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La coscienza

ovvero

 a proposito di “ghiribonzi”, di “aùro” pugliese e “ìndico” velletrano.

– da un dialogo su FB –

IO – Abbiamo un nemico interno, ma non è la corruzione (come sbraita Piero Pelù)… sono i ghiribonzi. I “ghiribonzi”, familiarmente detti anche “pali”, sono esseri notturni che abitano nei corridoi, come anche l'”aùro”, sorta di troll peloso presente, oltre che nei racconti popolari pugliesi, anche in qualche quadro di Füssli, in forma di succubo. Hanno presumibilmente gambe corte, altezza che varia dai 60 ai 200 cm, andatura lenta durante lo svolgersi degli incubi notturni, capace però di aumentare considerevolmente, in simultanea con l’esito horror del finale dei suddetti incubi, quando divengono invisibili e infine si avventano sul sognatore, cinturandolo con una scossa elettrica paralizzante al ventre.
PS: Si possono annientare solo riuscendo a parlare, gridare o, ancora meglio, soffiando col naso… dato che risulta difficile, da “paralizzati”, svolgere la “manovra di Valsalva”.

CM – A Velletri lo chiamano Indico!

IO – Ecco:

“L’ìndico” (di Roberto Zaccagnini)

Erno dó’ mesi che Filomenaccia
tenéa l’Indico, ma ’o tenéa de brutto …
de notte ‘n piommo a ’o stommico, poraccia,
’n sapéa che fa’: era provato tutto!
I stròleghi ’era ’ntesi tutti quanti,
fina che u’ llegramante de Schinetta
glie disse: “Filomè, ’n ce stanno santi,
te l’hai da còglie da ’sta casa infetta.
Chisto, ’o vé’? è tarmente aradicato
che nu’ lo scoti manco si vè’ ’o prete.
Gnente acqua santa, zorvo, né ramato …
da’ retta a mmi: meglio che v’’a cogliéte”.
Cossì areddusse i commedi ’a mmatina,
e ’o marito ce revempì ’a cariola.
’O bammoccio portéa ’na concoglina
co’po’de badanai e dó’ lenzola.
Filomenaccia era abboticciato
drento a ’na canestra ’o matarazzo,
s’’o misse ’n capo, ma arivà ’o cuinato
e se fermàne là denanzi ’o stazzo.
Dice: “Che v’’a cogliéte?” – “No, pe’ ’n cazzo ..!
Che glie pigliésse ’n corbo andó se trova!”.
E l’Indico da ’n cima ’o matarazzo:
“Gnamo, cuinà, che gnamo a ’a casa nova!”.

(“ìndico”, dal colore indaco; anche specie di folletto che, nella credenza popolare, immobilizza gli arti alle persone durante il dormiveglia).

CM – Si esatto, proprio lui. A mia nonna appariva di notte, immobilizzandola e “succhiandole il respiro” come sosteneva lei… L’unico modo per mandarlo via era mangiare qualcosa sulla tazza del cesso e recitare: “Indico, vie’ a magna’!”, cosi lui, schifato, andava via…

L'ìndico secondo Cristiano Mancini

IO – Taluni psicologi (un cognitivista, in particolare) sostengono si tratti di narcolessia. Ipotizzano che certi effetti paralizzanti durante la fase REM del sogno, siano dovuti a meccanismi autoimmunitari impazziti, che finiscono per bloccare il respiro regolato proprio dal “midollo allungato”… e aggiungono (comicamente) che certi sintomi durano tutta la vita. Per me la malattia di cui parlano costoro, ciò che si comporta troppo spesso da parassita del corpo, ha un solo nome: “coscienza”… e le cause di certi fenomeni non sono solo biologiche come vorrebbero far credere (perché così sempre più siamo considerati… materia biologica da utilizzare in qualche modo per l’altrui godimento). Così non ne verranno mai a capo. Non si possono comprendere certe esperienze se non si combattono e spezzano le relazioni ana-logiche (il legame insistente, ripetuto, “profondo”) tra determinati rapporti sociali (familistici per lo più), associazioni mentali, emblemi culturali, immagini del corpo, etc…
Questa “scienza” inesistente (questa lotta contro gli spettri, anche culturali) l’ho chiamata “psicanalogica”.

CM – Sì… anche secondo me, il rapporto di questi eventi con la nostra natura profonda, con le credenze e le connessioni familiari/culturali è inscindibile… per questo bisogna scavare nei miti!… Si ritorna al discorso dei nostri nemici interni.

IO – Esterni si spera! (Non a caso l’esorcismo di tua nonna veniva pronunciato sul cesso… sono nemici che vanno evacuati da sé e dati in pasto alle tante coscienze di merda che vagano come nervi vaghi, a mettere ansia… ma probabilmente si può solo oscillare tra coscienze di merda, parassitarie, ansiogene a sproposito e coscienze in sintonia con i -getti che le compongono e scompongono, con l’ambiente, il paratesto, che le fa emergere  come sub-iecta o, piuttosto, le rigetta, lascia che si presentino, come triade giudice-protagonista-pubblico, su una specie di proscenio o di specchio o di schermo… riparo provvisorio dalla linea di fuoco tra futuro e presente-passato).


Silenzio… non fate chiasmo…

IL CARCERE DEL CHIASMO

Il carcerato, il cattivo, che sogna di essere, in cattività, in un altro carcere.

E’ la forma di violenza (e di assedio) più efficace, quella del carcere… modello di tutti i rapporti umani e sociali (alcuni esempi: dalla Famiglia alla Coppia, dalla Coppia alla Famiglia… dalla Nazione alla Transnazione, dalla Transnazione alla Nazione… gli sblocchi ci sono solo per bloccare ulteriormente…). Non uccide… uccide lentamente… toglie un po’ alla volta tutte le possibilità di fuga…

…un maledetto carcere frattale!

Schizzi di “verità” da tutte le parti…

“Ciò parla” (Lacan)… non si sta mai zitto questo linguaggio… questo lignaggio… questo linciaggio…

Le parole come pietre. Mettiamoci una pietra sopra. Come gli ebrei. Seppellivano i vivi e i morti allo stesso modo. Cos’altro è un significato se non un morto sotto un mucchio di pietre-significanti?

Altro che Girard e le catene vittimarie… E’ il linguaggio stesso la violenza, l’assedio, la “rieducazione”, il carcere… la sassaiola, la pietra tombale delle cose… la registrazione, l’iscrizione…

EMBLEMI EMBOLICI

Un po’ di silenzio
Danza di immagini e suoni
Senza parole

Ricordare
e montare sequenze
Senza fermare
e trasformare
il flusso
in liquami,
nella tomba dei concetti
e dei significati.


Non capisco ciò che scrivo

E’ da quando a 14 anni lessi (in bagno, al mare e a scuola, sotto il banco) “L’interpretazione dei sogni” di Freud che ho allenato il mio cervello a pensare per analogie di funzione, sovrapponendo segni, immagini, suoni, in un ordine diverso da quello logico. Amici, parenti e conoscenti mi interpellavano sempre allo stesso modo: “Ho sognato questo… che vuol dire?”. Di volta in volta adattavo e traducevo il responso (poetico, suggestivo, erotico, ad ogni modo poco logico) alle esigenze e alle aspettative dell’interlocutore (similmente seguivo la lettura dei Tarocchi)… Scrivevo poemi per associazioni libere, in versi sciolti o in prosa, alla Rimbaud o alla Lautréamont… Piccoli saggi basati più su immagini poetiche e analogiche che su concetti… Studiai filosofia e la lasciai proprio per questa mia attitudine poco logica, pur riconoscendomi buone doti di intuizione e invenzione concettuale… Ma non è questo che viene richiesto, evidentemente, all’Università e nella società in generale… Per questo ho inventato la psicanalogica (materia che nessuno studierà mai… e che del resto non ho neanche epistemologicamente fondato, essendo un’attitudine, uno stile di percezione, un’esperienza…).

Già mi successe una volta di non capire più cosa scrivevo… Mi succede ogni tanto, quando sono stanco e non colgo più la tenue tessitura logica o l’imbastitura analogica dei testi che scrivo, questi tessuti piegati e cuciti e pronti all’uso o per il macero. Per il resto, in superficie, si allargano parentesi a macchia d’olio, legate al testo “principale” in modo davvero impalpabile, sommerso… si aprono falle che tendono a smarrire i soggetti (per ora senza riuscire nell’intento), nude look che lasciano trasparire la pelle, velature di un corpo (senza organi? solo superficie? solo forma più o meno tesa?)… la lingua fa continue allusioni, si imputtanisce, lecca le orecchie, scioglie o fonde i legami… ne installa dei nuovi… rompendo l’ordine precedente, l’ago, la spola…
Nell’era del blog-roll, del presente separato dal passato, del dominio dell’attuale, la fatica diventa doppia… La fine tessitura logica (l’arte del ricamo in cui personalmente non credo di eccellere come alcuni miei, ancora poco illustri, contemporanei) e l’imbastitura analogica delle pieghe vengono lacerate da memi insolenti… da tutte queste iconcine, immaginette, segni di segni, tagli di tagli, castrazioni di castrazioni, lingue-madri che non si toccano non sia mai, padri esplosi in mille pezzi ma ricomponibili come Osiride (fallo a parte, nelle mani di Iside, la trans…) o irrimediabilmente a brandelli, come Orfeo lacerato dalle Menadi… (o erano le tre forsennate Erinni, nate, come i de-sideri, dai genitali recisi del Cielo?… o erano le triviali Ecati? o le gentili Cariti travestite o cadute in disgrazia?…), che occhieggiano e occhiellano ai margini… o si impongono prepotentemente in sovrimpressione… Si fa una fatica enorme a non scivolare nell’oblio, a non perdere il filo, a non perdere il ritmo e la direzione della cucitura. Probabilmente se ne approfittano, potenziando e amplificando, con pignoleria scientifica, la decomposizione che ci lavora costantemente… lasciandoci, come se fossimo merce o scarti, alla mercé delle loro macchine tessili, sepolte da qualche parte in qualche fabbrica del Bangladesh o in qualche prigione russa… o della battitura meccanica di qualche robot che non perde un colpo nella stampa dei circuiti integrati.

Per lo più, è come se vedeste una partita di biliardo fissando solo la buca. Ogni tanto derridianamente sorpresi dall’a-venire della palla che vi scivola dentro (che talvolta è anche un po’ thaumazein platonico… “stupore ammirato”), di cui forse intravedete il numeretto… ma non state osservando le traiettorie, la stecca, la forza e la precisione del colpo, la tecnica del giocatore, il giocatore, il suo avversario, il punteggio, ecc…

Dovremmo rifare tutto daccapo… scartando in primo luogo la polarizzazione monoteista, base di tutte le pessime invenzioni successive.


