La dittatura dell’audiovisivo
“L’unione fa la forza”… dicono, ma non vale in tutti i casi. La velocità, la divisione, il parassitismo, la tecnica, l’inganno, l’invisibilità, l’opportunismo e molte altre strategie sviluppano forze pari o maggiori.
Gli umani preferiscono comportarsi come molti mammiferi quadrupedi… pensano di essere più forti riunendosi in mandrie, greggi, colonie, come gli erbivori… o branchi, come i carnivori più socievoli… Probabilmente, per il predominio della vista che li ha fatti diventare bipedi (o che è dipeso dal fatto di essere bipedi), hanno preferito quel senso dell’insieme circoscritto, della misura (ad occhio), quell’andare per sommi “capi” (supporto anatomico del “capitalismo”), quell’individuare continuo, mettere a fuoco… Dovremmo sviluppare gli altri sensi, con i loro relativi linguaggi… (tatto, sapore e odore, per esempio, sono molto sottovalutati… ancora meglio scoprire altri sensi neanche considerati tra i cinque “ufficiali”… senso della posizione, dell’orientamento, dell’equilibrio, della premonizione, ecc…). Oppure sviluppare caratteristiche non abbastanza esplorate di vista e udito: la visione periferica, la visione d’insieme, la visione notturna, la visione di radiazioni non luminose, l’ascolto del rumore di fondo, di ultrasuoni, infrasuoni… Dare una forma oltre l’individuabile (cartesianamente chiaro e distinto) definito dal visibile e dall’udibile.
Questa fissa di vedere l’og-getto fallico invece di sentire i -getti interni… (flussi elettrici, neurochimici, secrezioni, infezioni, ecc).
Questa fissazione sulle pulsioni che scarta le re-pulsioni.
Questa fissa dei confini, anche sul corpo.
Siete una piaga!
Cos’è uno spettro? Un eccessivo ritardo nella latenza delle percezioni. “Dài, su! soffia! espira! svegliati!”.
Cos’è uno spettro? Una coscienza (spettro raddoppiato) prima di ri-tornare, ri-trovarsi, re-inventarsi e ri-conoscersi.
Cos’è uno spettro? Un doppio senza (rad)doppio.
Cos’è uno spettro? Il presente-passato che si presenta come (o passa per) futuro, divenuto da-venire.
Cos’è uno spettro? Frame del’io che rivela di essere scomposto in un noi, in un loro, in qualcosa (onde, flussi, tracce, -getti).
(ce l’avete proprio davanti agli occhi in questo momento, mentre legg
Masticare la luce e sputacchiarla. Curvare la radiazione cosmica di fondo alle cosucce che possiamo toccare, far co-incidere, tra-scrivere.
Che la coscienza, cane da ri-porto di ogni rap-porto e re-lazione, senta di cosa è fatta prima di vigilare sugli spettri delle cose, prima di ri-disporre e pre-disporre l’in-disponibile con i suoi dispositivi.
In poche parole: qualcosa accade prima che sentiamo. Tocca prima di vedere. Qualcosa tocca comunque prima del tuo tocco. Una piccolissima piega, un tempo infinitesimale, potentissimo, nodi semplici che generano tutti i nodi complessi successivi.
Accadàvera la co-scienza.
Tocca la piaga, la piega, come Tommaso (il tomo, non l’a-tomo… il dividuo, non l’in-dividuo… il Gemello, il Doppio… Fa che ciò che si spaccia per ri-sorto, ri-svegliato, non valga più dei suoi simili e delle cose da cui sorge).
La speranza è l’ultima a morire (purtroppo…)
Chi di speranza vive, disperato muore
(mio nonno)
La peggiore delle attitudini umane, la droga più potente… quella che fa avere le traveggole, fa credere alle allucinazioni, sbilancia la realtà verso un solo lato, la fa collassare verso un centro che non c’è… cerca di porre fine a qualcosa che fine non ha… è solo una funzione del tempo in cui sono immersi i viventi, l’attitudine ad una falsa preveggenza, che prevede, individua, solo il presente-passato, predestina tutti ad un destino miserabile di imbecillità generalizzata, cancella il futuro, invece di accoglierlo… Saremo sempre senza speranza, disperati. Possiamo giusto avere una certa grazia, frattale, geometrica, simmetrica… avendo dentro al contempo la disgrazia, la distruzione delle forme, il caos, l’asimmetria.
A-venire… i -getti nei sog-getti e negli og-getti… variamente condensati, rappresi nel fondo del vaso di Pandora.
– Fuggi, fuggi, Speranza…
P.S.: Inventeremo una nuova lingua fatta di lacrime, che chiameremo “desperanto”.
La coscienza
ovvero
a proposito di “ghiribonzi”, di “aùro” pugliese e “ìndico” velletrano.
– da un dialogo su FB –
IO – Abbiamo un nemico interno, ma non è la corruzione (come sbraita Piero Pelù)… sono i ghiribonzi. I “ghiribonzi”, familiarmente detti anche “pali”, sono esseri notturni che abitano nei corridoi, come anche l'”aùro”, sorta di troll peloso presente, oltre che nei racconti popolari pugliesi, anche in qualche quadro di Füssli, in forma di succubo. Hanno presumibilmente gambe corte, altezza che varia dai 60 ai 200 cm, andatura lenta durante lo svolgersi degli incubi notturni, capace però di aumentare considerevolmente, in simultanea con l’esito horror del finale dei suddetti incubi, quando divengono invisibili e infine si avventano sul sognatore, cinturandolo con una scossa elettrica paralizzante al ventre.
PS: Si possono annientare solo riuscendo a parlare, gridare o, ancora meglio, soffiando col naso… dato che risulta difficile, da “paralizzati”, svolgere la “manovra di Valsalva”.
CM – A Velletri lo chiamano Indico!
IO – Ecco:
“L’ìndico” (di Roberto Zaccagnini)
Erno dó’ mesi che Filomenaccia
tenéa l’Indico, ma ’o tenéa de brutto …
de notte ‘n piommo a ’o stommico, poraccia,
’n sapéa che fa’: era provato tutto!
I stròleghi ’era ’ntesi tutti quanti,
fina che u’ llegramante de Schinetta
glie disse: “Filomè, ’n ce stanno santi,
te l’hai da còglie da ’sta casa infetta.
Chisto, ’o vé’? è tarmente aradicato
che nu’ lo scoti manco si vè’ ’o prete.
Gnente acqua santa, zorvo, né ramato …
da’ retta a mmi: meglio che v’’a cogliéte”.
Cossì areddusse i commedi ’a mmatina,
e ’o marito ce revempì ’a cariola.
’O bammoccio portéa ’na concoglina
co’po’de badanai e dó’ lenzola.
Filomenaccia era abboticciato
drento a ’na canestra ’o matarazzo,
s’’o misse ’n capo, ma arivà ’o cuinato
e se fermàne là denanzi ’o stazzo.
Dice: “Che v’’a cogliéte?” – “No, pe’ ’n cazzo ..!
Che glie pigliésse ’n corbo andó se trova!”.
E l’Indico da ’n cima ’o matarazzo:
“Gnamo, cuinà, che gnamo a ’a casa nova!”.
(“ìndico”, dal colore indaco; anche specie di folletto che, nella credenza popolare, immobilizza gli arti alle persone durante il dormiveglia).
CM – Si esatto, proprio lui. A mia nonna appariva di notte, immobilizzandola e “succhiandole il respiro” come sosteneva lei… L’unico modo per mandarlo via era mangiare qualcosa sulla tazza del cesso e recitare: “Indico, vie’ a magna’!”, cosi lui, schifato, andava via…
IO – Taluni psicologi (un cognitivista, in particolare) sostengono si tratti di narcolessia. Ipotizzano che certi effetti paralizzanti durante la fase REM del sogno, siano dovuti a meccanismi autoimmunitari impazziti, che finiscono per bloccare il respiro regolato proprio dal “midollo allungato”… e aggiungono (comicamente) che certi sintomi durano tutta la vita. Per me la malattia di cui parlano costoro, ciò che si comporta troppo spesso da parassita del corpo, ha un solo nome: “coscienza”… e le cause di certi fenomeni non sono solo biologiche come vorrebbero far credere (perché così sempre più siamo considerati… materia biologica da utilizzare in qualche modo per l’altrui godimento). Così non ne verranno mai a capo. Non si possono comprendere certe esperienze se non si combattono e spezzano le relazioni ana-logiche (il legame insistente, ripetuto, “profondo”) tra determinati rapporti sociali (familistici per lo più), associazioni mentali, emblemi culturali, immagini del corpo, etc…
Questa “scienza” inesistente (questa lotta contro gli spettri, anche culturali) l’ho chiamata “psicanalogica”.
CM – Sì… anche secondo me, il rapporto di questi eventi con la nostra natura profonda, con le credenze e le connessioni familiari/culturali è inscindibile… per questo bisogna scavare nei miti!… Si ritorna al discorso dei nostri nemici interni.
IO – Esterni si spera! (Non a caso l’esorcismo di tua nonna veniva pronunciato sul cesso… sono nemici che vanno evacuati da sé e dati in pasto alle tante coscienze di merda che vagano come nervi vaghi, a mettere ansia… ma probabilmente si può solo oscillare tra coscienze di merda, parassitarie, ansiogene a sproposito e coscienze in sintonia con i -getti che le compongono e scompongono, con l’ambiente, il paratesto, che le fa emergere come sub-iecta o, piuttosto, le rigetta, lascia che si presentino, come triade giudice-protagonista-pubblico, su una specie di proscenio o di specchio o di schermo… riparo provvisorio dalla linea di fuoco tra futuro e presente-passato).
L’ipotesi perversa III
non un “di più”, una finzione, una plasmazione, un’aggiunta… ma un reiterato lavorio della morte applicato a punti precisi secondo un pro-getto (non un sog-getto o un og-getto) emblematico d’e-sistenza (stesso etimo di “estasi”: ēx=«da» o «a partire da» + sistere, forma secondaria del verbo sto, -as, stĕti, stātum, -are=«stare»)… non una genesi d’argilla, ma sculture, disgiunzioni, divisioni, insiemi complessi scavati nei sistemi… tutt’altra cosa che, semplicemente, sfasciare, devastare, distruggere, annichilire
qui la prima e la seconda parte
Una certa nausea e un certo disgusto
Come fanno i pensatori critici quando scrivono di rapporto di “dominio” (accanto al meno equivocabile “sfruttamento”) a non leggervi qualcosa di perverso?… è scandaloso (o, meglio, noioso e prevedibile) che alla fine, per lo più, si goda di ciò che si critica (=si declina in tutte le salse, moltiplicandone le possibilità, le affinità, la capacità penetrativa… ops!). Per fare un esempio di dividue tra le più dominate: non intrattenevano forse le streghe (nel demanio) rapporti col demonio-dominio? Parte dell’energia impiegata nel dominare viene scaricata (con brevi soddisfazioni che si pagano care prevalentemente per chi è dominato) in sesso, orge preparate, organizzate, pianificate (come per esempio nelle dark pool o nelle rivoluzioni colorate o nei bombardamenti, nelle stragi mirate)… va a puttane. Ma solo per ricaricarsi, per pompare nuova tensione da scaricare. Le politiche della dilazione libidica, della sua negazione fino allo spasimo (dal sesso taoista all’austerity, etc…), degli strozzamenti (“breath control”) o strozzinaggi, servono a questo.
Verrebbe voglia di non godere (e criticare) più… e non so se per troppo appagamento o troppa lucidità. Altri comunque, più sprovveduti e ingenui o affamati, sognerebbero ad occhi aperti rapporti “kinky” o “fetish” e ripartirebbe la sex machine. Anche dopo milioni di morti, se dovesse prevalere temporaneamente la soluzione frigida (più che finale) tra chi comanda e domina.
