto della psicanalisi

E’ il nodo che intreccia “Reale, Immaginario e Simbolico” (tipicamente lacaniani) e fa emergere nell’intersezione il sintomo (quello che gli psicanalisti dovrebbero curare…). Bello vero? Pare una fede turca (quella fatta da 3 anelli incastrati tra loro) aperta in tre. A suo modo un emblema… E questa sarebbe la mappa del suo campo d’azione. Qui ci sarebbe il famoso “soggetto”… Sub-jectus dal latino. Che vale “gettato sotto, sotto-posto”. Dunque… cominciamo male. Io sarei un “soggetto”? Una persona risibile, una caricatura, un dipendente? Una  specie di Fantozzi? Nooo… Ma la moda strutturalista dell’epoca non vedeva di buon occhio l’Uomo. Al punto da porlo come “soggetto”, strutturato dal linguaggio di cui non era che un effetto. “Ciò parla”, diceva Lacan.

E che ci dice?… io e la mia mania di scomporre etimologicamente le parole (che hanno una vita animale e una genealogia) diciamo, prima ancora che io ci capisca qualcosa, che si parla di “-getto“. Parlerò dunque di getto, senza pensarci troppo.

Sog-getto, og-getto=”gettato sotto”, “gettato innanzi”… evoca nella mia mente la scena di uno schiavo lanciato ai piedi di un Re. Possiamo sopportare ancora questo stato di sog-gezione? Seguendo la scia del latino dovremmo parlare di in-getto, ma questa parola evoca la puntura, l’in-iezione. Parliamo di qualcosa che ci viene scaraventato dentro. Non proiettato, introiettato… o inoculato. Una specie di sasso in uno stagno… Quiete turbata dal “fuori” e che riverbera… gran sollecitazione di neuroni, della memoria. Fuori di che? Fuori di chi? Fuori di noi. Fuori dal danni di un embolo...tempo. E cosa viene scagliato dentro? Un embolon (=”gettare dentro“, dal greco)… che a prima vista sembra una minaccia mortale. Nella nostra lingua lo intendiamo come un embolo, qualcosa che ostruisce le arterie e crea danni al cervello, per esempio con un ictus… Anticamente si intendeva con “embolon” il rostro, la punta della chiglia che si incuneava nelle navi nemiche per affondarle… o uno schieramento a V in guerra. Dunque appare come una minaccia mortale per il soggetto, sotto-posto alle classi e alle categorie che lui stesso s’è inventato al punto da essere determinato da queste. Minaccia di morte per la filosofia, perché in realtà l’embolon è un emblema (che permane nella sua natura emblematica, dunque non riducibile alla logica identitaria e copulante A=A… una rosa=una rosa, ma a quella più ambigua, della rassomiglianza, dell’analogia: A sembra A, ma anche un triangolo, una vocale…). Emblema che si oppone al symbolon, ovvero al “simbolico” con cui Lacan chiamava l’ordine del linguaggio, della società, sotto il vessillo trionfale del Nome-del-Padre… La chiave per accedere a questo castello di segni (o meglio di “significanti”) era il più ovvio “significante del desiderio”… più volgarmente, il Fallo… che ci liberava da quel terreno paludosamente insidioso del regno materno, della reggitrice oscura del gioco dello specchio che avrebbe fatto identificare il bambino che siamo stati tutti noi in un abbozzo di segno, una prima percezione di sé… l’Io ideale. L’immagine del corpo… allo specchio. Quello sei tu! Oh che sorpresa! Oh che emozione! Mi sposto a destra e lui si sposta… Ma come si fa a dire che questo è un segno primitivo? Un primo segnale di senso… solo per essere stato sottratto all’impossibile spazio del Reale (al di là del materno, dello schizoide, dell’ab-ietto … inaccessibile, indescrivibile, inimmaginabile, immemorabile)? L’incorporea immagine al di là dello specchio è un embolon. Ci viene scagliata dentro. Anticipa i nostri movimenti, li scrive nella memoria, li ripete… E’ il perenne anticipo del tempo che vivono gli animali, specie quelli autocoscienti come gli uomini. Un fuori-tempo che ci viene “scagliato dentro” nel nostro tempo psichico. L’embolon ovvero lo spazio embolico è reale, immaginario e simbolico in un unica soluzione… Dissolve la mappa (topologia) del soggetto di Lacan. Non è più possibile speculare senza sapere di mentire. Se dell’inconscio Lacan dice “ciò parla”… io aggiungo che piscia (in balistica, si parlerebbe di traiettoria),  getta, prende, canta, ascolta, ricorda, vede, ride, mangia, pensa, immagina, scrive, cancella, dimentica, sogna, dorme… spesso con una musica di fondo.