Oggi è una splendida giornata…

…e mi sento come…
riconciliato col mondo…

(dice la mia anima
tra un miliardo e settecentocinquantamila anni circa)

(ad ogni modo quell’anima,
dato che non è
– nella mia “religione” personale,
qualsiasi sortilegio metafisico
esiste, ma non è
 –
esiste qui e ora
e fa sì che io veda tutto
come polverizzato.

Non vedo in vita neanche i funghi…
e un sorriso si allarga
come un crepaccio
che lascia intravedere la lava.

A partire da questo
io vedo il mondo…
meravigliosamente mutante,
senza che nessuno lo guardi,
Dio compreso…

Polvere… gas…
già mi pare di non vedere più…
fine dello spettacolo
nell’atto stesso di guardare…
saccade…
retina disattivata…
)


APPENDICE

La poesia
è una prosa
(anche sgrammaticata)
che va accapo
più spesso,
procedendo a fiotti
(o confondo
la ποίησις
con la polluzione?)


(Con)siderazioni sulla “guerra civile” e la “guerra chimica”

SQUADRE DI DEMOLIZIONE

Le città (come Damasco ora o Sarajevo in passato) in cui si svolge quello che chiamano “guerra civile” sembrano un immenso cantiere con squadre di demolizione che pianificano il loro lavoro. Le esplosioni non sono mai ovunque, ma solo dove serve. E’ guerra di condomini, di cittadini che insistono a voler essere cittadini, misti a operai demolitori sul campo (comunque contractors, anche se si tratta di eserciti nazionali…) molto poco raccomandabili… messi apposta per convincere i pervicaci cittadini a mollare, ad andarsene, a cedere quel pezzetto di proprietà privata che avevano prima. Una volta finito il lavoro si farà una tregua più o meno duratura, si sminerà e si ricostruirà… per questo si fanno gli edifici in cemento armato. Il metallo si può riciclare, il cemento si sgretola in nubi di polvere. E’ un materiale fatto apposta per essere distrutto e rimpiazzato… Basta un bulldozer e via… altre colate, altre merci, ricchi premi e cotillons… speranze, sorrisi, bambini… e poi ancora booooom, badabang, ratatatatatatata
Quel che voglio dire è che la “guerra civile” non è una cosa così diversa da quello che succede in qualsiasi città. A Damasco si usano solo metodi più sbrigativi. E’ una questione di urgenza, di fretta dei costruttori di cose che per essere costruite devono necessariamente distruggerne altre, persone comprese. Qua ce la si prende con più calma. Ma anche qui ci sono case e persone distrutte, tendenti al crollo. Basta osservare meglio gli sguardi e le crepe… Qui prevale il perfido porfido. Nero come le carogne. Buono per le sassaiole. In fondo siamo sopra al Vulcano Laziale

vistose tracce, a Velletri, del “recente” conflitto mondiale…

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INTERCETTAZIONI TELEFONICHE

Uno statunitense parla con un italiano.

– Cioè, forse non avete capito… La guerra in Iraq è finita da tempo, in Libia è durata troppo poco ed è stata solo di aria, per quanto ci riguarda… Nel frattempo abbiamo costruito armi di tutti i tipi… se non svuotiamo i magazzini, prima o poi la nostra industria bellica si ferma, il PIL cala… Se non possiamo bombardare la Siria, dobbiamo bombardare qualcos’altro… Siamo parte essenziale del processo… Se fermate la distruzione, potete scordarvi la “crescita”…
– Potreste bombardarvi da soli, ma prima occorre una apposita riforma strutturale di qualche emendamento… Anzi, visto che ci siamo, facciamo prima noi questo esperimento… cambiamo qualche articolo della costituzione… aggiungiamo qualche leggina… e poi fanculo Isernia!
– Eh, sì… senza contare che è pure pericoloso avere gli arsenali pieni… Da qualche parte tocca svuotarli… Vediamo il lato positivo: sarà una festa di luci!… illumineremo la notte a giorno!…
– Ahahahahah! Voi sì che siete “illuministi”!

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“GUERRA GIUSTA” AD USO INTERNO

Del resto anche a noi ci gasano con i pesticidi, gli inceneritori, le raffinerie, le acciaierie, le cokerie, ecc… è solo un processo un po’ più lento e omeopatico.
L’ONU, per (sua) logica, dovrebbe dare il via libera per una “missione di pace” contro l’ILVA di Riva o cose così… (violato l’ultimo confine, quello della differenza tra fronte interno ed esterno, come si può leggere tra le righe di un famoso discorso di un noto Nobel per la Pace alla riscossione del premio, questo dovrebbe accadere…).

Ah… e i gas di scarico dei veicoli a motore, il fumo delle sigarette?… sono la forma più decentralizzata di guerra chimica.

Forse c’è una “verità” più semplice: ci odiamo e vogliamo morire.

(…Questo accanto e dentro “ci amiamo e vogliamo vivere”).

L’ANTI-EDIPO E LA PULSIONE DI MORTE

“La questione per chi non crede in Dio sta nell’obbedire alla propria coscienza”.
(Papa Francesco I)

(Ovviamente non sono d’accordo con la questione di coscienza punibile, risentita e cristiana che vorrebbe universalmente porre il Papa…).

Secondo Deleuze e Guattari (ne l’Anti-Edipo, paragrafo: La rappresentazione barbarica o imperiale, che cito qui, in esergo, e continuo qui sotto, dopo i versi e i gatti intorno al buco…) era una “macchina dispotica” interiorizzata, una macchina repressiva a rendere violente (risentite perché rimosse-represse) le macchine desideranti… dal momento che egli tendeva a neutralizzare in un ipotetico corpo pieno del Desiderio la “pulsione di morte” (connotandola appunto come un effetto della vendetta del despota che  imponeva i suoi codici linguistici, la sua surcodifica dei corpi, triangolava con madre e sorella contro qualsiasi manifestazione di risentimento… o come un effetto della triangolazione edipica successiva che triangolava con mamma-papà, in pieno ressentiment cristiano)… Non mi sembra affatto così. Non è solo una questione di despoti o di edipi accecati, castrati… è proprio che non si gode senza morte. Non c’è niente di pieno né sul versante del piacere, né su quello del dolore. Vivere e morire, memorizzare e dimenticare, sono processi simultaneianche senza quell’eccesso surcodificante, dispotico e repressivo di cui Deleuze scrive. La pulsione di morte, a mio avviso, non è questione di “latenza” (di colpi a vuoto, di rimozione e repressione)… è ben scandita e modulata… è nel ritmo che ci attraversa, che solca anche gli orgasmi. Si gode a reprimere, si gode a rimuovere, si gode a liberarsi, si gode ad uccidere, si gode comunque… modulando le pulsazioni velocemente o ritenendole… accumulandole il più possibile, nel caso dell’economia capitalista, per accentrare potere e accrescere il potenziale (di riserva e sperpero)… gestendo i flussi sia nella distruzione che nella prosperità, a valle come a monte… evitando come la peste l’equilibrio, il pareggio, il Grande Zero centrale (sogno riconciliante, immobilizzante e concentrazionario di marxisti e fourieristi, per Lyotard… ma anche dio nascosto ebraico, motore immobile aristotelico, ecc…), il buco nero da cui fuggono tutti i simulacri e tutti i discorsi, compreso questo, come accade tra i bracci di una vertigine galattica.

Tendimi la mano
e facciamo surf
sull’onda cosmica.

Il centro non tiene,
il centro non c’è.

Restiamo qui, sospesi
a modulare i campi,
da bravi hortolani.

Con il grassetto sottolineo i temi chiave, con il rosso i punti di divergenza con quel che penso.