Il problema è dunque la macchina… da S-LOGARE, riassemblare con giunti diversi secondo un progetto (munista, dividualista, decentralizzatore, anomico, anti-identitario, anti-umanista, anti-universalista, ecc… illegibile per i fan dell’Essere e dei suoi sistemi, a-linguistico) che predisponga a RISLOGARE… non dando il tempo né di godere, né di criticare… mutando il giogo in gioco, senza lamentarsi amleticamente dei tempi “out of joint” in cui viviamo. Usare ripetutamente l’ascia (per spezzare i giunti e le articolazioni che impediscono o costringono i movimenti nel giogo della macchina o dividere i blocchi, squarciare i contenitori, insistendo con precisione sul punto che si è cominciato ad attaccare fino a liberare nuove forme) come suggerisce in questa intervista una incredibilmente sorridente Diamanda Galas (nonostante parli di morti violente, genocidi dimenticati e antiche maledizioni, del “crescere contro” qualcuno). Minuto 8:20 a proposito di Henri Michaux:
Dice così:
“It’s a axe. Michaux believed that in order to actually effect the axe you had to hammer it. He really tried to make it real, not just in artistic statement, but really…”.
Più o meno:
“[Defixiones] è un’ascia. Michaux, credeva che per rendere efficace un’ascia occorre martellare. Cercò realmente di rendere questo reale, non solo in senso artistico, ma realmente”.
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Allego una lettura da J.F. Lyotard, capitolo “Il Negozio” da Economia libidinale che mi ha fatto pensare sulla questione del meccanicismo (vi ho letto in tralice anche una critica al suo amico Deleuze) e del senso con cui non si dovrebbe intendere la “macchina”, come struttura in gioco (si suppongono noti i termini “isonomia” rispetto all’anello centrale delle leggi, lo zero anale per Lyotard, dell’agorà che riunisce i guerrieri sapienti… così come la “circonversione”, etc):
In particolare, questa operazione politica determina l’istituzione del clivaggio fra valori d’uso e di scambio. I corpi in gioco nella politeia, e in Aristotele i beni e i bisogni in gioco nella koinonia, se possono essere scambiati in base alla legge dello zero finale, è perché hanno subito inizialmente la rigida «educazione» libidinale che permetterà di non lasciare in piazza, sull’agorà, sul mercato, che segmenti di banda in cui il godimento sarà istanziato convertibilmente. L’equivalenza mercantile è il doppione dell’omosessualità politica; i segni del più e del meno possono essere applicati a questi pezzi di corpo e ai flussi che li attraversano, poiché, essendo stati posti come omogenei, sono quantitativamente stimabili. Quel che Aristotele, primo degli economisti politici, chiama bisogno, chreia, è ciò che la carica pulsionale che spinge al godimento diventa in un segmento del corpo isonomico, circonverso. E il valore d’uso di un bene, che nelle condizioni del cerchio è il suo valore in godimento, sarà la capacità che questo bene ha, innestandosi sul segmento del corpo desiderante, non solo di condurlo alla scarica, ma di rendere il prodotto di questa nuovamente ripiegabile sul mercato, e annullabile nella compensazione finale delle perdite e dei guadagni. Di conseguenza, valore d’uso immediatamente subordinato al valore di scambio, godimento più nel senso degli economisti che in quello degli erotologi.
Questo non vuol dire che non esista, che sia illusorio o alienato. Nient’affatto, e noi ostentatamente voltiamo le spalle a questa vecchia critica. Ancora una volta, per sostenerla, bisognerebbe poter parlare di un corpo libidinale totale di una banda o di una collezione di organi investibile in ogni punto, atta a godere ovunque senza residuo, in rapporto alla quale ogni godimento istanziato qui o là non lo sarebbe che al prezzo di una vera e propria amputazione. La riconosciamo, questa vecchia fantasia, noi economisti libidinali, non si tratta tanto del godimento come fantasma (idea tutto sommato triste e nichilista), ma piuttosto dell’immaginario della totalizzazione, di un Eros senza pulsione di morte (o riconciliato con essa, Marcuse), di un’unità senza perdita. Idea non lontana, per strano che possa sembrare, dal meccanicismo: perché in questo, come in ogni teoria fisica del movimento, è assente l’ipotesi che un disordine insopprimibile, irreprimibile, possa, in momenti imprevedibili e secondo modalità non valutabili, sregolare le organizzazioni dei movimenti e smembrare i corpi meccanici. Al contrario, la pulsione di morte di cui parlava Freud, che sostiene il nostro economismo libidinale, implica un fantastico caso (non in se stessa, ma per la sua indiscernibilità), e Freud la chiamava di morte proprio perché questo caso comporta inevitabilmente la rottura dei dispositivi in atto, la loro necrotizzazione, così come il «buon funzionamento» di questi dispositivi – ad esempio quello dell‘isonomia dei cittadini e delle merci – soffoca con la sua musica armoniosa lo stridere e le grida dei segmenti del corpo-banda, privati della circolazione dei flussi libidinali, prosciugati, sterilizzati, raggricciati: gli evertiti fuori circonversione.
Non c’è nessuno
– C’è qualcuno?
– Non c’è nessuno (né qui, né lì).
Quando ero giovane distinguevo tra “bambagia” e “bivacco”, propendendo per quest’ultimo. Scrissi cose nauseanti, da adolescente che scrive esattamente quello che nessun genitore, o creatore, vorrebbe leggere… cazzotti nello stomaco… cazzotti a vuoto. Non c’era nessuno lì.
Volevo farmi notare? Ehi, sono qui… Neanche qui c’era nessuno (nessuno che pensava di essere qualcuno che volesse farsi notare da qualcuno che era nessuno).
Intuivo però che eravamo “vuote apparenze”… che, da questo punto di vista, e-siste solo il fuori-di-sé (o, ribaltando la prospettiva, che si è temporaneamente, dunque apparentemente, in una miserabile o vanamente lussureggiante, cosmocomica, contingenza, il fuori-di-sé che e-siste, l’impossibilità dell’essere che, andando a tempo, numerando e denominando, può solo dar luogo ad e-sistenze a caso… ma con parvenze logiche! persino belle fattezze!… una volta rapprese in qualche vortice, forma, piega o ricettacolo…).
Ma mia madre lo sapeva da quale caos sono stato tratto?… Ogni accoppiamento è un’evocazione di forme. Fantasmi di carne. Fino al “carnem levare”, dopo (o durante) la sfilata delle maschere, delle “persone”.
– E’ per amore. Solo per amore.
Silenzio… non fate chiasmo…
IL CARCERE DEL CHIASMO
Il carcerato, il cattivo, che sogna di essere, in cattività, in un altro carcere.
E’ la forma di violenza (e di assedio) più efficace, quella del carcere… modello di tutti i rapporti umani e sociali (alcuni esempi: dalla Famiglia alla Coppia, dalla Coppia alla Famiglia… dalla Nazione alla Transnazione, dalla Transnazione alla Nazione… gli sblocchi ci sono solo per bloccare ulteriormente…). Non uccide… uccide lentamente… toglie un po’ alla volta tutte le possibilità di fuga…
…un maledetto carcere frattale!
Schizzi di “verità” da tutte le parti…
“Ciò parla” (Lacan)… non si sta mai zitto questo linguaggio… questo lignaggio… questo linciaggio…
Le parole come pietre. Mettiamoci una pietra sopra. Come gli ebrei. Seppellivano i vivi e i morti allo stesso modo. Cos’altro è un significato se non un morto sotto un mucchio di pietre-significanti?
Altro che Girard e le catene vittimarie… E’ il linguaggio stesso la violenza, l’assedio, la “rieducazione”, il carcere… la sassaiola, la pietra tombale delle cose… la registrazione, l’iscrizione…
Un po’ di silenzio
Danza di immagini e suoni
Senza parole
Ricordare
e montare sequenze
Senza fermare
e trasformare
il flusso
in liquami,
nella tomba dei concetti
e dei significati.
A proposito di french & italian theory
Nei contenitori approssimativi di “french theory” e “italian theory” quello che non va è sia la determinazione nazionale (“french” o “italian”, comunque declinata all’angloamericana, vista cioè da quell’angolazione) che la “theory”, la processione, la passerella, la sfilata di pensieri… belle analisi (e neanche tanto) ma (che rendono) incapaci di una costruzione pratica (o, più semplicemente, di una prassi qualsiasi) che abbia un senso indipendente dal sistema vigente (che nutre e si serve sapientemente e ferocemente anche del pensiero opposto ai propri interessi… compreso quello della french o italian theory). Io ammiro invece la capacità degli “americani” di pensare e progettare strategicamente la complessità… (guarda un po’ che ti dico!…). Non mi piacciono chiaramente le premesse “cristiane” di quella strategia totalitaria da “glory, glory, hallelujah” (che ingloba la violenza del sacrificio, in ogni aspetto della vita e della visione del mondo), ma non si può non fare chapeau di fronte ad una simile tremenda efficacia… Loro ci insegnano che non è possibile trascurare nessun aspetto… che non ci si può limitare all’economia o all’ideologia… infatti hanno costruito per ogni disposizione umana un dispositivo… che, in ciascun caso, riconferma e generalizza la santità della proprietà, della violenza individuale ed universale… anche contro l’identità e i suoi software collaterali (Amore, Libertà, ecc… che i “soci” devono continuare ad avvertire come “naturali” e come le sole cose che contano…). Il “figlio di puttana” (“rovinare i propri amici è la regola numero uno”) non ha ideologia… crea (e detta) le condizioni perché vi sia quella che più gioca a suo favore… costruisce contenitori di contenitori (es.: navi, treni, ecc… con container… ma anche scuole, con classi, con libri, con studenti che diventano figli quando sono nel contenitore-famiglia, ecc… e finanziamenti, database, centrali energetiche, che inscrivono il tutto… questa totalità dall’esistenza probabile fatta statisticamente, equivalentemente e generalmente di bei rapporti sociali tra individui che si vendono, si alleano, si succedono e si replicano, al di qua di un filo spinato e con le armi del loro o dell’altrui fortino perennemente puntate contro… anche se si fa finta di niente, per non farsi troppo ribrezzo). Mai ci fu un padrone più servo o un servo più padrone. E, a cascata o per contagio, in quanto più o meno consapevolmente assediati o in ostaggio, lo siamo diventati un po’ tutti…
PS: Un erede di quella bizzarra scuola (mi riferisco alla french…), come l’equilibrista e clownesco (“universalista”, pseudo-hegeliano, leninista!…) Žižek provò a spingere l’idea degli “organi senza corpo (OsC)” in polemica con certe stagnazioni dello schizofrenico ed artaudiano “corpo senza organi (CsO)”, divenuto una delle figure predilette dal duo Deleuze-Guattari, che vi avevano montato su nientemeno che macchine desideranti!… A dispetto di certi amanti del corpo pieno, continuo a preferire quell’impensabile aborto concettuale freudiano che fu la pulsione di morte (con il Lyotard della “circonversione” e la Kristeva del “soggetto zerologico”) e le sue vitalissime pulsazioni ritmiche, le sue forme insensate quanto apollinee, “barocche”, il -getto, il futuro, ecc… la relazione che spezzetta, divide i sog-getti senza individuarli… di-vergente, di-vertente, munista, de-capitalizzata, de-centralizzata, ecc… (le cose, tra l’altro, sarebbero molto più semplici di quanto sembrino a parole… ma va bene così, per ora…).
L’a-linguistica
«Le langage est fait de lalangue; c’est une élucubration de savoir sur la langue»
Per porre un argine alla sovrapproduzione di segni, alla semiosi infinita, ecco, sulla falsa riga delle teorie di De Saussure, una nuova ipotesi di non-segno: l’in-significante fratto l‘in-significato (in questo caso, la funzione divisiva della barra si perde… salta l’in dell’in/dividuo al numeratore… liberando – o, viceversa, trattenendo, compattando – quelle possibilità, quelle tensioni, irriducibili alla funzione segnica… in una sorta di catatonia espressiva…).