“Io” non è uno spazio chiuso. E’ un fuori “gettato dentro”.

Gli indiani non sbagliano a considerare la mente-corpo come una sola cosa. Il pensiero è un gesto, un movimento. Ci muoviamo nel nostro pensiero come in uno spazio fisico. I nostri stessi pensieri si muovono come in uno spazio fisico. Questo spazio fisico ci è stato scagliato dentro e ci “anticipa” continuamente, come a provenire da un fuori dello spazio-tempo che comprende la nostra percezione, con intuizioni, previsioni, schemi tattici, figure. Costruiamo un linguaggio solo per emblemi (o catene di associazioni), solo per questo continuo getto, dentro di noi, di immagini, suoni, odori, parole, carezze, fuoco, strepiti, ecc… Tra gli emblemi o emboli ve n’è uno particolarmente usato, che finisce per snaturare tutti i nostri possibili discorsi sulla psiche. Il symbolon. Definibile come il titolo esemplificativo di un oggetto, quello scambiabile per capirsi e farsi capire, è anche quello che ha dominato per secoli nelle teste fallocentriche e patriarcali dell’Occidente. Abbiamo il denaro e Dio Padre in testa. Una cosa ha valore se si scambia. Per esempio: nel sesso si scambiano cazzi? Il cazzo sarà l’equivalente generale del desiderio… si scambiano donne (come sosteneva Levi-Strauss ne “Le strutture elementari della parentela”)? La donna sarà la moneta vivente di scambio nelle società umane (forse da queste due equivalenze nasce la figura della “donna fallica” di Lacan?). E circolerà nelle società come il sangue nel corpo (finché non ci sarà un’embolia a rompere questo schema circolatorio, trasformandolo in una spirale emorragica che conduca altrove… ma subito si creerà un nuovo vortice e una nuova circolazione)… E’ un gioco che sminuisce qualunque -getto. Che sia seme, contrazioni vaginali, che sia polluzione di pensieri dentro di noi, che sia gioco del fuori col dentro, poco importa… Quel che conta si definisce con un patto chiaro. Infatti cos’era il symbolon (dal gr. syn+ballo=”metto insieme”) in origine? Una tessera che veniva gettata per terra, spezzata in due… e il margine di taglio, che solo poteva combaciare con l’altra parte, era garanzia del patto tra i due che rompevano il coccio. Su questo scambio è nato il segno, che sempre pretende di combaciare e significare altro, garantendo l’ordine (o la grande menzogna della “mente che mente”) come meglio può…

Ma il fatto è che non c’è ordine. L’ordine non è che un embolon. Un campo di forza che collega svariate percezioni e le inscrive in una “serie“: Padre-Dio-Logos-ordine sociale-territorio-soci-clan-stupro rituale-sfruttamento-patriottismo-guerrieri-ragione-linguaggio e così via… serie gettata dentro dall’ambiente circostante e non solo per patti, per convenzioni, ma anche da singole impressioni, da un’educazione al symbolon (fatta di convenzioni e classificazioni) che ci viene riproposta come una marziale e deviante palestra della mente-corpo. Muoviti così e dici “fallo”… Muoviti cosà e dici “fallimento”… Il symbolon è una particolare specie di embolon che si prende per vero, reale, chiaro, evidente, razionale, buono, incontrovertibile… è un embolon “presuntuoso”, che cerca costantemente di celare la sua natura emblematica. Necessario per il “progresso” e la “civiltà”, nega costantemente i suoi accidenti e le sue eccezioni… La Psicanalogica è qui per questo. Per “embolizzare” questo sistema proliferante e virale e bloccare la sua circolazione arteriosa e, nella sua accezione positiva, muovere il pensiero secondo la sua “natura”, ovvero il suo ritmo e il suo movimento. Vaglierà rassomiglianze e le inanellerà come in un diadema o in una collana. Cercherà di continuare ad accostarsi alla comprensione (e alla rigenerazione) dei sogni, delle analogie, delle intuizioni, delle trasmutazioni e del mondo non più scientifico e filosofico che ci attende. Continuerà il racconto interrotto (ma sempre rilanciato) delle donne-sacedotesse (delle verie  magdalene, pizie, bakhti, diane cacciatrici), delle radure dei boschi, dei desideri, delle leggende, dei sincretisti. Seguendo un’arte del “-getto” che sappia cosa “gettare dentro”… come masticare la luce, indirizzare i fulmini e i soffi e seguire le eccezioni. Nel tentativo di dischiudere il corpo-mente a quel “fuori” che ce lo re-invia costantemente mutato e modulato.

il -getto: movimento dell'embolon (gettare dentro) e dell'eccezione (prendere da fuori). Al centro la spirale del corpo-mente. Elaborazione grafica 3D di Valerio Mele.