La legge non comincia con l’essere ciò che diverrà o pretenderà di diventare più tardi: una garanzia contro il dispotismo, un principio immanente che riunisce le parti in un tutto, che fa di questo tutto l’oggetto d’una conoscenza e di una volontà generali, le cui sanzioni non fanno che derivare per giudizio e applicazioni sulle parti ribelli. […] La legge non fa conoscere nulla e non ha oggetto conoscibile, il verdetto non preesistendo alla sanzione, e l’enunciato della legge non preesistendo al verdetto. L’ordalia presenta questi due caratteri allo stato puro. […] E’ la sanzione a scrivere e il verdetto e la regola. Il corpo ha un bell’essersi liberato dal grafismo che gli era proprio nel sistema della connotazione; esso diventa ora la pietra e la carta, la tavola e la moneta su cui la nuova scrittura può segnare le sue figure, il suo fonetismo, il suo alfabeto. Surcodificare, questa è l’essenza della legge e l’origine dei nuovi dolori del corpo. Il castigo ha cessato di essere una festa, donde l’occhio trae un plusvalore nel triangolo magico di alleanza e filiazione. Il castigo diventa una vendetta, vendetta della voce, della mano e dell’occhio ora riuniti nel despota, vendetta della nuova alleanza. […]
Vendetta, e come vendetta che si esercita in anticipo, la legge barbarica imperiale schiaccia tutto il gioco primitivo dell’azione, dell’agito e della reazione. Occorre ora che la passività diventi la virtù dei soggetti attaccati al corpo dispotico. Come dice Nietzsche, quando appunto mostra come il castigo diventi una vendetta nelle formazioni imperiali, bisogna che “una prodigiosa quantità di libertà sia scomparsa dal mondo, o almeno scomparsa agli occhi di tutti, costretta a passare allo stato latente, sotto l’urto dei loro colpi di martello, della loro tirannia d’artisti…”. Si produce un’esaustione dell’istinto di morte, che cessa di essere codificato nel gioco di azioni e di reazioni selvagge ove il fatalismo era ancora qualcosa di agito, per diventare il cupo agente della surcodificazione, l’oggetto staccato che plana su qualcuno, come se la macchina sociale si fosse sganciata dalle macchine desideranti: morte, desiderio del desiderio del despota, latenza iscritta nel profondo dell’apparato di Stato. Piuttosto che un solo organo si svincoli da quest’apparato, o scivoli fuori dal corpo dispotico, non ci saranno sopravvissuti. In realtà, non c’è più altra necessità (altro fatum) tranne quello del significante nei suoi rapporti con il significato: tale è il regime del terrore. Quel che si suppone la legge significhi, non lo si conoscerà che più tardi, quando si sarà sviluppata ed avrà assunto la nuova figura che sembra opporla al dispotismo. Ma, sin dall’inizio, essa esprime l’imperialismo del significante che produce i suoi significati come effetti tanto più efficaci e necessari in quanto si sottraggono alla conoscenza e devono tutto alla loro causa eminente. […] Ma tutto questo, lo sviluppo del significato democratico o l’avvolgimento del significante dispotico, fa tuttavia parte della questione, ora aperta ora sbarrata, identica astrazione continuata, o macchinario di rimozione che ci allontana sempre dalle macchine desideranti. Non è mai esistito che un solo Stato. A cosa serve? sfuma sempre più, e scompare nelle brume del pessimismo, del nichilismo, Nada, Nada! […] L’istinto di morte è, nello Stato, ancor più profondo di quanto non si credesse, e che la latenza non solo travaglia i soggetti, ma è all’opera nei congegni più elevati. La vendetta diventa quella dei soggetti contro il despota. Nel sistema di latenza del terrore, ciò che non è più attivo, agito o reagito, “ciò che è reso latente dalla forza, rinserrato, rimosso, rientrato all’interno”, è ora risentito: l’eterno risentimento dei soggetti risponde all’eterna vendetta dei despoti. […]
Hanno fatto passare tutto allo stato latente, i fondatori di imperi; hanno inventato la vendetta e suscitato il risentimento, questa controvendetta. E tuttavia Nietzsche dice ancora di loro quel che diceva già del sistema primitivo: non è presso di loro che la “cattiva coscienza” – intendiamo Edipo – ha attecchito e si è messa a spuntare, l’orribile pianta. Solo, è stato fatto un passo in più in questo senso: Edipo, la cattiva coscienza, l’interiorità, essi li ha resi possibili… […] E’ certo la storia del desiderio e la sua storia sessuale (non ce ne sono altre). Ma tutti i pezzi qui funzionano come congegni dello Stato. Il desiderio non opera certo tra un figlio, una madre e un padre. Il desiderio procede ad un investimento libidinale di una macchina di Stato, che surcodifica le macchine territoriali, e, con un giro di vite supplementare, rimuove le macchine desideranti. L’incesto deriva da questo investimento, non il contrario, e non mette in gioco dapprima che il despota, la sorella e la madre: è lui la rappresentazione surcodificante e rimovente. Il padre non interviene che come rappresentante della vecchia macchina territoriale, ma è la sorella il rappresentante della nuova alleanza, e la madre il rappresentante della filiazione diretta. Padre e figlio non sono ancora nati. Tutta la sessualità è in gioco tra macchine, lotta tra esse, sovrapposizione, muratura. Stupiamoci una volta di più della narrazione portata da Freud. In Mosé e il monoteismo, egli avverte certo che la latenza è affare di Stato. Ma allora essa non deve succedere al “complesso di Edipo”, segnare la rimozione del complesso o addirittura la sua successione. Essa deve risultare dall’azione rimovente della rappresentazione incestuosa che non è per nulla ancora un complesso come desiderio rimosso, perché al contrario essa esercita la sua azione di rimozione sul desiderio stesso. Il complesso di Edipo, come lo chiama la psicanalisi, nascerà dalla latenza, dopo la latenza, e significa il ritorno del rimosso nelle condizioni che sfigurano, spostano ed anzi decodificano il desiderio. Il complesso di Edipo non appare se non dopo la latenza; e quando Freud riconosce due tempi da essa separati, solo il secondo merita il nome di complesso, mentre il primo non ne esprime che i pezzi e i congegni che funzionano da un tutt’altro punto di vista, in tutt’altra organizzazione. E’ questa la mania della psicanalisi con tutti i suoi paralogismi: presentare come risoluzione o tentativo di risoluzione del complesso ciò che ne è l’instaurazione definitiva o l’installazione interiore, e presentare come complesso ciò che ne è ancora il contrario. Cosa occorrerà infatti perché l’Edipo diventi l’Edipo, il complesso di Edipo? Molte cose in verità, quelle stesse che Nietzsche ha parzialmente presentito nell’evoluzione del debito infinito.
Bisognerà che la cellula edipica termini la sua migrazione, che non si acconsenta a passare dallo stato di rappresentazione spostato allo stato di rappresentazione rimovente, ma che, da rappresentazione rimovente, diventi infine il rappresentante del desiderio stesso. E che lo diventi a titolo di rappresentante spostato. Bisognerà che il debito diventi non solo debito infinito, ma che come debito infinito venga interiorizzato e spiritualizzato (il cristianesimo e quel che segue). Bisognerà che si formino padre e figlio, cioè che la triade regale si “mascolinizzi”, come conseguenza del debito infinito ora interiorizzato [n.d.a. Gli storici della religione e gli psicanalisti conoscono bene questo problema della mascolinizzazione della triade imperiale, in funzione del rapporto padre-figlio che vi è introdotto. Nietzsche vi intravede a ragione un momento essenziale nello sviluppo del debito infinito: “Questo alleviamento che fu il colpo di genio del cristianesimo… Dio che paga a se stesso, Dio che riesce da solo a liberare l’uomo da ciò che per l’uomo stesso è diventato irremissibile, il creditore che si offre per il suo debitore per amore (chi lo crederebbe), per amore per il suo debitore!” (Genealogia della morale, II, § 21)]. Bisognerà che Edipo-despota sia sostituito da Edipi-soggetti, da Edipi-padri e da Edipi-figli. Bisognerà che tutte le operazioni formali siano riprese in un campo sociale decodificato e risuonino nell’elemento puro e privato dell’interiorità, della riproduzione interiore. Bisognerà che l’apparato repressione-rimozione subisca una riorganizzazione completa. Bisognerà dunque che il desiderio, finita la sua migrazione, faccia l’esperienza di questa estrema miseria: essere rivolto contro di sé, il rivolgimento contro di sé, la cattiva coscienza, la colpevolezza, che lo aggrega tanto al campo sociale più decodificato quanto all’interiorità più morbosa, la trappola del desiderio, la sua pianta velenosa. Finché la storia del desiderio non sperimenta questa fine, Edipo assilla tutte le società, ma come l’incubo di ciò che non è ancora capitato loro – l’ora non è ancora venuta”.

Hai letto? Beh… dimenticalo.

Anzi, ricordati anche di quest’altro passo (più condivisibile, sempre dall’Anti-Edipo), prima di dimenticare già quando riprende a parlare della staffetta comico-“futuristica” (patafisica come nella corsa dei ciclisti morti ne “Il Supermaschio” di Jarry) tra macchine desideranti (grassetti e link sono miei):

Il corpo senza organi è il modello della morte. Come han ben capito gli autori della letteratura del terrore, non è la morte a servire da modello alla catatonia, ma la schizofrenia catatonica a fornire il proprio modello alla morte. Intensità-zero. Il modello della morte appare quando il corpo senza organi respinge e depone gli organi – niente bocca, naso, denti… fino all’automutilazione, fino al suicidio. E tuttavia non c’è opposizione reale tra il corpo senza organi e gli organi in quanto oggetti parziali; la sola opposizione reale riguarda l’organismo molare che rappresenta il loro comune nemico. Si vede, nella macchina desiderante, lo stesso catatonico ispirato dal motore immobile che lo forza a deporre i suoi organi, ad immobilizzarli, a farli tacere, ma anche, spinto dai pezzi lavorativi che funzionano allora in modo autonomo e stereotipo, a riattivarli, a insufflare in essi movimenti locali. Si tratta di pezzi diversi della macchina, diversi e coesistenti, diversi nella loro stessa coesistenza. È perciò assurdo parlare di un desiderio di morte che si opporrebbe qualitativamente ai desideri di vita. La morte non è desiderata, c’è solo la morte che desidera, a titolo di corpo senza organi o di motore immobile, e c’è anche la vita che desidera, a titolo di organi di lavoro. Non si tratta qui di due desideri, ma di due pezzi, di due sorte di pezzi della macchina desiderante, nella dispersione della macchina stessa. Tuttavia, il problema sussiste: come possono funzionare insieme? Non si tratta ancora di un funzionamento, ma solo della condizione (non strutturale) d’un funzionamento molecolare. Il funzionamento appare quando il motore, nelle condizioni precedenti, cioè senza cessare di essere immobile e senza formare un organismo, attira gli organi sul corpo senza organi, e glieli attribuisce nel movimento oggettivo apparente.  La repulsione è la condizione di funzionamento della macchina, ma l’attrazione è il funzionamento stesso. Che il funzionamento dipenda dalla condizione, risulta evidente per il fatto stesso che tutto questo non funziona se non guastandosi. Si può dire allora in cosa consistano questo andamento o questo funzionamento: si tratta, nel ciclo della macchina desiderante, di tradurre costantemente, di convertire costantemente il modello della morte in qualcosa di assolutamente diverso, l’esperienza della morte. Di convertire la morte che sale dal didentro (nel corpo senza organi) in morte che arriva dal difuori (sul corpo senza organi).

Ma sembra che l’oscurità si infittisca: cos’è infatti l’esperienza della morte, distinta dal modello? Si tratta ancora di un desiderio di morte? Di un essere per la morte? Oppure di un investimento della morte, magari speculativo? Niente di tutto questo. L’esperienza della morte è la cosa più consueta dell’inconscio, appunto perché ha luogo nella vita e per la vita, in ogni passaggio o in ogni divenire, in ogni intensità come passaggio e divenire. È caratteristico di ogni intensità investire in un attimo in se stessa l’intensità — zero a partire da cui è prodotta come ciò che cresce o diminuisce in un’infinità di gradi (come diceva Klossowski, «un afflusso è necessario solo per significare l’assenza di intensità»). Abbiamo cercato di mostrare, in questo senso, come i rapporti di attrazione e di repulsione producano stati, sensazioni, emozioni tali che implicano una nuova conversione energetica e formano il terzo tipo di sintesi, le sintesi di congiunzione. Si direbbe che l’inconscio come soggetto reale abbia fatto sciamare su tutto il contorno del suo ciclo un soggetto apparente, residuale e nomade, che passa attraverso tutti i divenire corrispondenti alle disgiunzioni incluse: ultimo pezzo della macchina desiderante, pezzo adiacente. Sono questi divenire e questi sentimenti intensi, queste emozioni intensive ad alimentare deliri e allucinazioni. Ma, in se stesse, esse sono quel che più si accosta alla materia di cui investono in sé il grado zero. Sono esse a condurre l’esperienza inconscia della morte, in quanto la morte è ciò che è sentito in ogni sentimento, ciò che non cessa e non finisce di succedere in ogni divenire — nel divenire-altro sesso, nel divenire-dio, nel divenire-razza, ecc., formando le zone d’intensità sul corpo senza organi. Ogni intensità affronta nella sua propria vita l’esperienza della morte, la avvolge, e certamente, alla fine, si spegne; ogni divenire diventa esso stesso un diveniremorto! Allora la morte giunge effettivamente. Blanchot distingue bene questo duplice carattere, questi due aspetti irriducibili della morte, l’uno nel quale il soggetto apparente non cessa di vivere e di viaggiare come Si, «non si cessa e non si finisce mai di morire», l’altro in cui lo stesso soggetto, fissato come Io, muore effettivamente, cioè cessa alla fine di morire poiché finisce col morire, nella realtà d’un ultimo istante che lo fissa cosi come Io disfacendo l’intensità, riconducendola allo zero ch’essa avvolge. Da un aspetto all’altro non c’è affatto approfondimento personologico, ma tutt’altro: c’è ritorno dell’esperienza di morte al modello della morte, nel ciclo delle macchine desideranti. Il ciclo è chiuso. Per una nuova partenza, poiché Io è un altro. Bisogna che l’esperienza della morte ci abbia appunto dato abbastanza esperienza allargata, perché si viva e si sappia che le macchine desideranti non muoiono. E che il soggetto come pezzo adiacente è sempre un «si» che conduce l’esperienza, non un Io che riceve il modello. Il modello stesso infatti non è maggiormente l’io, bensì il corpo senza organi. E Io non raggiunge il modello senza che il modello, di nuovo, riparta verso l’esperienza. Andare sempre dal modello all’esperienza e ripartire, ritornare dal modello all’esperienza: schizofrenizzare la morte, è questo l’esercizio delle macchine desideranti (il loro segreto, ben compreso dagli autori del terrore). Le macchine ci dicono questo, e ce lo fanno vivere, sentire, più profondamente del delirio e più lontano dell’allucinazione: sì, il ritorno alla repulsione condizionerà altre attrazioni, altri funzionamenti, l’avvio di altri pezzi lavorativi sul corpo senza organi, la messa in opera d’altri pezzi adiacenti al contorno, che hanno altrettanto diritto di dire Si quanto noi stessi. «Crepi nel suo balzo per mano di cose inaudite e innominabili; altri orribili lavoratori verranno; e cominceranno dagli orizzonti ove l’altro si è accasciato». L’eterno ritorno come esperienza, e circuito deterritorializzato di tutti i cicli del desiderio.