(Da quale abisso o zero assoluto mai potrebbe emergere questo “senso”, questa gravità negativa, questa re-pulsione dell’essere, questa freccia, questo -getto?).
Solo l’in-significabile non-segno potrebbe cingere d’assedio e stanare le Strutture e le Funzioni (rispetto alle quali si definisce un segno)… ciò che appare insensato di per sé non basta… è infatti relegato alla religione, all’arte, alla magia, alla poesia… tutta robaccia sbavante, assolutamente organica… (ancora materna?… che fa lingua in bocca ad una lingua madre?).
comme encastré dans la terre mère,
désencastré de l’étreinte immonde de la mère
qui bave
Le relazioni in-significabili contro il rapporto significante/significato.
– Ma che cazzo significa?
– Qui non c’è un “cazzo“, infatti, che significa…
L’a-linguistica (l’a-lingua non è “lalingua” di Lacan) libera il senso del non-segno.
(Artaud parlava di un corpo senza organi).
L’inorganico (*) si muove… “parla”.
Municare invece di co-municare.
(*) …non il “referente”, in quanto non riferisce proprio niente alla polizia del segno… (niente banconote segnate, né alcuna firma) è una piega che non si s-piega… un labirinto che si invagina, si apre e si chiude, prima che qualcosa si muova, pensi o parli.
PS: Con l’a-linguistica si allunga la serie delle scienze e delle ideologie da me inventate o abbozzate (che molto probabilmente mai si studieranno in un’uni-versità… essendo più che altro di-versioni, di-vertimenti…): psicanalogica, munismo, dividualismo, de-capitalismo, ecc…
Modello Troia | è sempre e solo stata una guerra d’assedio
«Una città assediata, isolata dal proprio contado e da tutte le sue fonti di sostentamento, correva il rischio di esaurire in poco tempo tutte le proprie risorse alimentari. In queste condizioni, non era possibile provvedere a sfamare anche tutti coloro che non erano combattenti o che non svolgevano un ruolo attivo nella resistenza all’assedio. Non rimaneva altra scelta che espellere le cosiddette “bocche inutili” dalla città».
(dalla voce “Assedio” della Wikipedia)
«And if you don’t co-operate
we’ll cut off your supply lines.
But you’ll be free to re-connect
if you beg our forgiveness».
(da “Left on man” di Robert Wyatt)
Ieri si ragionava su come, semplificando, non sia cambiato molto dai tempi delle guerre d’assedio… si sono solo complicate fino all’inverosimile (fino a forme di guerra frattale…). Tutto si può sintetizzare nell’accaparramento di risorse da sottrarre al nemico (o piuttosto al competitor1…) direttamente o indirettamente (con la mediazione monetaria). In questa prospettiva, dopo l’era dell’oro, siamo nella transizione tra un’era del petrolio2 e un’era del gas. Ere comunque tutte compresenti, essendoci quotazioni per ogni commodity… Qualche variabile più decentralizzata di risorsa energetica viene proposta qua e là (energia eolica, solare… la finora mai riuscita fusione fredda), ma risulta ancora insufficiente (o neutralizzata nel suo potenziale decentralizzato dalla forma totalitaria della “rete”… con centrali di snodo) e tale risulterà ancora per molto fino a che i ricercatori saranno organici al modo di produzione imperante.
Le astrazioni più insulse (come le distinzioni degli evi in antico, medio, moderno, postmoderno, post-postmoderno, ecc… cui tanto ci si riferisce) nascondono la brutalità e la primitiva violenza dell’aggressione sempre incombente ad ogni falso passo o tentativo di fuga… Qualsiasi bolla finanziaria (ovvero la “produzione” di denaro dal denaro in un quantitativo molto maggiore di quello valorizzabile) opera allo stesso modo, come superficie culturale (“pellicola” lyotardiana), nel magico mondo semiocratico… sotto sotto c’è sempre un’aggressione ferina, la fame mostruosa e inspiegabile del predatore (non c’è Smithsonian Agreement senza gli accordi di Camp David…). Certamente smontare la domanda di petrolio e gas (in caso di declino considerevole) costituirebbe un colpo duro per la suddetta Bestia Macchinica… Subentrerebbero comunque le curiose forme delle energie “alternative”, che appunto sono un’alternanza dello stesso Dominio, non ne costituiscono affatto la detronizzazione.
(C’è dunque poco da essere “ambientalisti” o “pacifisti”… viviamo in mondo di merda… – altro che “migliore dei mondi possibili” – in cui l'”essenziale” è invisibile ai più… enormi e invisibili Predator, apparentemente alieni, si aggirano tra le forme metropolitane, tra le sequenze dei flussi economici… assediando gli in-dividuabili individui, in ogni aspetto della riproducibilità tecnica della loro esistenza, ricattandoli con le bollette, gli affitti, i mutui, il lavoro in cambio di denaro, ecc… rendendoli ostaggi o prigionieri di una guerra d’assedio senza fine, a bassa o alta intensità).
Probabilmente anche quel che scrivo è sotto assedio… non vedreste più nulla qualora dovessero tagliare la corrente e la provvidenza dell’internet provider… o revocare la concessione del diritto di parola…
La mia “coscienza” stessa, come voce prevalente, è sotto assedio di tutte le altre voci… Basterebbe in teoria dissolvere la necessità del proprio e della proprietà (dell’identità… in-dividuale e indivisibile, chiusa…) per non rischiare da un lato la paranoia e dall’altro la schizofrenia… Come ho scritto altrove, è il movimento periferico (dendritico o della nostra esplorazione sensoriale) che precede la coscienza… o, meglio, la tensione, l’in-tenzione, che ci garantisce una stabilità provvisoria, guizzante… -gettiva…
1 sempre più coincidente, oscuramente, con qualcosa di interno a noi stessi (da cui il richiamo al leggendario cavallo di Troia) o all’interno dei “nostri” computer, quando assume la forma ormai familiare dei virus trojan.
2 quella dei cosiddetti petroldollari, una volta svincolato, semiologicamente, il referente “oro” dal segno “$”… rendendo quest’ultimo un simulacro libero di fluttuare nel fantastico mondo, quasi del tutto feticizzato dal dominio reale, della simulazione della produzione, della scomparsa della “realtà”…
Siamo morti viventi
Polvere cosmica sfortunatamente auto-cosciente e con assurde velleità e smanie di riconoscimento.
Biffature, biforcazioni… stocastiche “biffures”, scriveva Michel Leiris, che però costruiscono un’estetica (a partire dalla propria forma)… materia presuntuosa, leggermente untuosa…
Ci sono tre eventi clou nella vita: la nascita, il sesso e la morte… ma l’ultima è l’orizzonte di non-senso che lascia dischiudere tutti i sensi possibili (inchiavardati alla nascita e al sesso e sempre ritornanti sul miele in cui si rimestano bisogni e desideri, conditi di miserabili astrazioni), che emergono, fulminei, come un singolo senso alla volta (o quasi) nella scena della coscienza, la grande semplificatrice…
Ci portiamo dietro tutti i morti passati, presenti e futuri, ogni volta che pretendiamo di vivere… siamo morti viventi… viventi solo per poco.
Per questo (oltre che per la resurrezione del valore) si sono costruiti cristi-zombie che ascendono in Cielo e altre storie inverosimili… per glorificare un universo sensato che non c’è.
Sognatori allucinati.
Polvere sei…
Cristo ri-morto di Holbein…
gloria estatica di un senso insensato,
di un’esistenza temporanea.
La semiosi, malattia infantile della semiocrazia
Se questa è una semiocrazia, la semiosi (che alcuni, come Peirce, indicavano come “infinita”) è una gran brutta malattia, il contagio che la fa proliferare…
Nell’emersione alla superficie dei simboli io mi auguro invece che vi sia un’embolia… Ho infatti scritto di embolon opposto al symbolon… Si dovrebbero stroncare sul nascere certi statuti (dell’io, del sog-getto, dell’identità, della coscienza, dell’essere, ecc). Ne conseguirebbe una moria di sub… (o del “sog-“ del sog-getto).
Peirce, citato da Julia Kristeva in “Semeiotikè”, così definisce un segno (implicando una struttura triadica, idealistica… o, diremmo anche, edipica, monetarista, ecc…): “Il segno, o representamen, è ciò che sostituisce per qualcuno qualcosa sotto un determinato aspetto o in una determinata posizione. Esso si rivolge a qualcuno, crea cioè nello spirito di questa persona un segno equivalente o forse un segno appena sviluppato”.
Così l’individuo sopprime il dividuo (o il sog-getto il -getto)… con il “representamen”… (nella semiosi propria dell’economia, con il denaro… che per Marx è l'”equivalente generale delle merci”… merci che sono oggetti, ma anche soggetti, attraversati e condizionati dal rapporto sociale che li imprigiona… in superficie).
Ri-gettare, pro-gettare, ri-articolare le giunture dei (bi)sogni, prima che emergano alla superficie della coscienza.
Complicare o semplificare? | L’ambivalenza della guerra in corso
Il nostro edificio è bellissimo, perfetto… Non riuscirete mai a farne uno simile… Occorrono decine, centinaia di anni per pensare un’architettura così complessa e condivisa… e comunque, con-dividui, nel caso aveste idee diverse, abbiamo i droni…
[…]
Provate a tornare a casa… non ce l’avete una casa!… e allora provate a vagare fino a trovarne una… nomadi pezzenti.(da “Adaequatio rei ad imaginem” di Valerio Mele)
Innanzitutto bisognerebbe capire a quale guerra in corso mi riferisco… Forse alla IV Guerra Mondiale di cui parlava Baudrillard?
“La prima [guerra mondiale] aveva posto fine alla supremazia europea e all’era del colonialismo; la seconda al nazismo; e la terza al comunismo. Ciascuna ci ha portato sempre più vicini all’ordine mondiale unitario di oggi, che si sta ora avvicinando alla sua fine, in ogni parte, ad ogni lato in lotta contro forze ostili. Questa è una guerra di complessità frattale, condotta su scala mondiale contro realtà singole ribelli che, come gli anticorpi, oppongono resistenza in ogni cellula”.
1 – Rassegna di blog sulla guerra in Mali e non solo…
(consiglio di prendere fiato prima di leggere: vi sono domande molto lunghe e piene di parentesi)
…o mi riferisco a questa nuova guerra in Mali (che pur ho cominciato a seguire in un commento che ho intitolato “L’ITALIA E’ IN GUERRA (di nuovo) MA LA CHIAMANO “SUPPORTO LOGISTICO” in cui narro le gesta e le opinioni di Prodi, Terzi, Leon Panetta, Bersani e alcuni giornalisti inqualificabili… azzardando alcune ipotesi circa la nuova strategia indiretta del dominio statunitense), le cui motivazioni reali [più che appassionandosi agli scontri tra i ribelli Touaregs del Mouvement National de Libération de l’Azawad MNLA, forze governative invocanti l’aiuto del protettore globale, fantomatici integralisti-terroristi-alquaidisti dai metodi talebani come Ansar Dine, il Mouvement pour l’Unicité et le Jihad en Afrique de l’Ouest (MUJAO), Al-Qaïda au Maghreb Islamique (AQMI) e Boko Haram – venuti fuori non si sa da dove e finanziati non si sa da chi, di cui si sa solo quello che passa la propaganda guerrafondaia occidentale – e chissà quante altre ulteriori etnie e gruppi maliani…] si spiegano comunque in buona parte dando un’occhiata alla mappa di uno stato posticcio (messo su da un golpe militare per rimpiazzarne uno corrotto, marionetta ultraliberista dell’IFI) sezionato dai diritti di esplorazione (concordata evidentemente da team multinazionali, da squadre munite di squadrette) delle compagnie petrolifere?…
…o [le motivazioni reali di questa guerra in Mali] si spiegano meditando sulle altre risorse naturali di cui il paese è ricco (“fosfati, ferro, molto oro estratto dalle sabbie del Sahel, diamanti, petrolio, uranio, bauxite, manganese, ecc.”)… o su questo movente da società gassosa che suggerisce Olympe de Gouges?