P.S.: Eccovi cosa c’è “in ballo”. Ed eccovi “imballata” la psicanalogia… (sono solo altri due termini derivati da “embolon“…).  Parleremo in seguito della pratica psicanalogica (inattendibilità della scienza, analisi dei sogni, amplificazione associativa e analogica, “sciamanesimo”, metodi e terapie, dono).


Sciamano

(parole e silenzio di Valerio Mele)

Si getta

dal fondo della notte

cascata oscura

incessante e banale

tuono mugghiante

nel pozzo di luce

dei mondi.

Sciama di nuovo indietro,

sfuggendo al terrore sismico

di miriadi di uccelli in volo,

verso la breccia impossibile

della sua sorgente…

e ritorna a cambiare le rotte

e rifrangere i raggi fulminei

delle cascate.

Mai sarà compreso

sempre sfuggirà,

sempre tornerà,

sempre (o quasi) a bersaglio.

Ogni volta differente.

Ogni volta diluito.

Ogni volta trasmutato.

Eccezione di Dio,

sabbia e sale,

fango e seme,

poi sciame,

eccezione dell’ eccezione,

e ancora e sempre…

-getto.


IL DI-VERSO DEI -GETTI

decomponendosicompongono


sog-getti, né og-getti!

PS: Cito da questo interessante articolo che cita il libro “Forsennare il soggettile” di Derrida… che scrive di “getto” (il grassettato è mio):

In Forcener le subjectile, Derrida elabora un’interpretazione complessiva della paradossale non-opera del poeta-artista francese, attraverso il grimaldello di un’antica e desueta parola, forse francese o italiana: subjectile, soggettile. Artaud la utilizza tre volte nei suoi scritti, per parlare dei suoi disegni (nel 1932, nel 1946, nel 1947). Infatti, il “soggettile” indica innanzitutto il “supporto” materiale dell’opera figurativa. Ma in Artaud assume connotazioni aggiuntive inedite. È sì supporto ma anche soggetto, indica la passività della materia ma anche quella del “soggetto” (nel senso dell’esser soggetto a); indica un “giacere” (dal latino iaceo-iacēre) ma anche, nello stesso tempo, un “lanciare” (dal latino iacio-iacĕre); ha a che fare, quindi con la “gettatezza” dell’essere al mondo e con il “gettare” (jeter) e il “progettare” (projeter).

Il soggettile cos’è? – si chiede Derrida. Qualsiasi cosa, tutto e qualsiasi cosa? Il padre, la madre, il figlio e io? Per fare buon peso, perché possiamo dire la soggettile, è anche mia figlia, la materia e lo Spirito Santo, la materia e la forma delle forme, il supporto e la superficie, la rappresentazione e l’irrappresentabile, una figura dell’infigurabile, l’impatto del proiettile, il suo bersaglio e la sua destinazione, l’oggetto, il soggetto, il progetto, il soggiacente di tutti questi getti, il letto del succube e dell’incubo […], ciò che porta tutto in gestazione, che gestisce tutto e partorisce tutto, capace di tutto. […] Tutto e il resto, ecco ciò che è senza esserlo.


Oggi ho sognato Osiride risorto

Il Risorto : "Dopo tante sofferenze ed un crudele martirio, sono resuscitato, glorificato e puro da ogni macchia"Strani fenomeni accadono in prossimità del solstizio di estate. Si sa, ci sono spiriti da esorcizzare, il Sole sarà nel suo punto più alto. E’ l’inizio della sua discesa sull’orizzonte… Ho fatto un sogno stanotte (teniamo in conto che, per gli antichi egiziani, Osiride è il Sole nascosto e Iside la Luna):

“Mi stavo allontanando dalla casa in cui sono nato. Era notte. Sulla strada incontro Osiride con il suo sepolcro. Riconosco immediatamente che è risuscitato e che è reduce da un lungo viaggio. Provo un certo sgomento. Mi dice (senza parlare) che lui è la Luna. Io arretrando e tornando verso casa rispondo: “No… tu non sei la Luna… (Iside non c’è) tu sei il Sole!”. Ma non è forse notte? Che ci fa il Sole di notte? Così comincia una specie di fuga di entrambi verso casa. Io spingo il sepolcro come se non avesse peso… ci superiamo più volte. Una volta riconosciutolo come il Sole, Osiride si dissolve”.L'Albero della Vita - con le sephirot