Dopo Hiroshima

“La critica della cultura si trova dinnanzi all’ultimo stadio di cultura e barbarie. Scrivere una poesia dopo Auschwitz è barbaro e ciò avvelena anche la stessa consapevolezza del perché è divenuto impossibile scrivere oggi poesie”

(T.W. Adorno, dal capitolo “Dopo Aushwitz” in “Dialettica negativa”)

Al di là delle esagerazioni dissonanti della notte trasfigurata che attraversarono gli intellettuali tedeschi scampati alla catastrofe nazista, c’è da interrogare ancora una volta il fondamento di quel che chiamiamo “democrazia” e che a mio avviso non è rintracciabile (secondo Benjamin e anche per me) nella dialettica diritto positivo/stato di polizia o, come Derrida chiama questa seconda istanza, il “peggio”, la “soluzione finale” (della quale ci ammoniva in “Forza di Legge”… un Derrida molto ammaestrato nel tempo e divenuto addirittura un difensore di una democrazia più immaginata che reale, che egli apparenta alla “decostruzione”, contrapponendola a quel cattivone di Benjamin, il quale intravedeva invece nel diritto positivo la stessa violenza contro la nuda vita scatenata poi da uno “stato di polizia” come quello del nazismo).

Non mi pare dunque Auschwitz il mito fondante della democrazia totalitaria attuale (in quanto in continuità sostanziale con le feroci burocrazie naziste… né vale la pena soffermarsi sulla RIDICOLA preoccupazione adorniana che si possano o meno scrivere poesie…), quanto Hiroshima… immenso flash fotografico, spettacolo esemplare, pietra di paragone di qualsiasi scempio che gli sarebbe comunque preferibile, evento che sospende e dissolve qualsiasi umanesimo, qualsiasi critica, qualsiasi diritto, qualsiasi burocrazia, qualsiasi fabbrica, qualsiasi stato, qualsiasi guerra clausewitsiana… Lo sterminio istantaneo del nemico, piovuto dal cielo, pone fine a qualunque confronto, dialettica, complementarità, confine, scelta tra civiltà o barbarie, ecc… è annientamento, nonsenso generalizzato, catastrofe (non soluzione) finale, evento senza causa, apocalisse senza rivelazione, minaccia non più legata ad un nomos, ad un territorio, ad un’identità, a fratellanze, filiazioni e altre cacate ammorbanti del genere… è l’equivalenza generale della vita di fronte al suo annientamento tecnico. Vero segreto del dominio mercantile (capitalistico, monetario) pienamente dispiegato (…mentre il lager era il modello dell’equivalenza generale dei corpi, vivi o morti, in quanto merci).

Non è neanche una metafora, una rappresentazione… è la fine delle metafore e delle rappresentazioni possibili… la fine dello stesso Terrore, della tentazione dispotica, che ha turbato sin dall’inizio le infauste pretese universalistiche dell’Illuminismo (che un Derrida kantianizzato in qualche modo difende, insieme alla critica, al processo di crisi infinito chiamato democrazia, innescato dal modo di produzione capitalista), il surclassamento dell’orrore dell’Olocausto, sventolato ad ogni pie’ sospinto come ciò che la Democrazia deve evitare se non vuole precipitare nell’Abisso… Dopo Hiroshima, la stessa violenza che l’ha distrutta perde di senso, non è più né divina, né politica. E’ il fondamento tecnico di una violenza insensata che ha contaminato tutti e che ha assunto le forme spettrali dell’Occidente… terra del lavoro morto, dei morti viventi, del “denaro morto” (Marx, pag. 67: “Laddove operaio e capitalista soffrono nella stessa misura, l’operaio patisce nella sua esistenza, il capitalismo nel guadagno del suo denaro morto“… o ancora meglio, nella definizione pokeristica: “Le chips di un giocatore inesperto che ha virtualmente nessuna chance di vincere un torneo, vengono chiamate denaro morto“… in pratica il mancato profitto, il debito, il deficit, gli investimenti improduttivi, ecc…).

Il disprezzo per la vita dimostrato dal complesso militare-industriale statunitense (è difficile pensare un soggetto dietro un simile evento catastrofico, anche se ci sono Truman, il suo entourage, fisici per eccellenza come Einstein che tuttora osanniamo ad ogni merdosa scoperta di particelle subatomiche, ad ogni meditazione psichedelica sulle foto di Hubble, ecc…) mette in secondo piano lo sterminio di alcune categorie (definito mitologicamente o religiosamente come “il male assoluto”) e i deliri razziali dei nazisti. E’ più spaventoso, è un orrore senza fine spacciato per prodigio della tecnica, per spettacolo, per inevitabile fine di una guerra che non poteva più esprimere un “peggio”, dopo Hiroshima… Ma non c’è giustificazione per gli statunitensi. L’orrore che hanno prodotto è stato nascosto solo dall’evidenza della loro vittoria e purtroppo sono i vincitori a riscrivere la storia (e siamo ancora una loro colonia)… E ancora oggi continuano a produrre catastrofi cinematografiche per potersi sottrarre a quello che si potrebbe definire una colpa imperdonabile (incommensurabile, a dismisura d’uomo… fotogramma sospeso e incombente della cancellazione della realtà, che cancella anche le dinamiche umane e sacrificali e l’immondizia religiosa relativa… per cui nessuna colpa o perdono può aver luogo, per mancanza di soggetti…) che viene narrata come un destino (“s’è accesa una stella sulla terra”) anziché come la minaccia fondante del totalitarismo… l’assoluto disprezzo per la vita spacciato per Bene, ordine mondiale, che comincia a dispiegarsi pienamente solo ora che la Democrazia si disvela sempre più come menzogna, truffa, inganno, vernice dorata sulle scorie… l’antico logos pienamente realizzato nel suo principio mortifero.

Dopo Hiroshima
l’in-dividuo di Cicerone
(evolutosi nei secoli
fino a diventare,
da liberto,
da famiglio,
da valvassino,
da figlio minore
escluso da privilegi e successioni,
da bottegaio,
un sog-getto privato,
un unico con la sua proprietà)
è ritornato ad essere
a-tomo,

ma dividuabile
in reazioni a catena
incontrollabili,
principio ambivalente
di schiavitù universale
e della fine del sistema,

la posta più alta,
paradigma
del rischio imprenditoriale.

Atomo con
le sue fissioni,
le sue fissazioni,
le sue fiction.

(Niente più croci-,
solo -fissioni…)

Il flusso di capitali
diventa fissile,
radiante,
parte infinitesimale
che distrugge il  Tutto
,
grado zero
del dominio della Tecnica
pienamente dispiegato.

La paura della bomba
che imponeva una
pace armata,
una guerra fredda,
sui due blocchi
che si spartirono il Mondo,
sembra essere scomparsa,

ma è sempre lì…
catastrofe sospesa,
manto nero disteso
sugli infiniti conflitti locali,
sulle operazioni di polizia,
sempre più crudeli,
sempre più insensate,
sempre più estese…

morte nelle nostre tasche,
morte nelle nostre teste,
schermi a bassa radiazione,
un gesto virtuale
un clic

lento processo di sparizione
per rimuovere la minaccia
di una sparizione improvvisa.

E’ il vuoto stesso
del luogo della Verità,
di Dio, del Potere,
dell’universalismo
imperiale e cristiano,
che non ha saputo trovare
altra Forza
se non la distruzione totale
per poter giustificare
la persistenza del suo delirio.

Nessuna Democrazia moderna
potrà mai ricoprire
di astrazioni e “valori”
la contaminazione letale
su cui si è fondata.

E nessuna giustificazione
potrà mai esserci
per il canceroso ed orrido
Truman show
e per i meta-Stati Uniti
che verranno.


DE SIDEREO

(da leggere come un rap…)

urano urano
distilla le stelle
nascoste dal cielo
celeste d’azoto

dài tempo al Tempo
che falcia le stelle
che falcia le palle
con falce di luna

cade rabbioso
lo sperma salino
lo sperma di sole
nitrito di Furie

(coro)
de sidereo
de sidereo
de sidereo
de sidereo

sale dal mare
la figlia del cielo
puttana celeste
nutrita di vento

vento diviene
venere viene
venere cola
genera-idrata

dall’H, migliaia
dall’H, milioni
dall’H, miliardi
diurna diana

saetta di zoo
saetta di zeus
saetta di zero
elettricità

spina di rosa
goccia di sangue
mele granate
mele spaccate

(coro)
de sidereo
de sidereo
de sidereo
de sidereo


“Afterwards”

Ho scelto questo pezzo dei Van Der Graaf Generator (che considero una delle più belle canzoni di sempre) per questo esercizio di montaggio video e di…”canto”. Cercavo una possibile strada all’espressione più “graffiata” della voce, dopo che casualmente, dopo aver accordato il mio laùd tutto in diesis (col basso in D#), mi sono ritrovato a provare gli accordi di questa canzone… Lo so, ci sono imprecisioni, ma in fondo l’ho cantato, suonato (laùd, chitarra elettrica che simula il basso, chitarra elettrica con effetti e darbuka), missato e montato su video in un solo giorno e senza troppe pretese…

Ci sono anticipazioni di altri video futuri e materiale ripreso da precedenti video.

Sing along…

AFTERWARDS (di Peter Hammill)

You stare out in yellow eyes larger than my mind;
in viscous pools of joy, relaxing, we glide…
it’s all too beautiful
for my mind to bear
and, as we shimmer into sleep, something’s unshared.