Il ministro delle miniere del Mali, Amadou Baba Sy, ha firmato, il 18 dicembre 2012, un decreto attestante l’acquisizione da parte dello Stato del blocco 4 del bacino di Taoudeni, precedentemente concesso a ENI e Sonatrach (Sipex), multinazionale algerina (2° esportatore di GNL e GPL e 3° esportatore di gas naturale del mondo) dallo spodestato presidente Amadou Toumani Touré.
Di quale guerra in corso stiamo dunque parlando?… Un post notevole di Miguel Martinez inquadra il fenomeno Mali per come lo possiamo leggere in questo momento, con tre racconti, un’ipotesi e due vie, fornendo una lettura per certi versi in trasparenza dei mutamenti del mondo e delle società (anche “occidentali”) nell’epoca del superamento della forma stato-nazione… nell’epoca della “globalizzazione” intesa come smaterializzazione dei confini dello sfruttamento:
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Racconto primo, che è l’unico che sentirete nei media o dai politici. Ci sono i soliti Pazzi Terroristi Islamici, che questa volta agiscono nel Mali, che sta da qualche parte tra l’Afghanistan e l’Iran, forse. Sgozzano, vietano i film, picchiano le donne. Due minuti d’odio. Ma ecco che si alzano in volo i nostri luccicanti bombardieri dotati di insetticida, evviva!
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Racconto secondo, leggibile in represensibili angoli di Internet. Ci sono, è vero, i Pazzi Terroristi Islamici, solo che sono al servizio dell’Emiro del Qatar, che è amico dell’Occidente, e quindi è tutta una truffa.
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Racconto terzo, reperibile anch’esso solo in luoghi reconditi. Ci sono i saccheggiatori francesi, o americani, che stanno facendo un’ennesima guerra per riportare a casa un carico di… segue un lungo elenco di risorse naturali, tratto da Wikipedia.
Voglio però costruire lo stesso un’ipotesi, magari piena di bachi. I paesi che si definiscono “civili” hanno avuto negli ultimi due secoli come caratteristica fondamentale lo Stato Nazione. Si tratta di un immenso dispositivo impersonale che tiene insieme la società.
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Il Mali, disegnato sulla carta da qualche amministratore francese poco amante dell’arte, è uno dei paesi più poveri del pianeta.
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Le ricche risorse minerarie non solo non danno lavoro, ma provocano la cacciata dei contadini dai loro villaggi.
E il paese è popolato da almeno tre grandi etnie che non si amano affatto. Quindi, uno Stato Nazione semplicemente non ci può essere nel Mali.
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Il Mali si trova su due vie fondamentali. La prima è quella dell’emigrazione dei nigeriani verso nord. La seconda, a sorpresa, è la nuova grande via della cocaina sudamericana verso l’Europa, per valori che superano quello di tutto il prodotto interno lordo di molti paesi della regione. Quindi, ciò che succede nel Mali si ricollega sempre alla Grande Idrovora, al nucleo del dominio che risucchia il mondo, e alle incessanti lotte per attaccarsi alle sue tubature. Quando non c’è uno stato nazione, o c’è solo per finta, la società si organizza in altri modi. Questa è ormai la regola in vaste aree del mondo, forse la maggioranza.
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Tutto questo diventa interessante, se ci rendiamo conto che si tratta di un processo mondiale. Lo Stato Nazione inizia a crollare in realtà a partire dal centro del dominio: lo constatiamo tutti anche qui, dalle infinite piccole crepe.
[…]
Una vicenda come quella del Mali diventa così di enorme interesse, ma non per il gusto di fare il tifo di squadra. Per capire il futuro del mondo.
Alessandra Corrado di Uninomade, dopo aver descritto in modo chiaro e lineare la situazione attuale in Mali e le ragioni che avrebbero portato popolazioni nomadi ad alzare il tiro delle rivendicazioni territoriali fino a chiedere l’indipendenza dei territori a nord del Paese, giunge a queste conclusioni che sottolineano un iniziale e forzato processo di “semplificazione” del fronte da un lato e dall’altro (pur finendo per schierarsi in favore di fumose ed improbabili rivendicazioni sociali che dovrebbero salvare il paese dalle parti in conflitto… prospettiva irrealistica che fa quasi desiderare la fine dello stato del Mali e il trionfo dei gruppi armati anti-occidentali…):
La guerra senza fine mossa dall’Occidente contro il terrorismo sta avendo l’effetto paradossale di rafforzare e unire le organizzazioni fondamentaliste, producendo come si legge su Le Monde diplomatique una «autostrada dell’internazionale sovversiva», che va dal Pakistan al Sahel, passando per l’Irak e la Somalia e attraverso la quale circolano combattenti, idee, tecniche di lotta, armi, in una guerra contro le “nuove crociate”. Si rileva infatti che dal 2001 queste nuove guerre hanno avuto luogo in paesi musulmani – Afghanistan, Irak, Somalia, Libano, Mali, e non dimenticando Gaza. Ma individuando solo nella motivazione cultural-religiosa l’elemento di scontro e lotta si occultano quelli che sono i veri interessi in gioco fra le parti – quelli di una economia mineraria ed espropriatrice – e le strategie di mobilitazione sociale attivate, anti-occidentali da un parte e securitarie e islamofobiche dall’altra.
Scrive invece Sebastiano Isaia circa la guerra in corso, a suo avviso sociale e sistemica, su cui stiamo indagando (che costituisce la precondizione dell’intervento militare in Mali, come di altri passati e futuri interventi “umanitari” e che parla più di ciò che accade e accadrà qui in Europa):
Qui fa capolino la vecchia illusione europeista, ridicolizzata a suo tempo da De Gaulle, teorico dell’«Europa delle patrie», di chi immagina possibile la creazione di uno spazio politico-istituzionale di tipo federale (gli Stati Uniti d’Europa) attraverso una pacifica e totale cessione di sovranità da parte di tutti i Paesi europei. E quando dico pacifica non intendo alludere solo alla guerra di tipo tradizionale, quella che ha sconvolto e insanguinato periodicamente l’Europa, ma anche alla guerra di tipo economico-sociale, che infatti è in pieno corso nel Vecchio Continente. Anche qui, la guerra degli eserciti in armi non è che la continuazione della guerra sociale incardinata sul solito mantra capitalistico: profitti, profitti, profitti! La guerra sistemica (economica, scientifica, tecnologica, politica, culturale, psicologica) è la guerra peculiare dei nostri disumani tempi. I raid aerei “umanitari” ne sono solo l’ultima manifestazione. Ma può capirlo questo chi ha in testa gli Stati Uniti – e capitalistici! – d’Europa come il massimo di “utopia” possibile nel XXI secolo?
Un noto Institut infine, cui si abbevera la sapienza filo-atlantica della pregiatissima dirigenza politica italiana (e cui è doveroso far riferimento per capire le intenzioni da questo lato del campo, tese a quanto pare a non compattare e semplificare gli schieramenti come sostiene Alessandra Corrado), lascia intuire tra le righe (scritte in inglese) a che serve “il processo di frammentazione in corso dei gruppi jihadisti” (ops! ma non si stavano ricompattando?) e la proliferazione di “nuovi gruppi di insurgent con figure regionali sul modello di Bin Laden”… e cioè (questo è quel che penso) ad una rinascita della (bushiana) “guerra al terrorismo” sotto una nuova forma (obamiana) di guerra strutturale, di guerra preventiva, di “guerra giusta” con un fronte interno ed esterno, non più localizzabile ai confini dell’Impero, ma ovunque e ad ogni livello, con nemici più o meno arbitrari, che gestisca il caos non risolvendo più il conflitto in senso classico, clasusewitziano (data la crisi irreversibile degli stati-nazione), ma preferendo operare anche come i terroristi (il che potrebbe far capire come mai al Quatar, per esempio, secondo alcuni, sia stato lasciato il compito di appoggiare sia il “terrorismo” che gli interessi NATO), sollecitando e sostenendo un conflitto asimmetrico o “a bassa intensità” (includendo cioè il “rischio” di schegge impazzite come Mohamed Merah per convincere l’opinione pubblica interna della necessità e legittimità della guerra) e generando un fronte frattale, complesso fino all’impossibilità cioè di un esito che possa dirsi positivo o negativo… una strategia di governance del caos, da stato d’eccezione permanente che solleciti continuamente l’appoggio di un’opinione pubblica tenuta in costante stato d’allerta, che includa mezzi (come riassume Mazzetta) di libero bombardamento con droni o killeraggio mirato di qualunque cittadino, anche straniero… che cerchi “nuovi modi di cooperare con i governi locali anche in situazioni in cui non ci si fida pienamente di loro, replicando in qualche modo la corrente relazione USA-Pakistan in un contesto differente”, come si legge nell’articolo originale:
The decision by Mokhtar Bel Mokhtar to target the BP plant and attack Algeria’s strategic interests seems to be a reaction to France’s intervention in Mali, but in fact it stems from an ongoing fragmentation process among jihadi groups that are probably going to take the initiative with new attacks and kidnappings. The ensuing dynamic among terrorists in the Sahel and the governments fighting them will mark the beginning of a new phase in the “war on terror”, with the proliferation of insurgent groups and regional Bin Laden-like figures. Western countries, in turn, will need to learn new ways to cooperate with local governments also in situations where they would not fully trust them, somehow replicating the current US-Pakistan relation in a different context.
Ci si potrebbe chiedere quale possa essere lo scopo di una guerra sistemica, generalizzata, preventiva, “giusta”, frattale, permanente, ecc… è ancora guerra?… o è semplicemente l’impossibile governance globale che si rivela per quello che è?… e cioè una gestione violenta dello stato d’eccezione permanente determinato dalla difesa ad oltranza degli interessi del capitale “globale” nell’epoca della crisi del dominio imperialista americano, coperti in modo sempre più approssimativo dai fantasmi (che ancora incredibilmente dominano le allucinazioni collettive della pubblica opinione occidentale) della Democrazia e dei Diritti Umani?…
E’ lo scenario messo in campo, per esempio, dalla Guerra al Terrorismo, in cui, dietro un’apparente gestione razionale degli eventi, si cela un mostro di innesti e proliferazioni nel tessuto stesso della società, che si pretende Razionale e che si suppone esista (pur essendo una sorta di finzione scenica, la rappresentazione di un ordine semi-naturale, un sostrato mitico su cui adagiare il corpo-in-frammenti del sistema). Dunque questo Dualismo terrorista, questa Eccezione del Diritto, quando rivela la sua verità oscena, nascosta dal Sistema che la copre e la supporta occultamente, sembra presentarsi come fosse la Realtà… Ma è un mostro creato in laboratorio…
Vengo a sapere oggi che la guerra in Mali sembra sia “finita” (o forse è solo un’impressione di qualche commentatore), che le truppe franco-maliane abbiano sfilato per le strade festanti di Timbuctù, che ci saranno nuove elezioni per mettere un fantoccio più conciliabile con gli interessi delle multinazionali dell’estrazione mineraria, che Leon Panetta ha ammesso il coinvolgimento statunitense nell’operazione e che gli stessi USA intendono costruire una base aeronautica per i droni (come del resto accadrà anche in un’altra colonia, l’Italia, col progetto MUOS), dicono, per sorvegliare i fantasmi alqaidisti (da loro stessi invocati…) che dovrebbero arrivare dal deserto…
2 – Teoria e prassi dei conflitti contemporanei
dalla rottura della linearità del conflitto tra stati-nazione alla dimensione frattale, labirintica, aleatoria, deterritorializzata, spettacolare, proliferante, contagiosa dei conflitti (sociali, economici, politici).