E’ chiaramente un sogno alchemico. Preannunciato da una curiosa discussione, insieme alla donna che amo, su chi fosse la regina di Saba. A questo mi sono risposto rileggendo la bibbia in ebraico dove si parla di lei. Scopro che “regina di Saba“, che vuol dire la “regina del Sette“,  andava a interrogare Salomone per verificare la sua sapienza e compensarlo d’oro. In pratica un’investitura solare. Confermata dal numero 666, numero “sinistro” (per via della citazione sull’apocalisse) ma solare anch’esso essendo il guadagno annuo in oro di Salomone (666=36 triangolare, ossia la 36a fila dei numeri naturali disposti a triangolo. 36×10=360, l’anno solare appunto. La somma gematrica di 666=6+6+6=18 è la Luna dei Tarocchi invece, un “uncino” per gli ebrei… Potremmo insistere sommando 18=1+8=9 e si ottiene il “serpente” nell’alfabeto ebraico… Curioso anche il simbolo astrologico del Cancro, segno zodiacale lunare nel mese del solstizio, rappresentato da un 69 coricato, simbolo di un doppio processo solare e nascosto, 2 storte alchemiche a vedere meglio, l’unione di un percorso lunare e solare). La regina del Sette credo che sia la Sapienza che viene donata al Malek-Malkuth (Re-Regno), la più “bassa” delle sephirot cabalistiche. La Sapienza è infatti la sephirot n°2 che “comanda” le sette sephirot planetarie: Saturno (3), Giove (4), Marte (5), Sole (6), Venere (7), Mercurio (8), Luna (9)… Energie e sfere di inflluenza donate al “re” (10).

Ma, tornando al mio sogno, appena sveglio ho aperto a caso un libro (scelto per caso) e si parlava di Resurrezione. Dunque diciamo che l’argomento è questo.

Ero intento a defecare con il libro in questione in mano (“Catechismo della Chiesa Cattolica”), quando m’è venuto in mente un noto trattato alchemico, il “Rosarium Philosophorum”, cui l’immagine che ho postato appartiene. E’ l’ultimo emblema del trattato. Leggo qua e là e trovo una curiosa poesia che descrive la “pietra filosofale”:

“E’ la pietra nascosta e nella profonda fonte sepolta,

Vile e spregiata, coperta di letame e sterco,

Uno solo ha dieci per volta tutti i nomi dell’unica pietra,

Perciò il sapiente Moreno pieno di Dio disse

Che questa pietra non è pietra è un essere animato

che è doveroso generare

Questa pietra è un uccello e non è pietra oppure è uccello

Questa pietra è massa, stirpe e prole Saturnia.

Questa pietra è Giove e Marte, Sole e Venere ed è pietra.

E’ alata Luna, una sola più brillante di tutto.

Ora argento, ora oro, ora elemento,

ora acqua, ora vino, ora sangue, ora crisolito […].

Questa unica Luna è chiamata con tutti i nomi“.

Ovviamente il sogno raccontato non è che una fase del “mio” percorso (il “Sole invisibile” degli emblemi del “Toson d’oro” di Salomon Trismosin, la soluzione dello spirito nel corpo, perfettamente “lunificato”). Che, a quanto pare, è anche il percorso di altri, alchimisti o non alchimisti che siano. Ho voluto dare un esempio di “metodo di indagine” alchemico. Arbitrario e basato rigorosamente sulle analogie tra numeri, simboli, immagini, leggende, ecc…

PS: Il “sepolcro” è il nostro corpo. Il “Risorto”, la nostra anima-spirito (mercurio e zolfo “coagulati”), la nostra “pietra”. Il Sole si dissolve nella mia cucurbita, diventa invisibile nel solstizio d’estate, proprio nel momento in cui è più alto sull’orizzonte. Chiaro? 🙂

Evidentemente il Sole ha un destino di sparizione nel momento del suo massimo splendore. Nasconde nella sua luce abbagliante la sua Luce nascosta. Gli alchimisti sono i maestri di questa Luce. Se guardiamo in alto vediamo solo la Luna. Ma in quella Luna, vista dalla Terra (Malkut, il Regno), c’è tutta la potenza delle forze raccolte dalle sfere di influenza superiori (le 7 sephirot planetarie + la Sapienza + la Corona). Rispondete a questi enigmi posti a re Salomone dalla “Regina del Sette” e avrete la prima sephiroth, una bella Corona (Kether) sulla vostra testa.

“Con un balzo nel buio il danzatore si trasforma nel dio Apollo”. L’ho appena sentito su RaiTre, mentre sto scrivendo… era un servizio su uno spettacolo di danza di cui si descriveva il finale. Non vi paiono un po’ troppe “coincidenze“?