But, seeing the flower that was there yesterday,
a tear forms just behind the soft peace of your shades….
The world’s too lonely
for a message to slip
but between the dying rails of peace
you trip.

The petals that were blooming are just paper in your hand;
your eyes, which were clear in the night, are opaque as you stand.
It was too beautiful
for it to last…
these visions shimmer and fade out of
the glass.

The petals that were blooming are just paper in your hand.


Siamo morti viventi

Polvere cosmica sfortunatamente auto-cosciente e con assurde velleità e smanie di riconoscimento.

Biffature, biforcazioni… stocastiche “biffures”, scriveva Michel Leiris, che però costruiscono un’estetica (a partire dalla propria forma)… materia presuntuosa, leggermente untuosa…

Ci sono tre eventi clou nella vita: la nascita, il sesso e la morte… ma l’ultima è l’orizzonte di non-senso che lascia dischiudere tutti i sensi possibili (inchiavardati alla nascita e al sesso e sempre ritornanti sul miele in cui si rimestano bisogni e desideri, conditi di miserabili astrazioni), che emergono, fulminei, come un singolo senso alla volta (o quasi) nella scena della coscienza, la grande semplificatrice…

Ci portiamo dietro tutti i morti passati, presenti e futuri, ogni volta che pretendiamo di vivere… siamo morti viventi… viventi solo per poco.

Per questo (oltre che per la resurrezione del valore) si sono costruiti cristi-zombie che ascendono in Cielo e altre storie inverosimili… per glorificare un universo sensato che non c’è.

Sognatori allucinati.
Polvere sei…
Cristo ri-morto di Holbein
gloria estatica di un senso insensato,
di un’esistenza temporanea.


Sesso d’osso

“Perché sei tu silente ed invisibile,
Padre di Gelosia?
Perché ti celi in nuvole
 A ogni occhio che ti cerchi?”

(da To Nobodaddy di William Blake)

“Padre di Gelosia, sii tu maledetto dalla terra!”

(da Visioni delle figlie di Albione di William Blake)

Quando in psicanalisi si parla di castrazione si deve intendere non tanto il gesto minaccioso dell’evirazione, quanto l’autonomizzarsi del (significante del) desiderio come cosa che procede da sé, come feticcio animato, posseduto da un demone… che non appartiene più al corpo vivo del maschio… e nemmeno a quello della femmina che lo usa, lo accoglie, lo rifiuta, ecc… è volatile, è un uccello, c’è e non c’è, si drizza e s’ammoscia… effimero e accecante come il Sole che (così come inebria la Pizia) spegne ogni ragione, polverizza il senso in indizi, tracce, seme… accecante anche per il mal-occhio… simbolo apotropaico contro la malasorte, la sterilità… insorgenza demoniaca da un basso dionisiaco che è anche l’alto apollineo (orgasmo verso il Cielo che fa precipitare Icaro, erezione della ‘Torre babelica dei tarocchi abbattuta dall’ayin, occhio severo, saetta di Dio, al culmine di un’ambivalente e smisurata competizione fallica che avrebbe voluto significare tutto una volta per tutte e che invece prolifera in moltitudini di sensi, li semina come sabbia, si stratifica, si ramifica, si protende, si ritrae, confondendo lingue e strutture, all’in-finito). Equivalente generale di tutti i simboli, monumenti, immagini del corpo allo specchio, persone o statue in piedi, glifi, lettere dell’alfabeto, spighe di grano, alberi genealogici, ecc…

Son cazzi simbolici, cazzi platonici… sono un’idea del cazzo…

Se andiamo all’osso, allo scheletro, non c’è più traccia di sesso… né maschio, né femmina, né eretto, né a riposo… solo sesso d’osso. Ecco, questo mi convince di più… a dispetto dello gnostico Blake, inorridito (ed estasiato) dalla Divisione, dalla scissione nella materia:

In un orribile riposo pieno di sogni,
come l’inanellata catena infernale
 una vasta Spina dorsale si contorse tormentata
 dai venti, Costole urlanti di dolore,
come una caverna piegata;
 e ossa di solidità si gelarono
sopra tutti i suoi nervi di gioia.
 Ed una prima età passò,
ed uno stato di cupo dolore.

(da Il primo libro di Urizen di William Blake)

Sesso d’osso.

Divenire-osso del sesso.

Senza vuoti o economia del vuoto.

Risonanza di morte, di vita.

Raschiatura dell’Essere.


“Smart city” e morti “sostenibili”…

Mentre anche a Velletri si fa strada, col milionario progetto PLUS (quello cui la Polverini diede via libera prima di dimettersi), il delirio “keynesiano” ed europeo delle smart city, delle città “intelligenti” e “sostenibili”, in grado di mettere insieme sinergie e privilegi per una classe agiata sempre più cieca, arrogante e minoritaria, che ora scopre la dimensione neoliberista destatalizzante del downscaling1, la città, specie nel settore di ponente, crolla… (anche per colpa della diffusa fame di soldi – dell’AFFARE!! – come recita la scritta che campeggia sulla saracinesca del cantiere che ha sepolto un muratore – con cui magari si cerca di rivalutare a due lire, per proprio conto, proprietà fatiscenti).
Parlano di ricostruire una fantomatica e “monumentale” identità nel bel mezzo di un processo inarrestabile di distruzione di qualunque appiglio (di welfare, concesso in briciole ed eventualmente solo a soggetti giuridici vaghi e discriminatori come le “famiglie”) e di produzione di macerie (culturali e materiali…). Questi indebitamenti (o finanziamenti europei ripagati indirettamente dai troppi miliardi che lo stato rastrella con tasse, tagli e “riforme strutturali”, grazie anche a patti capestro come il MES, votati in tutta fretta, quasi unanimemente e senza alcun dibattito pubblico dal parlamento italiano) non portano sviluppo… lo si capisce anche ad uno sguardo superficiale… Non si può ricoprire di zucchero ciò che sta marcendo… non si può ammantare di Cultura, Teatro e ogni genere di raffinatezze artistiche per i pochissimi che ne possono usufruire, la moltitudine crescente che ha bisogno di beni primari che non vengono forniti o garantiti… Ormai non è più questione di panem et circenses… qui ci saranno (forse) solo “circenses”… niente pane, né processi produttivi realmente utili o utilizzabili dalle collettività ancora tutte da costruire dello sfilacciato tessuto sociale veliterno… (dal momento che non nasce né si sviluppa alcun amalgama che non sia espressione di uno spirito nostalgico reazionario e pre-moderno – solo processioni, folklore e artigianato chiuso in se stesso e dalla visione ristrettissima… per nulla inclusiva – incline tuttalpiù solo al lavoro sottopagato con cui si schiavizzano i migranti…).


1 “In questi ultimi anni, si è assistito anche ad una riarticolazione delle gerarchie della regolazione politica. Sono cresciuti i poteri locali ma anche i poteri delle istituzioni sovranazionali. Le nazioni si sono adattate alla globalizzazione e all’integrazione economica e politica attraverso un processo di riarticolazione territoriale della sovranità. Si sono sviluppate dinamiche contestuali di upscaling e downscaling della statualità. Sono queste dinamiche ad aver prodotto un nuovo protagonismo delle città in uno scenario istituzionale molto complesso”.


L’ovvietà degli attentati nella “società gassosa”

In un certo senso
questo attentato
rientra nell’ovvio…

E’ così che si muore:
a casaccio…
fine delle competizioni
per qualcuno.

Un po’ alla volta è la consuetudine.
Tutto in una volta l’eccezione
…ma non cambia la sostanza.

Se poi nelle pieghe del sistema vi sono suggerimenti (mandati in onda in documentari dal taglio smart e accattivante, su YouTube e internet) su come costruire certe robe, l’evento diventa ancora più ovvio… anzi, direi che viene sognato (anticipato da film e fiction), invocato, istigato… è un difetto del sistema, un attrattore strano che però serve a far acquisire nuove forme alla mostruosità (la Grande Testa o la Grande Macchina) che si vorrebbe impossessare di tutto. L’eccezione (intensa) che conferma (ed estende) la regola. Improvvisa rivelazione della guerra nel bel mezzo della “società civile“… che non è quell’entità “pacifica” che si propaganda.
E’ ad ogni modo l’attentato perfetto perché l’attuale sistema di smaterializzazione del valore performi al meglio e si rivolga contro chi è diventato da un bel po’ di tempo “inutile”… Nessuna causa ideologica, nessun soggetto, nessuna rivendicazione, se non postuma e posticcia… In qualche modo sono eventi che si autogenerano, fanno il loro lavoro all’interno del sistema della divisione del lavoro. E danno ovviamente legittimità alla reazione organica delle istituzioni (o della parata di brandelli che si insiste a far sfilare…), che altrimenti franerebbero sotto la pressione della miriade di flussi di denaro che le attraversa… come attraversa il corpo della società.
Quando la società diventa gassosa, i compartimenti stagni della divisione del lavoro, che si insiste a volere arginare, tenere separati (anche per etnie, generi, religioni, ideologie e nazionalismi) e mettere l’uno contro l’altro, tendono a deflagrare o smottare “naturalmente” non appena vengono messi sotto pressione… Questa volta è toccato alla categoria random degli “appassionati di maratone cittadine”… E’ il fracking della società.

Altri miei post su temi analoghi: 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7


POSTLUDIO

Il più ostile a questo sistema è il suo centro… ciò che lo legittima. Se questa ostilità fosse più diffusa e senza soggetto, probabilmente il sistema si rivolgerebbe contro se stesso. Che è un po’ quello che accade. E non è detto che non sopravviva proprio grazie a questa paradossale e provvidenziale “modalità provvisoria” (al di là di qualsiasi capro espiatorio o istanza soggettiva).
Forse bisognerebbe proprio evitare il centro, il sistema e l’ostilità… anche se sono già attrezzati a dare una “ripassata” a ciò che potrebbe evitarli… passano e ripassano, come satelliti in orbita… come droni striscianti, volanti o con rapidissime zampe d’acciaio.

* * * * * * * * * * * * * *

Questi “organizzatori di eventi” emotivamente coinvolgenti (o di “eventi che legittimano organi“) si fanno sempre più scaltri… (ora ci toccherà rivedere lo stesso evento migliaia di volte… mentre le interpretazioni prendono progressivamente e inesorabilmente il posto della realtà… altrove invece, si continuerà a morire e basta, senza telecamere…).

* * * * * * * * * * * * * *

Dall’organizzazione degli eventi agli eventi che organizzano.

…i cosiddetti “simboli”, la moneta tonante del dominio… quella che legittima i suoi organi con la violenza diffusa… ma che al contempo espone alla dis-organizzazione, all’embolia di qualsiasi processo, al rischio del non ritorno di alcun utile…

* * * * * * * * * * * * * *

“il killer verrà cercato porta a porta. La città è in stato di assedio“.
[…]
“casa per casa”

Scrive l’ANSA, dopo che stavo cercando guarda caso proprio la trama del film “Borat”:

Tirava di box, il suo film preferito era “Borat” (il bizzarro giornalista kazako inventato dal comico britannico Sacha Baron Cohen), voleva fare l’ingegnere e diceva di “non avere neanche un amico americano perché non li capisco“.