Dalla rassegna riportata nella prima parte emerge una differenza di opinione sui conflitti… in particolare tra la posizione di Alessandra Corrado e il post del noto Institut… Quest’ultimo, pur rispolverando la roboante “war on terror” scrive di una visione complessa del conflitto (che include terminologie come proliferazione, processo di frammentazione…) che si suppone di poter controllare (ma vedremo in quale modo schizo-paranoide, caotico, segreto e ben oltre gli ormai sostanzialmente superati limiti moderni del conflitto convenzionale…), mentre la prima sostiene che una reazione militare di un certo peso compatti una resistenza, delineando un andamento schmittiano del conflitto, fatto cioè di semplificazioni di un fronte più complesso. Dunque cosa accade: si semplifica o si complica all’infinito in modo proliferante e frattale questo fronte?
Sebastiano Isaia ci ricorda il pensiero di Schmitt e le semplificazioni del potere (nazional-socialista o liberale-capitalista poco importa… parliamo di tecnologie di controllo e di strategie di dominio – comuni a dittature e democrazie – volte a difendere proprietà, beni, capitali, rendite, profitti, rapporti sociali dati, ecc…, che oggi sembrano essersi nebulizzate tra le teorie cognitiviste e il marketing, rese fruibili anche dagli infanti, più che essere espresse con la propaganda paranoide che costruisce il “nemico”):
Nel 1932 Carl Schmitt, teorico della dialettica amico-nemico (Legalità e legittimità), scrisse che la contesa politica nella moderna società della tecnica si svolgeva ormai quasi completamente attorno alla figura del nemico di turno descritto ossessivamente come brutto e cattivo, come una «entità esistenziale» irriducibilmente «altra»: è questa caricatura «umana» che infatti si dà in pasto al popolo assetato di «senso» («che senso ha tutto ciò?, di chi è la colpa?») per riceverne l’appoggio e la legittimazione politica, ed esso mostra di gradire una tale «semplificazione». Chi non ha «denti critici», preferisce ingoiare le pappe «predigerite» – più spesso già defecate.. – amorevolmente cucinate dagli altri.
Ma senza incartarci nella costruzione del nemico o dell’amico o della vittima o nelle empasse della logica ricorsiva della ricerca di una impossibile (e dunque finta, arbitraria) giustizia ultima e neutrale così ben raccontate e illustrate da RAV
(“Questa è una guerra in cui nessuno ha diritto di vincere” […] “Soprattutto, l’inganno della prima vittima si basa sull’inganno del soggetto politico. Per costruire un’unità politica – un popolo, ad esempio – a partire da un aggregato di singoli è spesso necessario «semplificare» la complessità dell’aggregato in questione” […] “Se la prima vittima non esiste, o meglio esiste soltanto come mito, appare del tutto vana la pretesa di rivendicare un ordine politico neutrale o una soluzione neutrale del conflitto”)
riprenderei dal rovesciamento del noto motto di Clausewitz (“La guerra è la continuazione della politica con altri mezzi”) da parte di Foucault e di Deleuze-Guattari, per i quali il motto diventa: “Il potere è la guerra, la guerra continuata con altri mezzi” (Difendere la società di Foucault) oppure in Capitalismo e schizofrenia di Deleuze-Guattari: “E’ la politica che diventa continuazione della guerra, è la pace che libera il processo materiale illimitato della guerra totale. La guerra smette di essere la materializzazione della macchina da guerra, è la macchina da guerra stessa che diviene guerra materializzata”. Oltre ad evidenziare il carattere generalizzato e microfisico del conflitto contemporaneo, dunque rintracciabile in tutti i rapporti di potere o sul piano molare della rappresentazione, Deleuze-Guattari scrivono in particolare dell’indisciplina della macchina da guerra, che in qualche modo rischia sempre la fuga dal controllo della macchina statale:
Non si può certo dire che la disciplina sia la caratteristica della macchina da guerra: la disciplina diviene il carattere indispensabile degli eserciti quando lo stato se ne appropria; ma la macchina da guerra risponde ad altre regole […] che animano un’indisciplina fondamentale del guerriero, una continua messa in discussione delle gerarchie, un ricatto perpetuo all’abbandono e al tradimento, un senso dell’onore spiccatamente suscettibile che contrasta con la formazione di stato. (cap. Capitalismo e schizofrenia, in Millepiani)
per poi giungere al paradigma contemporaneo del “nemico qualunque” (fissato dal controllo totalitario o, se si preferisce, dal dominio reale del capitalismo):
Abbiamo visto la macchina da guerra mondiale prendere proporzioni sempre più grandi [..]; l’abbiamo vista attribuirsi come obiettivo una pace ancora più terribile della morte fascista; l’abbiamo vista mantenere o suscitare le più terribili guerre locali […] l’abbiamo vista fissare un nuovo tipo di nemico che non era più un altro stato, e nemmeno un altro regime, ma il ‘nemico qualunque’ […] multiforme, manovriero e onnipresente[…], d’ordine economico, sovversivo politico, morale”. (ibidem)
Nemico qualunque di cui anche io scrivevo quasi un anno fa a proposito di questa guerra frattale, totale praticata per lo più in modo non convenzionale, da terroristi, mercenari, traditori, doppiogiochisti infiltrati, agenti dei servizi segreti, trafficanti, sovversivi, folli armati, ecc:
I sospettati siamo tutti noi… “colpevoli” semplicemente in quanto coupable, “colpibili”… da un potere che per funzionare non deve reprimere secondo un criterio logico, razionale, ideologico, punitivo, castratore (che ritagli i suoi particolari capri espiatori per assoggettare o soggettivare delle masse produttive, rincoglionendole a suo comodo), ma statisticamente, in modalità random, senza che si produca alcun soggetto (se è vero che vi è una «crisi della produttività di soggettività»)… La nube (di connessioni possibili e tecnologie di controllo) che chiamiamo, semplificando, “potere” è così che agisce quando performa al meglio… quando è al passo coi tempi. Il minimo dispendio col massimo profitto. Non c’è nemmeno bisogno di mobilitare reti terroristiche, investire in infiltrazioni, attentati, corpi speciali, mettere su complotti, logge segrete, ecc… Il sistema è abbastanza schizofrenico da mettere direttamente d’accordo il dispositivo di controllo e la sua eccezione terroristica, senza che sia necessario un complotto o una stretta di mano… La produzione di discorsività individuali sovversive è un effetto collaterale (e fortemente invocato e incentivato) dai meccanismi di controllo totalitario già in atto. […] Il fantoccio del terrorismo potenziale sembra funzionare in qualche modo… in pensieri, parole, opere e omissioni… Ormai sembra che la dinamica di ogni conflitto sia disinnescata a monte… (a me sembra che si impedisca con ogni mezzo il sorgere di nuovi modi di produzione, spostando continuamente il conflitto su un piano simbolico, metaforico… in una sandbox di conflittualità su base etnica, religiosa, nazionalista, ecc… è solo di questo che si ha paura… che si tocchino i modi di produzione, la proprietà privata/pubblica, i metodi di estrazione di plusvalore, difesi dagli apparati e dalle macchine umane che ne fanno la guardia… Si ha paura che riprenda in concreto questo discorso… per questo la si butta sulla follia, sulla schizofrenia… che ormai è sistemica… è il cuore del sistema, che reagisce col suo criterio paranoide di auto-legittimazione… Si fa di tutto purché scompaia la realtà e non sia possibile un’azione con una qualche efficacia, che produca una trasformazione dell’esistenza cibernetica o miserabile che ci si prospetta…).
E’ chiaro che in questa prospettiva, dal punto di vista dello spettatore-killer “occidentale”, siamo di fronte anche ad una simulazione di guerra, quasi un videogame… cosa che fece affermare a Baudrillard che la guerra in Iraq non ci fosse stata, scomparsa come era dietro la fantasmagoria iperreale della sua sovraesposizione mediatica… Baudrillard si dimostrò più volte abile nel destreggiarsi tra i paradossi e le allucinazioni del mondo contemporaneo… Memorabili anche la sua descrizione dell’America come traversata nel deserto a folle velocità, come scomparsa del reale in una dimensione deterritorializzante in cui sprofondano e si s-terminano tutti punti fermi della modernità…
“La velocità è creatrice di oggetti puri, è essa stessa un oggetto puro, perché cancella il suolo e i riferimenti territoriali, perché risale il corso del tempo per annullarlo, perché va più in fretta della propria causa e ne risale il corso per annientarla. La velocità è il trionfo dell’effetto sulla causa, il trionfo dell’istantaneo sul tempo come profondità, il trionfo della superficie e dell’oggettualità pura sulla profondità del desiderio. La velocità crea uno spazio iniziatico che può implicare la morte e la cui sola regola è quella di cancellare le tracce. Trionfo dell’oblio sulla memoria, ebbrezza incolta, ebbrezza da amnesia. Superficialità e reversibilità di un oggetto puro nella geometria pura del deserto. Correre in macchina crea una sorta di invisibilità, di trasparenza, di trasversalità delle cose attraverso il vuoto. E’ una sorta di suicidio a rallentatore, attraverso l’estenuazione delle forme, una forma deliziosa del loro sparire. […] Nostalgia dell’immobilità delle forme dietro l’esacerbazione della mobilità. Analoga alla nostalgia delle forme vive nella geometria”
(Da “L’America” di Jean Baudrillard)
E nel deserto ci si ritrova anche in Mali… in una guerra lampo, annunciata ed evocata da tempo (senza vittoria possibile perché i “nemici” sembrano fantasmi del deserto, come ne Il deserto dei Tartari… revenant… scomparsi chissà dove, così come erano giunti)… mancava giusto la passerella dei soldati francesi a Timbuctù, supportata dagli alleati, figuranti di interessi osceni, volti ad accrescere l’obesità ubuesca di un sistema capitalista ipertrofico… che si muove non per un senso qualsiasi, ma per l’inerzia dei suoi contratti e obbligazioni, dei suoi business siderali, desertici, votati ad una distruzione sempre sospesa, quanto insensata (…relativamente… c’è sempre bisogno di riprodurre il rapporto sociale alla base del capitalismo quando questo va in crisi o genera crisi… e ricomincia sempre dai margini del vivibile e dell’abitabile… facendo il deserto… tendendo fino allo spasimo le potenzialità dello sfruttamento intensivo ed estensivo, agendo la morte, o la caduta tendenziale, che scaccia da sé).
Interno alle figure de “Le strategie fatali” (come quella dell’ostaggio) sembra essere anche l’assalto al compound in Algeria… in cui la posizione indefinibile degli ostaggi (multinazionali) nega qualsiasi funzionalità e senso alla rappresaglia (clausewtziana non direi proprio a questo punto…) che si era tentato di mettere in atto… Ognuno si è rivelato ostaggio di qualcosa, compresi i guerriglieri, ostaggi degli ostaggi… che il governo algerino, ostaggio dell’intervento francese, si è trovato a gestire a modo suo, per evitare di essere coinvolto maggiormente nel conflitto… I maliani del nord ostaggi di alcuni di gruppi armati che i paesi del blocco NATO sono corsi a “liberare”, il Mali “ufficiale” a sud ostaggio delle politiche coloniali “occidentali” (si veda il paragrafo “Notre triste statut d’otages“ in questo articolo critico dell’intervento militare “per procura” scritto da Aminata Traoré, una femminista maliana, come ricorda il blog Marginalia), noi stessi ostaggi dei sistemi di approvvigionamento energetico che la nazione cui apparterremmo ci ha approntato con altri stati-nazione fantoccio potenzialmente ostili… Siamo in una logica costantemente reversibile e ambivalente… in cui sembra decisamente naufragare il progetto di Edgar Morin di voler affrontare, pensare e gestire la complessità del reale a colpi di pedagogia ed epistemologia… ma ancora in nome di un umano ormai improponibile o divenuto regno del kitsch, sentimentalismo da soap opera… spalmato come marmellata su una distesa di macchine da guerra.