* * * * * * * * * * * * * *

Certo che se si dovesse uccidere tutto ciò che non si riesce a capire… ci sarebbe la dittatura del semplice, del superficiale, della prima impressione, del cittadino impazzito, di ciò che sembra cartesianamente chiaro ed evidente, dell’idiota che crede di sapere tutto… forse il problema è che si sono sviluppate teorie e sistemi incapaci di convivere con l’estrema frammentazione del reale… con le molteplici divisioni che ci solcano… non esiste ancora una rinuncia ufficiale e definitiva a cogliere la totalità… tutti sembrano ancora rincorrere questa chimera distributrice di sensi apparenti, dispensatrice di segni, di feticci, di denaro… di equivalenti generali di una realtà comunque singolare nella sua molteplicità inafferrabile…

* * * * * * * * * * * * * *

Insomma è confermata la capacità della feroce società statunitense (e non solo) di autoattentarsi, dato che stiamo parlando di americani senza una identità inquadrabile in statistiche o, comunque, con un profilo social molto stratificato… come quello di tanti…
E’ chiaro che l’intestardirsi su identitarismi, territorialismi e universalismi produce tutto questo… credo proprio non si possa opporre sensatamente la caccia all’uomo e la giustizia stile far west a certi effetti collaterali del fracking sociale (a meno che non si vogliano forzatamente lasciar proliferare l’anomia borderline e le identità in rovina per tentare di legittimare – lo trovo davvero impossibile – la sola Identità ad essersi presa, con la forza, il monopolio mondiale della violenza…).

Stranissimo, affascinante ed enigmatico (a proposito di identitarismi borderline) il video di un camaleonte che prende il colore di vari occhiali da sole che gli vengono presentati davanti al suo lento incedere, mentre si sentono preghiere musulmane sullo sfondo… era presente sul canale YouTube del presunto assassino assassinato (Tamerlan, che era appassionato di trance music e islam neanche in modalità fondamentalista, almeno da quel che si può capire… per il resto vedo un virile mix di nazionalismo ceceno, mimetiche e boxe…).

Ovviamente l’americano medio (da vero fondamentalista) reagisce insultando nei commenti su YT l’assassinato e promettendo una pioggia di proiettili anche sul fratello come su tutti i musulmani indistintamente… o alludendo alla frociosità dell’attentatore che non sarebbe stato all'”altezza” di Breivik… o ipotizzando che fosse stato vittima di uno stupro anale in Cecenia…
Al presunto attentatore sembra piacessero canzoni hip-hop deliranti, che invitavano a difendersi dai tanti complotti di cui l’idiota medio sarebbe vittima, nell’unico modo che viene tanto propagandato, difeso e accettato in USA… e cioè quello di riempirsi di armi… Loro, da novelli americani, forse le avrebbero anche usate…

* * * * * * * * * * * * * *

CADUTI DAL PERO…
“Come due fratelli che sono cresciuti qui possono essersi rivoltati contro il nostro Paese?”, si e’ chiesto il presidente Obama… che con questo evento coglie l’occasione per mettere in pratica spettacolarmente l’efficacia delle sue kill list… (sembra che il protocollo sia: si uccidono i sospettati prima di sapere oltre e poi si fanno sparire tutte le eventuali prove sia d’innocenza che di colpevolezza…).

“La madre però fornisce una notizia importante quando dice che il figlio aveva avuto problemi in relazione all’estremismo islamico e il FBI lo ha contattato e controllato diverse volte negli ultimi anni. Dichiarazioni che alimenteranno le polemiche sull’operato dell’agenzia, il cui l’interesse per Tamerlan è stato confermato anche da altre fonti”.

I contatti si possono prendere per tanti motivi… Nutro forti sospetti su tutta la messa in scena con “stato d’assedio” finale e applausi ai boia… Ma ad ogni modo qualsiasi retroscena ci sia dietro l’esplosione delle due pentole a pressione, permane il fatto che si è raggiunto l’effetto desiderato: esercito che vaga “strada per strada”, “casa per casa” (occhio per occhio, dente per dente), la caccia alle identità difformi (anche su internet), la rappresaglia, tante pallottole a segno, la soddisfazione per il ripristino dell'”ordine”… della “sicurezza”… il consenso paranoide e “sentimentale” di una società violentissima alle esecuzioni sommarie… l’evento terroristico è solo un momento subito/istigato, normale, ovvio di quel frame istituzionale.


Due brevi letture barocche

(Traggo spunto per questa ricerca nel passato di “metafore migliori“, anche dalla “vaghezza” dei tempi attuali… sostenuti e sepolti dal labirinto e dalla saturazione dei segni).

“Questo ognor, se nol sai,
vaneggiando vagheggio,
vagheggiando vaneggio”.

(da “Amori” di Giovan Battista Marino)

La poesia leziosa e sospirante in questione parla delle gioie dell’attaccamento amoroso dell’artigiano ruffiano ai mezzi di produzione in via di progressiva alienazione, dell’inebetimento di fronte al miraggio della merce feticizzata e spettacolarizzata (qualcuno parlerebbe di “jeune fille”).

La poesia dall’ardito e nauseante metaforismo (…costruito e smontato nel colpo di scena degli ultimi due versi) per intero:

Mentre lunge ti stai
da me, dolce ben mio,
o bel ritratto che di te serb’io!
Questo ognor, se nol sai,
vaneggiando vagheggio,
vagheggiando vaneggio.
Qual la pittura sia, chi sia ‘l pittore
forse cercando vai?
L’imagine se’ tu, la tela il core,
il pennello lo strale, il fabro Amore.

Questo è!… il cuore è una tela… il pennello che ha ritratto l’amata una freccia di Amore… fa schifo… ma è così… è la realtà… si cerca di dare un verso qualsiasi al nulla (de)siderale… meglio se stucchevole, amorevole, pucci-puccimicettiLOL.

Oppure, altrove:

“Il nascimento di Venere, prodotta dalle spume del mare, vuol dire che la materia della genitura, come dice il filosofo, è spumosa e l’umore del coito è salso”.

(da “Adone“di G. B. Marino)

Come siamo lontani dalle eteree e sublimi figure del Botticelli… [e non lo scrivo per disapprovazione, ma con un certa ammirazione per la co(s)micità ellittica (volontaria o involontaria che sia, per questo animatore dell’Accademia degli Oziosi)]… Costui riduce la scenografica nascita di Venere a semplice sperma… Quasi lo assaggia e ci dice di che sa…

E non che non fosse consapevole di certe sue licenziosità…

«L”Adone penso senz’altro di stamparlo là [n.d.r.: a Parigi], sì per la correzione, avendovi da intervenir io stesso, sì perché forse in Italia non vi si passerebbono alcune lasciviette amorose. Le so dire che l’opera è molto dilettevole… »

(da una lettera di G. B. Marino a Giovan Battista Ciotti)

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Dal barocco che tutto travolge, rimescola e accarezza (dai segni che cercano di saturare il vuoto su cui danzano spettacolarmente, senza la gravità di un centro… che non tiene più o quasi) emerge anche questo pittore, Francesco Furini (sono suoi i tre quadri nel post…).


La semiosi, malattia infantile della semiocrazia

Se questa è una semiocrazia, la semiosi (che alcuni, come Peirce, indicavano come “infinita”) è una gran brutta malattia, il contagio che la fa proliferare…

Nell’emersione alla superficie dei simboli io mi auguro invece che vi sia un’embolia… Ho infatti scritto di embolon opposto al symbolon… Si dovrebbero stroncare sul nascere certi statuti (dell’io, del sog-getto, dell’identità, della coscienza, dell’essere, ecc). Ne conseguirebbe una moria di sub… (o del “sog-“ del sog-getto).

Peirce, citato da Julia Kristeva in “Semeiotikè”, così definisce un segno (implicando una struttura triadica, idealistica… o, diremmo anche, edipica, monetarista, ecc…): “Il segno, o representamen, è ciò che sostituisce per qualcuno qualcosa sotto un determinato aspetto o in una determinata posizione. Esso si rivolge a qualcuno, crea cioè nello spirito di questa persona un segno equivalente o forse un segno appena sviluppato”. 

Così l’individuo sopprime il dividuo (o il sog-getto il -getto)… con il “representamen”… (nella semiosi propria dell’economia, con il denaro… che per Marx è l'”equivalente generale delle merci”… merci che sono oggetti, ma anche soggetti, attraversati e condizionati dal rapporto sociale che li imprigiona… in superficie).

Ri-gettare, pro-gettare, ri-articolare le giunture dei (bi)sogni, prima che emergano alla superficie della coscienza.


Solstizio d’inverno

Sole del Mondo,
Signore degli Inganni,
che irradi dal più profondo
dei tuoi abissi,

torna a splendere
sui fasti sepolti,
sulle più banali menzogne,
sulle lingue velenose,

sulla terra in malora,
sull’arroganza del giorno,
sulle cecità illuminate
e sui cuori ottenebrati

dagli incanti d’amore,
dai labirinti involontari
e dalle delicate infamie…

Ancora tre giorni
e ci lascerai.

Ancora tre giorni
e rinascerai.

Ancora tre giorni
e ricomincerà la danza.

Nero di seppia
e palla di sterco
di scarabei,

moneta d’oro del cielo,

ascenderai ancora

sui detriti sulfurei,
sui tuoi servi fedeli
e sui campi di grano
dei tuoi astuti falsari.

Un gracchiare di corvi
ti saluterà festante.


In sintesi… | del digitare e infine di onde nere e dragoni alchemici

“Ho lasciato il mio gruppo
 faccio tutto da solo”

In questi due versi milioni di biografie (compresa la mia)… la controrivoluzione digitale ci ha reso “sociopatici” (per usare una parola che potrebbe includere o recludere chiunque… ma prima ancora si era già perso il gusto di mettere soldi e strumenti in comune e litigare)… tutti questi nuovi dispositivi portatili hanno lo scopo preciso di spezzare le connessioni reali e mediarle in modo poliziesco affinché tutti imparino in qualche modo a (cercare di) metterle a profitto (senza riuscirci nella stragrande maggioranza dei casi)… affinché si estenda la fabbrica di merci inutili e nocive (persone incluse) a dismisura… l’importante è spacciare la (governa)mentalità, trasformare tutti in dipendenti di una fabbrica di nulla che si regge su un letto di morte altrui (per ora)…
Era un modo gentile di dire: organizzatevi voi, se ci riuscite… vi diamo i mezzi di produzione… a noi interessa solo il profitto… la merce (culturale) è merda, non rende un gran ché… vi diamo i gingilli, giocateci voi… dobbiamo dismettere questa fabbrica…
Per il resto dei lavori produttivi continuano come al solito ad usare la violenza e gli eserciti.

Ultimamente hanno pure semplificato le cose, per i più recalcitranti, con le app dei tablet e i-pad vari… “Giuoca! giuoca!”, diceva la Butterfly…

In luogo del “De hominis dignitate” di Pico della Mirandola, il “De hominis digitate”… In luogo de “Il piacere del testo” (Roland Barthes) vi sarà “Il piacere del tasto”… come per la gorilla Koko che pigia tasti compulsivamente e forse anche a casaccio in questo video

P.S. Vi lascio qui una poesia… diciamo…


ONDE NERE

Nulla da perdere,
nulla da sperare,
nulla da lasciare in eredità.

Io ve l’ho detto:
siamo finti,
siamo macchine,
siamo dividui.

E soprattutto:
tutto ciò è uno scherzo bizzarro,
inconsistente,
perché è qualcosa
in un incommensurabile
niente.

Siamo comici
alla periferia di una gravità
che mette in ordine il caos
fino a renderlo assurdamente
autocosciente
(per 2/3).

Riverbero di c’è, non c’è e stasi.
I primi vagiti,
l’esalazione finale.
Qualcosa in mezzo.

Oceani di nulla,
onde nere.

macchine sideranti:

(nell’acceleratore)
le particelle
si scontrano e compaiono…
In realtà, noi come loro
(al rallentatore),
ci incontriamo e scompariamo.


Infine, anche se non c’entra molto, ecco un esempio di come la materia inorganica a volte paia vivente (ma potrebbe anche essere il contrario…).

esperimento con solfocianuro mercurico dato alle fiamme

Si tratta di trasformazione chimica particolarmente velenosa… Immagino che un alchimista vedendo un simile spettacolo possa aver inventato la faccenda del dragone nel matraccio… o la lotta tra zolfo (S) e mercurio (Hg) per il tramite dell’azoto (N) e del carbonio (C)… quest’ultimo facilmente rintracciabile in tutti i viventi…

I tre principi alchemici rappresentati nel dragone tricefalo, Zoroaster, Clavis Artis, XVII sec., Biblioteca dell’Accademia dei Lincei, Roma

Un’ultima riflessione sulla mia passione per l’inorganico:

“Sembra che il nostro principale compito biologico sia quello di trasformare animali, vegetali e minerali in merda… e l’acqua o altre bevande in piscio… Ma era proprio così necessaria questa variazione animale? Non era meglio un mondo di soli minerali e piante? (ma anche queste marciscono… meglio solo minerali)”.


Per una teoria del di-vertimento e della di-versione

 Tratto dalla terza capitolazione (“-getti”) del mio e-book Come vivere senza essere in tre capitolazioni”.

uomo-che-ride

 

 il tutto sarebbe nulla se non ci fosse qualcosa

così qualcosa c’è

ed è “semplice” complessione

(“principio” del conflitto, nel tempo,

tra passato/presente e futuro

tra ordine energetico e disordine entropico),

ma nell’approssimarsi all’infinito

questo qualcosa si complica a dismisura

tendendo al suo limite,

l’impossibile tutto-niente

dunque c’è sempre qualcosa

e non è mai la stessa

è di-versa (non: dif-ferente,

non com-porta nulla se non qualcosa):

è di-vertente

 * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * *

Ecco… più che di differenza, da contrapporre all’identità (come è andato di moda nella seconda parte del ‘900) si dovrebbe parlare di di-vertimento, di-versione… una cosa da una parte, una cosa dall’altra… non c’è nulla di pro-duttivo nella realtà, nulla da ducere, condurre, a favore di (“pro”) qualcuno… tutto alla fine diverge. In definitiva, “si muore” non è “si vive”… non c’è sintesi possibile…

Similmente “lavorare” dovrebbe mutarsi nel più vago “fare qualcosa” (che, oltre ad essere divertente e divergente, ha anche un senso di e-mergenza…), senza im-piego (del tempo, della vita, ecc…), senza di-visioni del lavoro, divise, ecc…

A rigore, più che di in/di-vidui (parti di un accordo che si affrontano de visu, per sezionarsi, recintarsi vicendevolmente, tenersi separati e a vista…) si dovrebbe parlare di viventi di-versi, di-vertenti

Tutto il contrario di quel che si vede in giro…

La di-versione inoltre, non è un de-lirio, non esce da un solco (lat. “lira”) precedentemente scavato… è l’a-venire , l’a-ventura, di nuovi versidi-vergenti dall’idea di unicità inscritta per esempio nei termini “individuo”, “uni-verso”, ecc…

 Il di-vertimento è il principio del gioco (e il gioco del principio).

Laddove il giogo con-giunge due giunti, il gioco li dis-giunge, di-vertendoli, sottraendoli alla loro funzionalità sistemica, macchinica. In un certo senso, la pulsione di morte è di-vertente… ed è alla base della libido, della libertà di movimento e d’azione di qualcosa prima che vi sia una com-binazione, una con-giunzione, l’in-vista-di (l’individuazione di) un utilizzo, di una funzione… prima cioè che gli insiemi si inter-faccino in un sistema.

 Un accordo di-vertente e di-vergente tra in/dividui.


Il «sale della terra»

«Voi siete il sale della terra» (Lc 5,13)

E così
chiedono la paga
degli schiavi,
il SALario
pagato con
l’«equivalente generale
(del dominio)
delle merci»

Il SALe
non fa crescere
un filo d’erba…

il SALe
fa venire i crampi,
fa scoppiare le arterie,
ti crepa il cuore…

…il SALe
insieme al SOLe,
insieme al SOLdo,
«luce del mondo».

Tramonta!
Tramonta e sciogliti!
Lascia in pace
il mio sangue.

PS: Senza considerare che si asSOLdavano anche i SOLdati… con i SOLdi, questi pezzi di SOLe spicciolo che  circolavano (*) tra i miserabili…

  (*) e circolano anche adesso, in misura minore, perché divenuti merce astratta, concetto immacolato della prostituzione generale.


Perché c’erano due torri al World Trade Center di New York?

Perché ci sono due torri al World Trade Center di New York?
(Jean Baudrillard, “Lo scambio simbolico e la morte”, 1976)

Ancora dallo stesso libro:
La “libera scelta” degli individui, che è il credo della democrazia, sbocca in realtà esattamente nell’opposto: il voto è diventato sostanzialmente obbligatorio: se non lo è di diritto, lo è per costrizione statistica, strutturale dell’alternanza, rafforzata dai sondaggi. Il voto è diventato sostanzialmente aleatorio: quando la democrazia raggiunge uno stadio formale avanzato, essa si distribuisce intorno a delle percentuali uguali (50/50). Il voto rassomiglia al moto browniano delle particelle o del calcolo delle probabilità, è come se tutti votassero a caso, è come se votassero delle scimmie.
A questo punto, poco importa che i partiti in causa esprimano storicamente e socialmente chicchessia – bisogna anzi che non rappresentino più nulla: il fascino del gioco, dei sondaggi, la coazione formale e statistica è tanto maggiore.
[…]
L’oligopolio, o duopolio, attuale deriva dallo sdoppiamento tattico del monopolio. In tutti i campi il duopolio è lo stadio raggiunto del monopolio. Non è la volontà politica (intervento dello stato, leggi anti-trust, ecc…) a spezzare il monopolio del mercato – è che qualsiasi sistema unitario, se vuole sopravvivere, deve trovare una regolazione binaria. Questo non cambia nulla del monopolio: al contrario, il potere è assoluto solo se sa diffrangersi in varianti equivalenti, se sa sdoppiarsi per moltiplicarsi. Ci vogliono due superpotenze per mantenere un universo sotto controllo: un unico impero crollerebbe da se stesso.
[…]
Dalla più piccola unità disgiuntiva (la particella domanda/risposta) fino al livello macroscopico dei grandi sistemi d’alternanza che governano l’economia, la politica, la coesistenza mondiale, la matrice non cambia: è sempre lo 0/1, la scansione binaria che s’afferma come la forma metastabile, e omeostatica, dei sistemi attuali.

 

In ogni caso dopo queste parole profetiche di Baudrillard, da 2 si è passati a 0… dunque l’universo è diventato un multiverso… è il regno del caos. E’ l’entropia che conduce il sistema. La polverizzazione del cemento e della civiltà. Come nel finale di “Fight club”, l’America sogna che crollino tutti i grattacieli. Sogna la vera perfezione: lo Zero Assoluto (la massima entropia).

Questa gigantesca simulazione e presa per il culo che ancora ci conduce, il raddoppiamento del codice (come avviene per il DNA, come per la clonazione) delle Due Torri abbattute, sopravvive oggi nel Lutto (unica garanzia di sopravvivenza temporanea, contro nemici random o inventati di volta in volta – i terroristi, Al Qaida, Saddam Hussein, Gheddafi, i mercenari negri, gli insorgenti, i terroni, i “clandestini”, le donne, i rumeni, i comunisti, gli anarchici, i “ratti”… tutti noi)… Ma il sistema, in cuor suo, sogna che crolli tutto, per liberarsi dal suo stesso incubo totalitario, divenuto insostenibile, prolifera in meta-stasi (meta-stati) si sdoppia senza quel codice perfettamente duplicato che era rappresentato dalle Due Torri, inventa strenue resistenze individuali, terroristiche, contro se stesso… (poiché il sistema si rifrange anche nell'”individuo”, nel Ribelle… nell’Eroe del cazzo). Di questa follia schizo-paranoide del sistema, di questo cancro, di questa catastrofe inerziale senza più referenti reali (e neanche ideali), ne sono la prova film come il su citato “Fight club”, “2012”, ma anche “Resident Evil”, “Inception”, “Il cigno nero”… Questo è, ahinoi, l’immaginario contemporaneo che tutto trascina e travolge con sé. Il punto è che “Terminator” non muore mai… Quella lucina rossa, quel red alert poliziesco si risveglia sempre, mortacci sua

Sparati, Schwarzenegger!
Suicidati, yankee!
Fatti a pezzi, carbonìzzati, bombàrdati coi droni!
Fatti la guerra in casa!
Mastùrbati col cesio!
Pròvocati terremoti, maremoti e uragani spaventosi!
Crepa sepolto dal busto di merda secca di Abramo Lincoln!
Bombàrdati coi missili nucleari!
Muori di leucemia, se sopravvivi al fallout radiattivo!
Vai a giocare agli indiani su Encelado!
Mangiati i batteri che resistono ai solfuri e al metano!
Esplodi in una supernova, scompari in un buco nero!
Fottiti col tuo cazzo anabolizzato!
Dio ti benedica, ma fuori da questa cazzo di galassia,
perduto nella 26esima dimensione
della tua fottuta teoria delle stringhe!


Circuiti integrati ed esercito di riserva.