Non ci si può voltare dall’altra parte. Il campo di battaglia pieno di morti che è il fine di ogni guerra secondo Elias Canetti (in Massa e potere) è un campo di segni. I nostri discorsi, i nostri concetti, giacciono su un campo di battaglia, ordinati e contenuti da confini mobili che ne determinano la praticabilità, li suddividono in categorie, evocano significati o fantasmi di senso… la guerra ci insegue ovunque, fin dentro i pensieri (finzioni tattiche intagliate da una finalità strategica che ci sfugge e che cerchiamo se non altro come direzione, se non vi è più da tempo un centro che tiene… campo di battaglia del -getto nel sog-getto, del /dividuo nell’in/dividuo, futuro che brucia il margine del presente/passato, caos entropico che si condensa in materia ordinata e visibile), determina contro ogni possibile autonomia o anomia il nostro essere residenti, cittadini, viventi in quanto ostaggi di uno stato (o lavorate alle nostre condizioni… o crepate!)… la morte ci incalza nelle retrovie sempre, schierata sul campo come fosse qualcosa che ci è estraneo… Non c’è migliore definizione della guerra (e della vita) che questa di Canetti, questa assurda lotta tra vivi e morti:
Peculiarità di questo particolare tipo di lotta fra morti e vivi è il suo carattere intermittente. Non si sa mai quando accadrà nuovamente qualcosa. Forse non accadrà nulla per molto tempo. Ma non vi si può contare. Ogni nuovo colpo giunge improvvisamente dalle tenebre. Non c’è alcuna dichiarazione di guerra. Dopo una sola morte, tutto potrebbe essere finito. Ma potrebbe anche continuare a lungo, come nei contagi e nelle epidemie. Si è sempre in ritirata, e non è mai davvero la fine.
Noi “occidentali” ragioniamo come un esercito. “Sussumiamo” le nostre sensazioni e i dati esperienziali in un presunto ordine (che visivamente è sempre una “griglia“… di concetti, di soldati, di operai, di fabbriche, fabbricati, campi, isolati… che tende sempre a quadrare). In logica, per sussunzione, un gruppo diviene parte di una insieme ad esso gerarchicamente superiore. Nel caso di un individuo è necessario diventi “studente” tra i banchi, “militare” eventualmente o “impiegato”, ecc… e, in tutti i casi, un “cittadino” sottoposto al quadrillage delle leggi e del pattugliamento poliziesco e all’esposizione delle videocamere di sorveglianza… La sua natura di libero animale bipede, che vaga liberamente, senza precise traiettorie e senza confini viene sussunta in una cultura che ritaglia e (ri)definisce gli spazi e i tempi del suo agire (e del suo pensare) in continuazione. Lo scrivevo qui…
Dunque la guerra è morte che si vuole allontanare da sé come se fosse il nemico, assecondando un delirio paranoide (più anima, più proprietà, più profitti) di immortalità, di accumulazione perenne. Lotta per un’universalità impossibile.
E ancora (lascio delle ultime riflessioni come appunti)… guerra di segni: andirivieni ambivalente di depistaggio-complottismo/sabotaggio-sovversione, paranoia/schizofrenia… E ancora: spazio dell’indisciplina… violenza eccedente che può sempre rivoltarsi contro… violenza che risponde all’eccedenza di plusvalenze virtuali, di aspettative di utili già divenute titoli, la nuova terra di un capitalismo finanziario dai tratti “feudali”.
* * * * * * *
C’è poi chi, come Obama, dopo Hiroshima, ha ancora il coraggio di “scatenare “una campagna infinita per IMPORRE i nostri valori”… e ancora lui, sempre alla cerimonia di consegna del Premio Nobel per la Pace lancia intendere, tra le righe, l’annuncio degli eventi bellicosi che verranno: “Le guerre fra nazioni sono sostituite sempre più dalle guerre all’interno delle nazioni. La resurrezione di conflitti etnici o settari, la crescita di movimenti secessionistici, guerriglie e Stati allo sbando intrappolano sempre di più i civili in un caos senza fine“.
Le caratteristiche della guerra contemporanea per Alessandro Dal Lago, nel suo libro “Le nostre guerre”, sono la guerra globale, privatizzata, preventiva, asimmetrica:
Si è trattato di guerre di aggressione «asimmetriche», nelle quali l’uso di armi di distruzione di massa sempre più sofisticate e potenti ha reso soverchiante il potere distruttivo degli aggressori e sottratto agli aggrediti ogni speranza di salvezza. E molto spesso gli aggressori si sono fatti forti del proprio strapotere economico arruolando truppe mercenarie di contractors, alle dipendenze di grandi corporations globali, talora in numero superiore a quello dei combattenti di ruolo. E si è trattato di guerre «privatizzate» nelle quali non esiste più un «nemico legittimo», definito come tale dalle norme del diritto internazionale, come un tempo accadeva.
La logica delle guerre di aggressione contemporanee è la stessa di qualsiasi «guerra civile», nella quale si lotta fino all’estremo e non si fanno prigionieri. Per di più, si tratta di guerre che non hanno la finalità di una conquista territoriale: si combatte su scala globale coinvolgendo potenzialmente il mondo intero. La finalità è un obiettivo strategico di dimensioni planetarie che coincide con la volontà egemonica degli Stati Uniti e che si esprime attraverso la costante minaccia dell’uso della forza.
3 – SCENA FINALE
– Uscite fuori!
– Non ci fidiamo… ci volete ammazzare!
– Uscite fuori: lì siete reclusi! E se continuate a star lì morirete… il cibo scarseggia… qui sareste liberi!
(Si sentono spari dalla caserma)
– Ecco! Abbiamo ucciso chi voleva uscire… Smettetela di tormentarci, spiriti delle tenebre!…
– Pazzi!… Ma che fate?… Uscite fuori!…
– Voi non esistete… siete voci nella nostra testa!… E comunque abbiamo un regolamento da rispettare… Andatevene via!… via!
– Uscite fuori, se volete vivere!…
(Caricano i fucili… altri spari. Silenzio).
* * * * * *
Infine la canzone, dalle direzioni paradossali, che mi ha suggerito questo lungo post… che alla fine mi lascia con la sensazione che non si possa non sfidare la complessità con un’altra complessità… divergente… ogni tanto forse, al momento più propizio, occorrerebbe semplificare… (intensificare il conflitto)… ed è vero… forse la guerra è infinita… ma è anche vero che “noi” che non siamo il fantasma di una totalità maggiore della somma delle sue parti, abbiamo già vinto.
Left on man (di Robert Wyatt)
(che si potrebbe tradurre con A sinistra, amico… ma resta il sotto-significato di Lasciato per l’uomo… traduzione mia)
(Coro: Semplifica! Riduci! Semplifica di più!)
Quando si dice “Libertà”, qui a nord, si intende la nostra libertà di usarti
E se non collabori, ti tagliamo le linee di approvvigionamento
Ma sarai libero di riconnetterti, se ci chiedi perdono
Tu dici che semplifico un po’ troppo, beh… faceva così anche Albert Einstein
Non ci sono vie di mezzo: Pentagono über alles!
Non c’è mai stata una via di mezzo, è questo il punto
Non c’è mai stato un posto che potesse essere una via di mezzo
Sinistra o destra dell’equatore
Risveglio
E c’era sulla finestra (mentre ancora ciò che potrebbe definirsi l’osservatore cosciente, un abbozzo di “io” che si sforzasse di distinguere, non era presente) un’altra finestra e un’altra ancora… una decina di finestre diverse, con o senza balcone, alla destra del letto, che si sovrapponevano… Dieci lunghi secondi (almeno tali potevano sembrare) nei quali prevalevano le rassomiglianze e ancora non c’era una definizione temporale dello spazio… Poi, mano a mano, il catalogo invisibile (l’invisibile alito di morte che crea le distanze disponendo il vivente ad una perfetta passività verso ciò che viene, il -getto invadente del futuro) differenziava, scartava, cancellava le finestre fuori contesto, rapidissimamente, ma non abbastanza perché non le si distinguesse ancora, in sovrimpressione… Poi “io” mi sarei svegliato, con accanto un corpo di donna contestualizzante, che aveva condotto alla scelta della finestra giusta… quella di quel momento, di quella stanza, della mia stanza da letto… con lei accanto. Ripetuta centinaia di volte, ma lei. Riflessi in controluce sul profilo della sua spalla. Sono sveglio.
Fermo immagine | Discontinuità
Fermo immagine.
Su di una panchina vicino al Colosseo, viale della Domus Aurea… Lei sdraiata con la testra poggiata sulle cosce di lui, che è seduto…
LEI – Ma cosa rimarrà di questo istante?…
IO – Quale istante?
LEI – Questo… Non lo possiamo fermare… A questo istante succede un altro istante e poi un altro…
IO – Beh… diciamo che è un’impressione… quella che il tempo scorra… noi ci siamo immersi… ma non è detto che un istante non sia “sospeso” tra presente-passato e futuro, tra ordine e caos entropico… e ogni istante non sia scomponibile… all’infinito… Si, ma in effetti il tempo scorre… e non possiamo farci niente…
LEI – Sì… e poi moriamo… E che senso ha tutto questo?
IO – Tutto questo cosa?
LEI – Tutto questo: il sole che ci scalda, la panchina, l’amore…
IO – Nessuno… C’è… Dà l’impressione che ci sia un senso, solo per il fatto che (probabilmente) ci siamo… siamo catturati in questa vibrazione più o meno armonica… Ci siamo ritrovati da questa parte… Ma il senso esiste solo in quanto vi è un non-senso… Te lo domandi quando sei viva… te lo domandi da sveglia… ma se dormi non ci sono più queste domande… Dunque quando ti poni queste domande, dormi…
Si appoggia con una guancia sulla mia coscia destra. Le scosto i capelli con la mano sinistra e le accarezzo la nuca, mentre il sole le illumina l’altra guancia… Si addormenta. Prima di cadere nel sonno mi stringe la mano per un istante. Poi quel che io vedo (il tizio che fa 太极拳, l’uomo seduto di fronte con gli occhiali da sole, i due che si riprendono a turno con una steady-cam dotata di braccio meccanico) lei non lo vede… Probabilmente neanche io.
Discontinuità.
Dopo quello che ho chiamato l’ultimo filosofo, dopo l’apertura decostruttiva (Derrida) o macchinica (Deleuze) del post-strutturalismo… dal piano della riflessione, si è passati alla realtà. Nelle fondamenta del mondo si aprono voragini, tutto quel che era crolla e va in frantumi… impossibile recuperarne il senso passato, impossibile costruirne uno futuro. Non possiamo percepire l’85% della materia (il fantasma fecale del nostro cosmo), siamo ciechi per 4 ore al giorno per via delle saccadi, ascoltiamo musica con 44.000 silenzi al secondo che non percepiamo, tra un atomo e l’altro vi sono spazi, campi, relativamente immensi, tra le stelle e le galassie vi è una dimensione spazio-temporale discontinua… granulare, a brane, a più dimensioni… abbiamo un genoma spazzatura che sta lì senza un perché (e questo solo perché non trasmetterebbe “informazioni”…), un chilo e mezzo di batteri nel nostro corpo, vediamo il flusso di immagini senza vedere i singoli fotogrammi, vediamo l’immagine sullo schermo senza vedere i pixel RGB.
In economia la valorizzazione che conta è in negativo… è il buco di bilancio a creare valore… buco che si è ormai diffuso (“spread”) ovunque… e ce l’hanno un po’ tutti (e questo alla lunga rende impossibile il capitalismo, che può perpetrarsi solo crinandosi in crisi, accumulando con ferocia o sopprimendo i creditori di volta in volta… Dunque compaiono buchi e distorsioni anche nel Diritto e nelle democrazie… nelle ideologie come nelle esistenze messe precariamente a lavoro… Ma la violenza è un lusso che è possibile fino a un certo punto…).
Infine, viviamo morendo progressivamente…
L’informatica sembra consacrare una cospirante assenza di spazi di ambiguità, obbedendo solo alla logica binaria di input/output (I/O) il nuovo soggetto monadico, computante e paranoico inventato da Leibniz, che magari Freud provò ad investire di (s)cariche libidiche, di giubilo di fronte al rocchetto che compare e scompare davanti agli occhi dell’infante (il gioco del fort-da, una specie di cucù-sèttete), ma che, dato il numero incredibile di ripetizioni di impulsi I/O che quella logica gestisce, per esempio, in un processore, è più un rumore disarmonico, il ron ron della macchina di cui delirava Antonin Artaud… quello che ci svuoterebbe appunto di quello che c’è in mezzo tra un sì e un no, tra un vivente e un morto… quello che continuiamo ad affermare contro Tutto, ad ogni passo, ad ogni impulso elettrico della nostra chimica (dis)organica… tra scosse, brividi, contrazioni, decontrazioni e fasci di nervi…
Insomma questa vita quantizzata, digitalizzata, discontinua è insopportabile. Spossessa continuamente di sé… ma in un modo che non è quello proprio della natura… Bataille avvertì che siamo accomunati intimamente dalla “continuità” (la “sozzura”, la morte, il sesso)… io non avverto niente di tutto ciò. Non ho niente in comune con niente e nessuno… mi percepisco come una discontinuità imprevedibile e radicale, priva di appartenenza… un vivente assolutamente contingente. “Sentirai di appartenere al tutto quando non sentirai più”, mi dicevo l’altro giorno alle 5 di notte, senza capire il senso di questa frase… Questo tutto di cui sarei parte dunque non esiste che a condizione di morire e non è conoscibile… Resto dunque una parte eccedente… schizzata fuori di -getto dal Tutto, che è infinitamente meno di quel che c’è ora, nei pressi, in questa stanza, tra le mie dita sulla tastiera illuminate da uno schermo a 60 Hz di refresh… prima di chiudere gli occhi come Shiva e far scomparire questo misero assoluto in un sonno incomunicabile… anche a “me stesso”, a questo nodo attorcigliato… in procinto di sciogliersi.
Buonanotte… zzzzzz.
Filosofia del fulmine
“Il fulmine governa ogni cosa” (Eraclito)
Credo di aver pensato qualcosa come una FILOSOFIA DEL FULMINE… che altrove chiamo freccia, -getto, ecc…
Da notare, nel video la tendenza dell’elettricità a ripetere il percorso aperto dal varco che (invisibile) precede il fulmine.
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Più ripeto e più mi convinco di avere una memoria-crosta terrestre. E se continuo a ripetere, presto crescerà nuovamente la vegetazione e gli animali accorreranno ad accoppiarsi e riprodursi… Sono i pensieri che organizzano di nuovo le immagini, gli odori, i suoni, i sapori, le sensazioni secondo una fitta rete di analogie… I pensieri che organizzano i pensieri secondo campi di forza (ognuno ne comprende altri, come in una “matrioshka”… è questa la “comprensione”, il “concetto”). Come miliardi di piccoli fulmini. Che nascono dalla terra, non dalle nuvole. Nascono dal punto d’arrivo, non da quello di partenza. Viviamo un tempo invertito. I dendriti dei neuroni protendono le estremità proteiche per creare la differenza di potenziale, l’eccezione (il contrario del con-cetto = “prendo con”, l’ex-cipere = “prendere fuori”), il percorso del fulmine. La sua velocità è di cento metri al secondo. Vanno a tentoni… e marcano il percorso… ma trovano sempre nuovi bersagli per i fulmini. Come un filo d’Arianna nel labirinto del mito (= “muggito”) del Minotauro. Il labirinto delle possibilità: si apre un varco e l’uscita crea il “fulmine”, a ritroso. L’a-venire genera questo varco. O viceversa. E’ questa l’intelligenza. Che eroticamente dice: “Vieni”.
In ogni nostro pensiero siamo preveggenti. O profeti.
GANESH – Dice la Kena Upanishad: “Esso s’annuncia come fa il lampo”… solo per intuizione puoi cogliere il Bramhan. “Ciò che non può essere pensato con il pensiero, ciò per mezzo del quale il pensiero vien pensato, questo sappi che è il Bramhan”… Se ti balena in mente un’idea, questa è Indra, il fulmine.
Dio è tutto dunque anche ogni sua eccezione
E comunque non vi è regola se non è predisposto un numero infinito di eccezioni.
Il pensiero è sempre un gesto e un movimento con una sua realtà. Non vi è un’idea. La mappa delle idee cambia a seconda delle estremità tentacolari o delle vibrazioni che lentamente o velocemente brancolano in periferia, scagliando dardi continuamente verso il presunto centro, ripetendo costantemente che il centro è definito solo dal movimento periferico; non si definisce da sé, per sé o in sé.
Risposta magistrale su la différànce di Jacques Derrida
Le conseguenze possono essere, nella realtà che viviamo, che questa ci appaia in ritardo rispetto a questo “qualcosa” che arriva prima e che non sappiamo quali “leggi” segua o se possa in qualche modo interagire con la materia (anche se, come dicono i fisici, non trasporta informazioni… magari non rilevanti solo per i nostri parametri scientifici o percettivi… ma non per altro che potremmo indagare e scoprire o che agisca nell’inconscio, nella non-evidenza, nell’ombra…).
Quel che intendo dire è che l’eccezione arriva sempre prima della regola.
Tachioni – più veloci della luce
Il pensiero è un gesto, un movimento. Ci muoviamo nel nostro pensiero come in uno spazio fisico. I nostri stessi pensieri si muovono come in uno spazio fisico. Questo spazio fisico ci è stato scagliato dentro e ci “anticipa” continuamente, come a provenire da un fuori dello spazio-tempo che comprende la nostra percezione, con intuizioni, previsioni, schemi tattici, figure. Costruiamo un linguaggio solo per emblemi (o catene di associazioni), solo per questo continuo getto, dentro di noi, di immagini, suoni, odori, parole, carezze, fuoco, strepiti, ecc…
Un’arte del “-getto” che sappia cosa “gettare dentro”… come masticare la luce, indirizzare i fulmini e i soffi e seguire le eccezioni. Nel tentativo di dischiudere il corpo-mente a quel “fuori” che ce lo re-invia costantemente mutato e modulato.
Psicanalogica – l’embolon contro il symbolon
Creare il varco che ci dispone al movimento e a ciò che viene (l’a-venire) è il solo compito di Teseo-Arianna. Come un fulmine, muggito di Minotauro, si uscirà dal labirinto della mente (…che mente).
Siamo fatti di codice e miriadi di eccezioni… tante quante sono le regole. Questo doppio movimento è tutto quello che è possibile osservare. L’avanguardia è il pensiero che si muove come un fulmine, anticipando i movimenti di milioni di “cellule”… Se trova la giusta connessione, il giusto varco, tutte le altre cellule si muoveranno in sincronia e ci sarà un salto quantico, un cambiamento di rotta… E vedremo mirabili volteggi di stormi nei cieli…
Dunque il presente è questa “breccia” (come diceva la Arendt o… Michaux) che ri-manda in qualche modo ciò che era stato anti-cipato (=”preso prima”), previsto sulla scorta di esperienze ripetute, e che si augura di “giungere a destinazione” nel presente, nel luogo in cui può esser-ci un senso (che emergerebbe come da quello che definisco un varco, “filtrato” dalle differenze e dagli “scarti” che lo precedono).
Dove sono in questo le categorie, le classi e le sottoclassi e le strutture del pensiero? Puf!… svanite… solo tante immagini, suoni, sensazioni e… frecce a bersaglio prima di essere scoccate.
Jacques Derrida, l’ultimo filosofo
E’ da notare come nessun filosofo si sia occupato del futuro in quanto tale, come dimensione anomala del tempo. Liquidato da Aristotele, Epicuro, s. Agostino come inessenziale, come un non-essere… recuperato in una dimensione escatologica e finalistica dal cristianesimo, da Hegel, Marx, etc… sognato dagli utopisti e dagli apocalittici di tutte le ere… è stato ad ogni modo ingabbiato in una dimensione ontologica, che non gli è propria, evidentemente.
Il presente-passato è l’arciere che pensa di “penetrare il futuro” (come dice Bergson) e andare a bersaglio… quando invece è la freccia-a-bersaglio (il futuro) che trapassa l’arciere. E’ l’arciere ad essere invaso (ed invasato) dalle tecniche e dalle forme generate dal fine (la freccia-a-bersaglio). Così come il gatto-in-posizione-iniziale non precede il gatto-in-posizione-finale, ma è il contrario. Diversamente il gatto starebbe fermo. Insomma Aristotele ha ribaltato la questione potenza-atto. La fine di un moto non è il suo essere-in-atto, ma il suo essere-in-potenza… ed è condizione che sembra generare dinamiche studiabili secondo leggi, ma solo in apparenza… poiché se il passato appare imbrigliabile in un essere, il futuro non lo è.
Il futuro in quanto tale. Tre riflessioni non essenziali sul tempo
L’io è un bersaglio convinto di essere l’arciere
Noi non siamo da meno… dopo che un’interlocutore scambia poche battute, spesso capiamo (di -getto, non per prevenzione, si spera) dove vuole andare a parare, prima ancora che si entri nel merito di un qualsivoglia argomento o di complicate discussioni. Basta vedere i concetti come luoghi e il pensiero come un movimento, per andare a “segno”…
Questo io lo chiamo il -getto. In luogo del sog-getto. La freccia scagliata dal “fuori-di-sé” verso l’io. Divenuto una specie di S. Sebastiano…
O come dico qui, a proposito dello “spazio embolico“:
O qui:
Psicanalogica – l’Embolon contro il Symbolon
In questo post si parlerà dell’Analogica applicata alla psiche umana, ovvero della Psicanalogica e dell’oggetto (o piuttosto dell’ in-getto, em-bolo o em-blema) del suo studio. Poichè, per inventare una nuova “scienza”, occorre prima decidere di cosa si occupi…
Io, suo fondatore, sarei dunque uno psicanalogista?… Non so, forse è un po’ presto per definire i titoli d’onore e i diritti di esistenza di una “scienza” che deve ancora nascere… Ma l’ho già tutta in mente, quindi non resta che inventarmela (da “invenio”=scopro) man mano…
Questo signore, Jacques Lacan, parlava, finché era vivo, con voce cavernosa, producendosi in discorsi spesso oscuri e incomprensibili, ma la moda dei pensatori francesi dell’epoca faceva sì che lo si stesse ad ascoltare molto attenti, ripetendo le sue oscure formule e spesso complicandole ulteriormente… Era uno “sciamano” che magnetizzava l’attenzione sulla sua rilettura di Freud. Insomma era uno psicanalista, non uno “psicanalogista” come me… e aveva l’intenzione di rivelare la “verità” dell’inconscio. E di definire, nel corso dei peregrinamenti teorici di una ventina di seminari, la “posizione del soggetto” nello spazio psichico che aveva disegnato:
E’ il nodo che intreccia “Reale, Immaginario e Simbolico” (tipicamente lacaniani) e fa emergere nell’intersezione il sintomo (quello che gli psicanalisti dovrebbero curare…). Bello vero? Pare una fede turca (quella fatta da 3 anelli incastrati tra loro) aperta in tre. A suo modo un emblema… E questa sarebbe la mappa del suo campo d’azione. Qui ci sarebbe il famoso “soggetto”… Sub-jectus dal latino. Che vale “gettato sotto, sotto-posto”. Dunque… cominciamo male. Io sarei un “soggetto”? Una persona risibile, una caricatura, un dipendente? Una specie di Fantozzi? Nooo… Ma la moda strutturalista dell’epoca non vedeva di buon occhio l’Uomo. Al punto da porlo come “soggetto”, strutturato dal linguaggio di cui non era che un effetto. “Ciò parla”, diceva Lacan.
E che ci dice?… io e la mia mania di scomporre etimologicamente le parole (che hanno una vita animale e una genealogia) diciamo, prima ancora che io ci capisca qualcosa, che si parla di “-getto“. Parlerò dunque di getto, senza pensarci troppo.
Sog-getto, og-getto=”gettato sotto”, “gettato innanzi”… evoca nella mia mente la scena di uno schiavo lanciato ai piedi di un Re. Possiamo sopportare ancora questo stato di sog-gezione? Seguendo la scia del latino dovremmo parlare di in-getto, ma questa parola evoca la puntura, l’in-iezione. Parliamo di qualcosa che ci viene scaraventato dentro. Non proiettato, introiettato… o inoculato. Una specie di sasso in uno stagno… Quiete turbata dal “fuori” e che riverbera… gran sollecitazione di neuroni, della memoria. Fuori di che? Fuori di chi? Fuori di noi. Fuori dal tempo. E cosa viene scagliato dentro? Un embolon (=”gettare dentro“, dal greco)… che a prima vista sembra una minaccia mortale. Nella nostra lingua lo intendiamo come un embolo, qualcosa che ostruisce le arterie e crea danni al cervello, per esempio con un ictus… Anticamente si intendeva con “embolon” il rostro, la punta della chiglia che si incuneava nelle navi nemiche per affondarle… o uno schieramento a V in guerra. Dunque appare come una minaccia mortale per il soggetto, sotto-posto alle classi e alle categorie che lui stesso s’è inventato al punto da essere determinato da queste. Minaccia di morte per la filosofia, perché in realtà l’embolon è un emblema (che permane nella sua natura emblematica, dunque non riducibile alla logica identitaria e copulante A=A… una rosa=una rosa, ma a quella più ambigua, della rassomiglianza, dell’analogia: A sembra A, ma anche un triangolo, una vocale…). Emblema che si oppone al symbolon, ovvero al “simbolico” con cui Lacan chiamava l’ordine del linguaggio, della società, sotto il vessillo trionfale del Nome-del-Padre… La chiave per accedere a questo castello di segni (o meglio di “significanti”) era il più ovvio “significante del desiderio”… più volgarmente, il Fallo… che ci liberava da quel terreno paludosamente insidioso del regno materno, della reggitrice oscura del gioco dello specchio che avrebbe fatto identificare il bambino che siamo stati tutti noi in un abbozzo di segno, una prima percezione di sé… l’Io ideale. L’immagine del corpo… allo specchio. Quello sei tu! Oh che sorpresa! Oh che emozione! Mi sposto a destra e lui si sposta… Ma come si fa a dire che questo è un segno primitivo? Un primo segnale di senso… solo per essere stato sottratto all’impossibile spazio del Reale (al di là del materno, dello schizoide, dell’ab-ietto … inaccessibile, indescrivibile, inimmaginabile, immemorabile)? L’incorporea immagine al di là dello specchio è un embolon. Ci viene scagliata dentro. Anticipa i nostri movimenti, li scrive nella memoria, li ripete… E’ il perenne anticipo del tempo che vivono gli animali, specie quelli autocoscienti come gli uomini. Un fuori-tempo che ci viene “scagliato dentro” nel nostro tempo psichico. L’embolon ovvero lo spazio embolico è reale, immaginario e simbolico in un unica soluzione… Dissolve la mappa (topologia) del soggetto di Lacan. Non è più possibile speculare senza sapere di mentire. Se dell’inconscio Lacan dice “ciò parla”… io aggiungo che piscia (in balistica, si parlerebbe di traiettoria), getta, prende, canta, ascolta, ricorda, vede, ride, mangia, pensa, immagina, scrive, cancella, dimentica, sogna, dorme… spesso con una musica di fondo.
“Io” non è uno spazio chiuso. E’ un fuori “gettato dentro”.
Gli indiani non sbagliano a considerare la mente-corpo come una sola cosa. Il pensiero è un gesto, un movimento. Ci muoviamo nel nostro pensiero come in uno spazio fisico. I nostri stessi pensieri si muovono come in uno spazio fisico. Questo spazio fisico ci è stato scagliato dentro e ci “anticipa” continuamente, come a provenire da un fuori dello spazio-tempo che comprende la nostra percezione, con intuizioni, previsioni, schemi tattici, figure. Costruiamo un linguaggio solo per emblemi (o catene di associazioni), solo per questo continuo getto, dentro di noi, di immagini, suoni, odori, parole, carezze, fuoco, strepiti, ecc… Tra gli emblemi o emboli ve n’è uno particolarmente usato, che finisce per snaturare tutti i nostri possibili discorsi sulla psiche. Il symbolon. Definibile come il titolo esemplificativo di un oggetto, quello scambiabile per capirsi e farsi capire, è anche quello che ha dominato per secoli nelle teste fallocentriche e patriarcali dell’Occidente. Abbiamo il denaro e Dio Padre in testa. Una cosa ha valore se si scambia. Per esempio: nel sesso si scambiano cazzi? Il cazzo sarà l’equivalente generale del desiderio… si scambiano donne (come sosteneva Levi-Strauss ne “Le strutture elementari della parentela”)? La donna sarà la moneta vivente di scambio nelle società umane (forse da queste due equivalenze nasce la figura della “donna fallica” di Lacan?). E circolerà nelle società come il sangue nel corpo (finché non ci sarà un’embolia a rompere questo schema circolatorio, trasformandolo in una spirale emorragica che conduca altrove… ma subito si creerà un nuovo vortice e una nuova circolazione)… E’ un gioco che sminuisce qualunque -getto. Che sia seme, contrazioni vaginali, che sia polluzione di pensieri dentro di noi, che sia gioco del fuori col dentro, poco importa… Quel che conta si definisce con un patto chiaro. Infatti cos’era il symbolon (dal gr. syn+ballo=”metto insieme”) in origine? Una tessera che veniva gettata per terra, spezzata in due… e il margine di taglio, che solo poteva combaciare con l’altra parte, era garanzia del patto tra i due che rompevano il coccio. Su questo scambio è nato il segno, che sempre pretende di combaciare e significare altro, garantendo l’ordine (o la grande menzogna della “mente che mente”) come meglio può…
Ma il fatto è che non c’è ordine. L’ordine non è che un embolon. Un campo di forza che collega svariate percezioni e le inscrive in una “serie“: Padre-Dio-Logos-ordine sociale-territorio-soci-clan-stupro rituale-sfruttamento-patriottismo-guerrieri-ragione-linguaggio e così via… serie gettata dentro dall’ambiente circostante e non solo per patti, per convenzioni, ma anche da singole impressioni, da un’educazione al symbolon (fatta di convenzioni e classificazioni) che ci viene riproposta come una marziale e deviante palestra della mente-corpo. Muoviti così e dici “fallo”… Muoviti cosà e dici “fallimento”… Il symbolon è una particolare specie di embolon che si prende per vero, reale, chiaro, evidente, razionale, buono, incontrovertibile… è un embolon “presuntuoso”, che cerca costantemente di celare la sua natura emblematica. Necessario per il “progresso” e la “civiltà”, nega costantemente i suoi accidenti e le sue eccezioni… La Psicanalogica è qui per questo. Per “embolizzare” questo sistema proliferante e virale e bloccare la sua circolazione arteriosa e, nella sua accezione positiva, muovere il pensiero secondo la sua “natura”, ovvero il suo ritmo e il suo movimento. Vaglierà rassomiglianze e le inanellerà come in un diadema o in una collana. Cercherà di continuare ad accostarsi alla comprensione (e alla rigenerazione) dei sogni, delle analogie, delle intuizioni, delle trasmutazioni e del mondo non più scientifico e filosofico che ci attende. Continuerà il racconto interrotto (ma sempre rilanciato) delle donne-sacedotesse (delle verie magdalene, pizie, bakhti, diane cacciatrici), delle radure dei boschi, dei desideri, delle leggende, dei sincretisti. Seguendo un’arte del “-getto” che sappia cosa “gettare dentro”… come masticare la luce, indirizzare i fulmini e i soffi e seguire le eccezioni. Nel tentativo di dischiudere il corpo-mente a quel “fuori” che ce lo re-invia costantemente mutato e modulato.
P.S.: Eccovi cosa c’è “in ballo”. Ed eccovi “imballata” la psicanalogia… (sono solo altri due termini derivati da “embolon“…). Parleremo in seguito della pratica psicanalogica (inattendibilità della scienza, analisi dei sogni, amplificazione associativa e analogica, “sciamanesimo”, metodi e terapie, dono).
Sciamano
(parole e silenzio di Valerio Mele)
Si getta
dal fondo della notte
cascata oscura
incessante e banale
tuono mugghiante
nel pozzo di luce
dei mondi.
Sciama di nuovo indietro,
sfuggendo al terrore sismico
di miriadi di uccelli in volo,
verso la breccia impossibile
della sua sorgente…
e ritorna a cambiare le rotte
e rifrangere i raggi fulminei
delle cascate.
Mai sarà compreso
sempre sfuggirà,
sempre tornerà,
sempre (o quasi) a bersaglio.
Ogni volta differente.
Ogni volta diluito.
Ogni volta trasmutato.
Eccezione di Dio,
sabbia e sale,
fango e seme,
poi sciame,
eccezione dell’ eccezione,
e ancora e sempre…
-getto.
IL DI-VERSO DEI -GETTI
decomponendosicompongono
Né sog-getti, né og-getti!
PS: Cito da questo interessante articolo che cita il libro “Forsennare il soggettile” di Derrida… che scrive di “getto” (il grassettato è mio):
In Forcener le subjectile, Derrida elabora un’interpretazione complessiva della paradossale non-opera del poeta-artista francese, attraverso il grimaldello di un’antica e desueta parola, forse francese o italiana: subjectile, soggettile. Artaud la utilizza tre volte nei suoi scritti, per parlare dei suoi disegni (nel 1932, nel 1946, nel 1947). Infatti, il “soggettile” indica innanzitutto il “supporto” materiale dell’opera figurativa. Ma in Artaud assume connotazioni aggiuntive inedite. È sì supporto ma anche soggetto, indica la passività della materia ma anche quella del “soggetto” (nel senso dell’esser soggetto a); indica un “giacere” (dal latino iaceo-iacēre) ma anche, nello stesso tempo, un “lanciare” (dal latino iacio-iacĕre); ha a che fare, quindi con la “gettatezza” dell’essere al mondo e con il “gettare” (jeter) e il “progettare” (projeter).
Il soggettile cos’è? – si chiede Derrida. Qualsiasi cosa, tutto e qualsiasi cosa? Il padre, la madre, il figlio e io? Per fare buon peso, perché possiamo dire la soggettile, è anche mia figlia, la materia e lo Spirito Santo, la materia e la forma delle forme, il supporto e la superficie, la rappresentazione e l’irrappresentabile, una figura dell’infigurabile, l’impatto del proiettile, il suo bersaglio e la sua destinazione, l’oggetto, il soggetto, il progetto, il soggiacente di tutti questi getti, il letto del succube e dell’incubo […], ciò che porta tutto in gestazione, che gestisce tutto e partorisce tutto, capace di tutto. […] Tutto e il resto, ecco ciò che è senza esserlo.