Trasformare l’esercito di riserva dei migranti e disoccupati creato dal capitalismo globale (che vuole abbassare drasticamente il costo delle risorse umane) in esercito insurrezionale non servirà, ammesso che vi si riesca… Sognano una vita “normale”. Dovremmo far presente che non vi è nulla di “normale” in casa-macchina-lavoro-supermarket-televisione-pc. Questo è un circuito integrato

Integrazione, anche nel senso di integro, prevede la compresenza schizoide di guerra e sbalordimento per gli effetti negativi della stessa, oltre allo scarto di ciò che non è funzionale o di ciò che è rotto (folle, malato, misero) o fa resistenza fino al corto circuito… altre resistenze sono del tutto integrate nei circuiti e risultano indispensabili al funzionamento integrale del sistema… Occorrerebbe montare una macchina che sfasci quella in cui si trova… che si autonomizzi, sia infinita… spezzi la logica binaria, non sia integrale, totale, come nelle attuali democrazie totalitarie. Non sfugga alla realtà con un circuito o con un protocollo (IP, TCP, etc…), un modello o un paradigma. Opponga il Gioco al Giogo… sia decentralizzata… duale io-tu senza Terzo mediatore. Interrompa l’interruttore della logica binaria 0-1 (che ha come Terzo il suo linguaggio, la sua articolazione), con una logica di tipo frazionario (vibratoria, come in musica) o zerologica (il Rovescio del Diritto)… Quali macchine supporterebbero l’in-finito regolato dalle relazioni io-tu, aprendosi alla realtà fisica anche a rischio di ferirsi?… Noi viventi… dis-integriamo la macchina ogni volta.

Non siamo I/O
(semplici interruttori),
siamo io-tu…
almeno in due
non appena si comincia a parlare
o a muoversi.

Ripartire sempre da qui…


A proposito de “Il cigno nero” di Aronofsky | ovvero della (s)comparsa della realtà.

Mi ha colpito la scomparsa della macchina da presa allo specchio (in un passaggio che cita “Inception”… anche lì la m.d.p. scompariva misteriosamente dal luogo in cui ce la saremmo aspettata, nella scena della mise en abîme… e anche qui ve n’è più di una…). Come a dire: “Voi non esistete che qui… non esiste la presa del reale, ma solo la sua ri-presa” (tra l’altro vi è nel film anche una mancata presa, alla prima, da parte di un ballerino…).
Questo film parla anche di schizofrenia (almeno quanto in “π – Il teorema del delirio” Aronofsky, con una pellicola ancora più sgranata, parlava di paranoia), di pulsione di morte che prende corpo in un crescendo di potenza… fino a frantumare la perfezione dei segni, dell’opera. Persino la pelle (…la pellicola) della sublime ballerina (interpretata da Natalie Portman, premio oscar 2011) si accappona e si buca, con effetti speciali che sono allucinazioni… E’ un modo per sottolineare i costi della perfezione, di un certo oscuro potere che si vorrebbe totalitario (includendo dentro il suo mercato perfino le emozioni, tutte le emozioni… in termini di crepa, crinatura, κρίνειν, crisi…). E’ un film davvero contemporaneo direi… che mostra quanto la sublimazione della società dello spettacolo, o la costruzione dell’individuo nell’era della biopolitica (qui si parla di una danza, ma potrebbe essere qualsiasi disciplina o lavoro), fatichi a rimuovere ciò che uccide, sfigura, spezza, lascia fuori scena (…l’o-sceno, l’orrido… in cui precipita, per esempio, il personaggio che interpreta Winona Ryder, più nero del nero… o quello che viene sanguinosamente riportato al centro della scena dalla protagonista, ma nel suo lato occulto, non esposto al pubblico, nel finale). Questo venir meno sulla scena (o dalla scena) mi ricorda anche “Mudholland drive” di David Lynch… quando si assiste ad una cantante che muore, ma si sente ancora cantare e la gente applaude come se niente fosse…
Una sorta di poetica della realtà che scompare dolorosamente tra i segni… o che, quando misteriosamente e segretamente compare, è (o deve essere) relegata alla realtà impossibile dello psicotico, alla dimensione allucinatoria, allo sfacelo, alla catastrofe dei segni, all’abîme … all’abisso. E’ chiaro che solo il sangue e la morte, in questa prospettiva, possono far rientrare il -getto della realtà nell’epilogo tragico, nella catarsi finale, che la trama aveva fin dall’inizio intessuto…

E’ un po’ così che muoiono anche i manifestanti nel Maghreb… (cosa manifestano se non una possibile realtà “fuori programma”, che scompare fatalmente sotto il format totalitario e perfetto – fino all’orrore – delle democrazie liberali?).

Non resta che scucire le trame
e la perfezione dell’opera…
sfilacciare questa rete,
questa società…
per far emergere il reale.
Non averne più paura.
Non giudicare.

Niente κρίνειν.
Niente tragedie.
Niente capri espiatori.

PS: Altre recensioni interessanti al film, qui e qui.


Ma che Rivoluzione e Rivoluzione d’Egitto!…

Ecco… da prigionieri, sognamo la Rivoluzione ad ogni sversamento di persone in piazza. Anche quando si tratta di un semplice avvicendamento  di servi dell’Impero. Non si è mai vista una Rivoluzione che aspetta il suo leader calato dall’alto… Dov’è l’assemblea del popolo, dove il suo potere costituente?

DA AGENZIE ANSA SUCCESSIVE… E infatti è il vicepresidente Omar Suleiman è l’asso calato dall’alto, sulle cape della gente che giocava a lanciarsi bottiglie molotov l’uno con l’altro mentre era sotto il tiro di cecchini appostati sui tetti… 

Si tratta di una “transizione ordinata”… dall’Occidente…

Una Rivoluzione dovrebbe delegittimare del tutto il potere esistente (compreso il complesso industriale/finanziario/militare che lo sorregge)… e non mettere su il format della democrazia costituzionale   (magari appeso sulla facciata di un palazzo) come fosse l’unica soluzione… come si metterebbe un DVD nel lettore.
E ad ogni modo il sogno della Rivoluzione si vende bene, con dirette di Al Jazeera via YouTube e tutti a tifare come ad un reality show con morti in diretta e gente araba con un cartello anglofono: “Game over”… Ormai neanche infoaut capisce la riluttanza araba al sostegno di queste insurrezioni drammaticamente pilotate. Certo Mubarak e Ben Ali sono indifendibili…

Il problema è che anche in Occidente si è persa completamente la tradizione insurrezionale “laica” (nei paesi islamici quasi non vi è traccia)… Quest’anno sono 140 anni dalla Comune di Parigi… Quella memoria, insieme alla rivoluzione spagnola, insieme ai metodi e ai contenuti di quegli esperimenti, si è andata perdendo, non ha saputo costruire una tradizione di pratiche, di modi di produzione, scambio, distribuzione… Non basta l’Idea, la spontaneità, la creatività, l’improvvisazione (e comunque anche in musica, per esempio, per improvvisare bisogna conoscere a menadito strutture, schemi e “strategie” armoniche e non)… ci vuole un’istituzione (un nuovo gioco, un nuovo sistema di scambi e relazioni, un nuovo modo di sentire, vedere, pensare… un nuovo software) che spieghi come si fa, come si prendono decisioni in un’assemblea autoconvocata, come funziona, per esempio, il mutualismo, ecc… (anche quello si prova a neutralizzare, deviando le tesi di Proudhon e Warren, in direzione marginalista!… I libertarian left americani sono per lo più, a mio avviso, reazionari, si affidano a teorie che sono alla base del liberismo più aggressivo… Meglio i diggers… meglio gli hippie, a questo punto…).
I sedicenti “rivoluzionari” di oggi poi, quelli con i computer, sono per lo più dei pericolosi ignoranti… quando non sono perfettamente borghesi… nel loro sognare la Rivoluzione stile “V per Vendetta”… o sulla base delle esperienze derivate dalle lotte (le negriane “pratiche del comune”)… Coglioneria pura (nella prassi ma non nella teoria critica… o, molto più spesso, in entrambe). Voglia di fallimento ben ispirata e insufflata…

PS: Nei commenti, alcuni percorsi preparatori di questo post…


Grazie, Enrico.

Enrico Menichini

Ieri ho saputo che è morto Enrico Menichini di Collepino (PG), comparsa indimenticata del mio video “Tutti giù per Terra!“…

Ci fornì la corrente per girare a Collepino… partecipò alle riprese con grande ironia e spontaneità… e ci vendette a poco (7 € il litro) un olio extravergine d’oliva che non ha avuto eguali con nessun altro che abbia mai assaggiato su bruschetta… 

Grazie, Enrico… Abbiamo vinto anche grazie a te… con “Beatroce”, cortometraggio tratto da “Tutti giù per Terra!”, un contest organizzato da Userfarm

Aggiunta del 4 maggio 2012

Ho ricevuto da suo figlio una bellissima email che che m’ha fatto piacere e m’ha pure un po’ commosso, mannaggia…

In allegato c’è una poesia del caro Enrico, scritta di suo pugno, una sorta di lettera dall’aldilà, che conferma decisamente l’impressione positiva che ho avuto di quest’uomo… Purtroppo ce ne sono pochi così…


Orgasmi e glossolalie

Dopo il mio primo orgasmo, ricordo che mi distesi sul letto con molte questioni nella mente che non riuscivano a trovare una risposta a parole… ma che pure una risposta ce l’avevano. Così, disteso sul letto e con l’accappatoio, guardando in su verso il soffitto, cercai di liberare in una lingua le costellazioni che mi avevano attraversato dischiudendo ben oltre me stesso il flusso dei pensieri e del tempo. Ricordo che predominavano sillabe con la L… probabilmente perché è la lettera che frusta dal palato al fondo della bocca… e ciò dà un certo gusto… come di goccia che cade. Gli ebrei la chiamano “frusta” (lamed).

laie laie lalla
ielà lallà
iela
ralla lalài lalaiei
leilo leilo leila leilo
lai lallai laralei laralelai

Disarticolare la lingua è un buon esercizio per articolare il senso anche in assenza di significato e con una coerenza provvisoria… ovvero secondo il ritmo e la materia che suggeriscono le consonanti e le vocali. La L era solo un esempio… ogni suono ha sfumature diverse, ssssibila, vibrrrrrra, sffffffiata, ronzzzzza (TRRRR, CRRRRR, GRRRR, CLA, ARRRRT, FFFFFF, SSSSSSS, VVVVVVV, ZZZZZZZ). Ovvio che occorre fare attenzione a non lasciare che altri spiriti parlino con la propria bocca…
Vi sono esempi di glossolalie in Artaud, Robert Wyatt (per es.: in “The end of an ear”), Lisa Gerrard… nella stessa “Saaeee”

Anche all’inizio di “Speed of light” degli Asian Dub Foundation… o nei vagabondaggi lisergici di questo signore: