(Con)siderazioni sulla “guerra civile” e la “guerra chimica”
SQUADRE DI DEMOLIZIONE
Le città (come Damasco ora o Sarajevo in passato) in cui si svolge quello che chiamano “guerra civile” sembrano un immenso cantiere con squadre di demolizione che pianificano il loro lavoro. Le esplosioni non sono mai ovunque, ma solo dove serve. E’ guerra di condomini, di cittadini che insistono a voler essere cittadini, misti a operai demolitori sul campo (comunque contractors, anche se si tratta di eserciti nazionali…) molto poco raccomandabili… messi apposta per convincere i pervicaci cittadini a mollare, ad andarsene, a cedere quel pezzetto di proprietà privata che avevano prima. Una volta finito il lavoro si farà una tregua più o meno duratura, si sminerà e si ricostruirà… per questo si fanno gli edifici in cemento armato. Il metallo si può riciclare, il cemento si sgretola in nubi di polvere. E’ un materiale fatto apposta per essere distrutto e rimpiazzato… Basta un bulldozer e via… altre colate, altre merci, ricchi premi e cotillons… speranze, sorrisi, bambini… e poi ancora booooom, badabang, ratatatatatatata…
Quel che voglio dire è che la “guerra civile” non è una cosa così diversa da quello che succede in qualsiasi città. A Damasco si usano solo metodi più sbrigativi. E’ una questione di urgenza, di fretta dei costruttori di cose che per essere costruite devono necessariamente distruggerne altre, persone comprese. Qua ce la si prende con più calma. Ma anche qui ci sono case e persone distrutte, tendenti al crollo. Basta osservare meglio gli sguardi e le crepe… Qui prevale il perfido porfido. Nero come le carogne. Buono per le sassaiole. In fondo siamo sopra al Vulcano Laziale…
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INTERCETTAZIONI TELEFONICHE
Uno statunitense parla con un italiano.
– Cioè, forse non avete capito… La guerra in Iraq è finita da tempo, in Libia è durata troppo poco ed è stata solo di aria, per quanto ci riguarda… Nel frattempo abbiamo costruito armi di tutti i tipi… se non svuotiamo i magazzini, prima o poi la nostra industria bellica si ferma, il PIL cala… Se non possiamo bombardare la Siria, dobbiamo bombardare qualcos’altro… Siamo parte essenziale del processo… Se fermate la distruzione, potete scordarvi la “crescita”…
– Potreste bombardarvi da soli, ma prima occorre una apposita riforma strutturale di qualche emendamento… Anzi, visto che ci siamo, facciamo prima noi questo esperimento… cambiamo qualche articolo della costituzione… aggiungiamo qualche leggina… e poi fanculo Isernia!
– Eh, sì… senza contare che è pure pericoloso avere gli arsenali pieni… Da qualche parte tocca svuotarli… Vediamo il lato positivo: sarà una festa di luci!… illumineremo la notte a giorno!…
– Ahahahahah! Voi sì che siete “illuministi”!
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“GUERRA GIUSTA” AD USO INTERNO
Del resto anche a noi ci gasano con i pesticidi, gli inceneritori, le raffinerie, le acciaierie, le cokerie, ecc… è solo un processo un po’ più lento e omeopatico.
L’ONU, per (sua) logica, dovrebbe dare il via libera per una “missione di pace” contro l’ILVA di Riva o cose così… (violato l’ultimo confine, quello della differenza tra fronte interno ed esterno, come si può leggere tra le righe di un famoso discorso di un noto Nobel per la Pace alla riscossione del premio, questo dovrebbe accadere…).
Ah… e i gas di scarico dei veicoli a motore, il fumo delle sigarette?… sono la forma più decentralizzata di guerra chimica.
Forse c’è una “verità” più semplice: ci odiamo e vogliamo morire.
(…Questo accanto e dentro “ci amiamo e vogliamo vivere”).
L’ANTI-EDIPO E LA PULSIONE DI MORTE
“La questione per chi non crede in Dio sta nell’obbedire alla propria coscienza”.
(Papa Francesco I)
(Ovviamente non sono d’accordo con la questione di coscienza punibile, risentita e cristiana che vorrebbe universalmente porre il Papa…).
Secondo Deleuze e Guattari (ne l’Anti-Edipo, paragrafo: La rappresentazione barbarica o imperiale, che cito qui, in esergo, e continuo qui sotto, dopo i versi e i gatti intorno al buco…) era una “macchina dispotica” interiorizzata, una macchina repressiva a rendere violente (risentite perché rimosse-represse) le macchine desideranti… dal momento che egli tendeva a neutralizzare in un ipotetico corpo pieno del Desiderio la “pulsione di morte” (connotandola appunto come un effetto della vendetta del despota che imponeva i suoi codici linguistici, la sua surcodifica dei corpi, triangolava con madre e sorella contro qualsiasi manifestazione di risentimento… o come un effetto della triangolazione edipica successiva che triangolava con mamma-papà, in pieno ressentiment cristiano)… Non mi sembra affatto così. Non è solo una questione di despoti o di edipi accecati, castrati… è proprio che non si gode senza morte. Non c’è niente di pieno né sul versante del piacere, né su quello del dolore. Vivere e morire, memorizzare e dimenticare, sono processi simultanei… anche senza quell’eccesso surcodificante, dispotico e repressivo di cui Deleuze scrive. La pulsione di morte, a mio avviso, non è questione di “latenza” (di colpi a vuoto, di rimozione e repressione)… è ben scandita e modulata… è nel ritmo che ci attraversa, che solca anche gli orgasmi. Si gode a reprimere, si gode a rimuovere, si gode a liberarsi, si gode ad uccidere, si gode comunque… modulando le pulsazioni velocemente o ritenendole… accumulandole il più possibile, nel caso dell’economia capitalista, per accentrare potere e accrescere il potenziale (di riserva e sperpero)… gestendo i flussi sia nella distruzione che nella prosperità, a valle come a monte… evitando come la peste l’equilibrio, il pareggio, il Grande Zero centrale (sogno riconciliante, immobilizzante e concentrazionario di marxisti e fourieristi, per Lyotard… ma anche dio nascosto ebraico, motore immobile aristotelico, ecc…), il buco nero da cui fuggono tutti i simulacri e tutti i discorsi, compreso questo, come accade tra i bracci di una vertigine galattica.
Tendimi la mano
e facciamo surf
sull’onda cosmica.
Il centro non tiene,
il centro non c’è.
Restiamo qui, sospesi
a modulare i campi,
da bravi hortolani.
Con il grassetto sottolineo i temi chiave, con il rosso i punti di divergenza con quel che penso.
La legge non comincia con l’essere ciò che diverrà o pretenderà di diventare più tardi: una garanzia contro il dispotismo, un principio immanente che riunisce le parti in un tutto, che fa di questo tutto l’oggetto d’una conoscenza e di una volontà generali, le cui sanzioni non fanno che derivare per giudizio e applicazioni sulle parti ribelli. […] La legge non fa conoscere nulla e non ha oggetto conoscibile, il verdetto non preesistendo alla sanzione, e l’enunciato della legge non preesistendo al verdetto. L’ordalia presenta questi due caratteri allo stato puro. […] E’ la sanzione a scrivere e il verdetto e la regola. Il corpo ha un bell’essersi liberato dal grafismo che gli era proprio nel sistema della connotazione; esso diventa ora la pietra e la carta, la tavola e la moneta su cui la nuova scrittura può segnare le sue figure, il suo fonetismo, il suo alfabeto. Surcodificare, questa è l’essenza della legge e l’origine dei nuovi dolori del corpo. Il castigo ha cessato di essere una festa, donde l’occhio trae un plusvalore nel triangolo magico di alleanza e filiazione. Il castigo diventa una vendetta, vendetta della voce, della mano e dell’occhio ora riuniti nel despota, vendetta della nuova alleanza. […]
Vendetta, e come vendetta che si esercita in anticipo, la legge barbarica imperiale schiaccia tutto il gioco primitivo dell’azione, dell’agito e della reazione. Occorre ora che la passività diventi la virtù dei soggetti attaccati al corpo dispotico. Come dice Nietzsche, quando appunto mostra come il castigo diventi una vendetta nelle formazioni imperiali, bisogna che “una prodigiosa quantità di libertà sia scomparsa dal mondo, o almeno scomparsa agli occhi di tutti, costretta a passare allo stato latente, sotto l’urto dei loro colpi di martello, della loro tirannia d’artisti…”. Si produce un’esaustione dell’istinto di morte, che cessa di essere codificato nel gioco di azioni e di reazioni selvagge ove il fatalismo era ancora qualcosa di agito, per diventare il cupo agente della surcodificazione, l’oggetto staccato che plana su qualcuno, come se la macchina sociale si fosse sganciata dalle macchine desideranti: morte, desiderio del desiderio del despota, latenza iscritta nel profondo dell’apparato di Stato. Piuttosto che un solo organo si svincoli da quest’apparato, o scivoli fuori dal corpo dispotico, non ci saranno sopravvissuti. In realtà, non c’è più altra necessità (altro fatum) tranne quello del significante nei suoi rapporti con il significato: tale è il regime del terrore. Quel che si suppone la legge significhi, non lo si conoscerà che più tardi, quando si sarà sviluppata ed avrà assunto la nuova figura che sembra opporla al dispotismo. Ma, sin dall’inizio, essa esprime l’imperialismo del significante che produce i suoi significati come effetti tanto più efficaci e necessari in quanto si sottraggono alla conoscenza e devono tutto alla loro causa eminente. […] Ma tutto questo, lo sviluppo del significato democratico o l’avvolgimento del significante dispotico, fa tuttavia parte della questione, ora aperta ora sbarrata, identica astrazione continuata, o macchinario di rimozione che ci allontana sempre dalle macchine desideranti. Non è mai esistito che un solo Stato. A cosa serve? sfuma sempre più, e scompare nelle brume del pessimismo, del nichilismo, Nada, Nada! […] L’istinto di morte è, nello Stato, ancor più profondo di quanto non si credesse, e che la latenza non solo travaglia i soggetti, ma è all’opera nei congegni più elevati. La vendetta diventa quella dei soggetti contro il despota. Nel sistema di latenza del terrore, ciò che non è più attivo, agito o reagito, “ciò che è reso latente dalla forza, rinserrato, rimosso, rientrato all’interno”, è ora risentito: l’eterno risentimento dei soggetti risponde all’eterna vendetta dei despoti. […]
Hanno fatto passare tutto allo stato latente, i fondatori di imperi; hanno inventato la vendetta e suscitato il risentimento, questa controvendetta. E tuttavia Nietzsche dice ancora di loro quel che diceva già del sistema primitivo: non è presso di loro che la “cattiva coscienza” – intendiamo Edipo – ha attecchito e si è messa a spuntare, l’orribile pianta. Solo, è stato fatto un passo in più in questo senso: Edipo, la cattiva coscienza, l’interiorità, essi li ha resi possibili… […] E’ certo la storia del desiderio e la sua storia sessuale (non ce ne sono altre). Ma tutti i pezzi qui funzionano come congegni dello Stato. Il desiderio non opera certo tra un figlio, una madre e un padre. Il desiderio procede ad un investimento libidinale di una macchina di Stato, che surcodifica le macchine territoriali, e, con un giro di vite supplementare, rimuove le macchine desideranti. L’incesto deriva da questo investimento, non il contrario, e non mette in gioco dapprima che il despota, la sorella e la madre: è lui la rappresentazione surcodificante e rimovente. Il padre non interviene che come rappresentante della vecchia macchina territoriale, ma è la sorella il rappresentante della nuova alleanza, e la madre il rappresentante della filiazione diretta. Padre e figlio non sono ancora nati. Tutta la sessualità è in gioco tra macchine, lotta tra esse, sovrapposizione, muratura. Stupiamoci una volta di più della narrazione portata da Freud. In Mosé e il monoteismo, egli avverte certo che la latenza è affare di Stato. Ma allora essa non deve succedere al “complesso di Edipo”, segnare la rimozione del complesso o addirittura la sua successione. Essa deve risultare dall’azione rimovente della rappresentazione incestuosa che non è per nulla ancora un complesso come desiderio rimosso, perché al contrario essa esercita la sua azione di rimozione sul desiderio stesso. Il complesso di Edipo, come lo chiama la psicanalisi, nascerà dalla latenza, dopo la latenza, e significa il ritorno del rimosso nelle condizioni che sfigurano, spostano ed anzi decodificano il desiderio. Il complesso di Edipo non appare se non dopo la latenza; e quando Freud riconosce due tempi da essa separati, solo il secondo merita il nome di complesso, mentre il primo non ne esprime che i pezzi e i congegni che funzionano da un tutt’altro punto di vista, in tutt’altra organizzazione. E’ questa la mania della psicanalisi con tutti i suoi paralogismi: presentare come risoluzione o tentativo di risoluzione del complesso ciò che ne è l’instaurazione definitiva o l’installazione interiore, e presentare come complesso ciò che ne è ancora il contrario. Cosa occorrerà infatti perché l’Edipo diventi l’Edipo, il complesso di Edipo? Molte cose in verità, quelle stesse che Nietzsche ha parzialmente presentito nell’evoluzione del debito infinito.
Bisognerà che la cellula edipica termini la sua migrazione, che non si acconsenta a passare dallo stato di rappresentazione spostato allo stato di rappresentazione rimovente, ma che, da rappresentazione rimovente, diventi infine il rappresentante del desiderio stesso. E che lo diventi a titolo di rappresentante spostato. Bisognerà che il debito diventi non solo debito infinito, ma che come debito infinito venga interiorizzato e spiritualizzato (il cristianesimo e quel che segue). Bisognerà che si formino padre e figlio, cioè che la triade regale si “mascolinizzi”, come conseguenza del debito infinito ora interiorizzato [n.d.a. Gli storici della religione e gli psicanalisti conoscono bene questo problema della mascolinizzazione della triade imperiale, in funzione del rapporto padre-figlio che vi è introdotto. Nietzsche vi intravede a ragione un momento essenziale nello sviluppo del debito infinito: “Questo alleviamento che fu il colpo di genio del cristianesimo… Dio che paga a se stesso, Dio che riesce da solo a liberare l’uomo da ciò che per l’uomo stesso è diventato irremissibile, il creditore che si offre per il suo debitore per amore (chi lo crederebbe), per amore per il suo debitore!” (Genealogia della morale, II, § 21)]. Bisognerà che Edipo-despota sia sostituito da Edipi-soggetti, da Edipi-padri e da Edipi-figli. Bisognerà che tutte le operazioni formali siano riprese in un campo sociale decodificato e risuonino nell’elemento puro e privato dell’interiorità, della riproduzione interiore. Bisognerà che l’apparato repressione-rimozione subisca una riorganizzazione completa. Bisognerà dunque che il desiderio, finita la sua migrazione, faccia l’esperienza di questa estrema miseria: essere rivolto contro di sé, il rivolgimento contro di sé, la cattiva coscienza, la colpevolezza, che lo aggrega tanto al campo sociale più decodificato quanto all’interiorità più morbosa, la trappola del desiderio, la sua pianta velenosa. Finché la storia del desiderio non sperimenta questa fine, Edipo assilla tutte le società, ma come l’incubo di ciò che non è ancora capitato loro – l’ora non è ancora venuta”.
Hai letto? Beh… dimenticalo.
Anzi, ricordati anche di quest’altro passo (più condivisibile, sempre dall’Anti-Edipo), prima di dimenticare già quando riprende a parlare della staffetta comico-“futuristica” (patafisica come nella corsa dei ciclisti morti ne “Il Supermaschio” di Jarry) tra macchine desideranti (grassetti e link sono miei):
Il corpo senza organi è il modello della morte. Come han ben capito gli autori della letteratura del terrore, non è la morte a servire da modello alla catatonia, ma la schizofrenia catatonica a fornire il proprio modello alla morte. Intensità-zero. Il modello della morte appare quando il corpo senza organi respinge e depone gli organi – niente bocca, naso, denti… fino all’automutilazione, fino al suicidio. E tuttavia non c’è opposizione reale tra il corpo senza organi e gli organi in quanto oggetti parziali; la sola opposizione reale riguarda l’organismo molare che rappresenta il loro comune nemico. Si vede, nella macchina desiderante, lo stesso catatonico ispirato dal motore immobile che lo forza a deporre i suoi organi, ad immobilizzarli, a farli tacere, ma anche, spinto dai pezzi lavorativi che funzionano allora in modo autonomo e stereotipo, a riattivarli, a insufflare in essi movimenti locali. Si tratta di pezzi diversi della macchina, diversi e coesistenti, diversi nella loro stessa coesistenza. È perciò assurdo parlare di un desiderio di morte che si opporrebbe qualitativamente ai desideri di vita. La morte non è desiderata, c’è solo la morte che desidera, a titolo di corpo senza organi o di motore immobile, e c’è anche la vita che desidera, a titolo di organi di lavoro. Non si tratta qui di due desideri, ma di due pezzi, di due sorte di pezzi della macchina desiderante, nella dispersione della macchina stessa. Tuttavia, il problema sussiste: come possono funzionare insieme? Non si tratta ancora di un funzionamento, ma solo della condizione (non strutturale) d’un funzionamento molecolare. Il funzionamento appare quando il motore, nelle condizioni precedenti, cioè senza cessare di essere immobile e senza formare un organismo, attira gli organi sul corpo senza organi, e glieli attribuisce nel movimento oggettivo apparente. La repulsione è la condizione di funzionamento della macchina, ma l’attrazione è il funzionamento stesso. Che il funzionamento dipenda dalla condizione, risulta evidente per il fatto stesso che tutto questo non funziona se non guastandosi. Si può dire allora in cosa consistano questo andamento o questo funzionamento: si tratta, nel ciclo della macchina desiderante, di tradurre costantemente, di convertire costantemente il modello della morte in qualcosa di assolutamente diverso, l’esperienza della morte. Di convertire la morte che sale dal didentro (nel corpo senza organi) in morte che arriva dal difuori (sul corpo senza organi).
Ma sembra che l’oscurità si infittisca: cos’è infatti l’esperienza della morte, distinta dal modello? Si tratta ancora di un desiderio di morte? Di un essere per la morte? Oppure di un investimento della morte, magari speculativo? Niente di tutto questo. L’esperienza della morte è la cosa più consueta dell’inconscio, appunto perché ha luogo nella vita e per la vita, in ogni passaggio o in ogni divenire, in ogni intensità come passaggio e divenire. È caratteristico di ogni intensità investire in un attimo in se stessa l’intensità — zero a partire da cui è prodotta come ciò che cresce o diminuisce in un’infinità di gradi (come diceva Klossowski, «un afflusso è necessario solo per significare l’assenza di intensità»). Abbiamo cercato di mostrare, in questo senso, come i rapporti di attrazione e di repulsione producano stati, sensazioni, emozioni tali che implicano una nuova conversione energetica e formano il terzo tipo di sintesi, le sintesi di congiunzione. Si direbbe che l’inconscio come soggetto reale abbia fatto sciamare su tutto il contorno del suo ciclo un soggetto apparente, residuale e nomade, che passa attraverso tutti i divenire corrispondenti alle disgiunzioni incluse: ultimo pezzo della macchina desiderante, pezzo adiacente. Sono questi divenire e questi sentimenti intensi, queste emozioni intensive ad alimentare deliri e allucinazioni. Ma, in se stesse, esse sono quel che più si accosta alla materia di cui investono in sé il grado zero. Sono esse a condurre l’esperienza inconscia della morte, in quanto la morte è ciò che è sentito in ogni sentimento, ciò che non cessa e non finisce di succedere in ogni divenire — nel divenire-altro sesso, nel divenire-dio, nel divenire-razza, ecc., formando le zone d’intensità sul corpo senza organi. Ogni intensità affronta nella sua propria vita l’esperienza della morte, la avvolge, e certamente, alla fine, si spegne; ogni divenire diventa esso stesso un diveniremorto! Allora la morte giunge effettivamente. Blanchot distingue bene questo duplice carattere, questi due aspetti irriducibili della morte, l’uno nel quale il soggetto apparente non cessa di vivere e di viaggiare come Si, «non si cessa e non si finisce mai di morire», l’altro in cui lo stesso soggetto, fissato come Io, muore effettivamente, cioè cessa alla fine di morire poiché finisce col morire, nella realtà d’un ultimo istante che lo fissa cosi come Io disfacendo l’intensità, riconducendola allo zero ch’essa avvolge. Da un aspetto all’altro non c’è affatto approfondimento personologico, ma tutt’altro: c’è ritorno dell’esperienza di morte al modello della morte, nel ciclo delle macchine desideranti. Il ciclo è chiuso. Per una nuova partenza, poiché Io è un altro. Bisogna che l’esperienza della morte ci abbia appunto dato abbastanza esperienza allargata, perché si viva e si sappia che le macchine desideranti non muoiono. E che il soggetto come pezzo adiacente è sempre un «si» che conduce l’esperienza, non un Io che riceve il modello. Il modello stesso infatti non è maggiormente l’io, bensì il corpo senza organi. E Io non raggiunge il modello senza che il modello, di nuovo, riparta verso l’esperienza. Andare sempre dal modello all’esperienza e ripartire, ritornare dal modello all’esperienza: schizofrenizzare la morte, è questo l’esercizio delle macchine desideranti (il loro segreto, ben compreso dagli autori del terrore). Le macchine ci dicono questo, e ce lo fanno vivere, sentire, più profondamente del delirio e più lontano dell’allucinazione: sì, il ritorno alla repulsione condizionerà altre attrazioni, altri funzionamenti, l’avvio di altri pezzi lavorativi sul corpo senza organi, la messa in opera d’altri pezzi adiacenti al contorno, che hanno altrettanto diritto di dire Si quanto noi stessi. «Crepi nel suo balzo per mano di cose inaudite e innominabili; altri orribili lavoratori verranno; e cominceranno dagli orizzonti ove l’altro si è accasciato». L’eterno ritorno come esperienza, e circuito deterritorializzato di tutti i cicli del desiderio.
Valeriomelìa
E insomma, a scanso di equivoci, affermiamolo in modo definitivo:
– Non siamo “persone”…
– Non esiste un’anima individuale o indivisibile (non esiste un anima, punto)… animelle? No, forse non ci siamo s-piegati…
– Non c’è differenza, barra di-visiva, significante, tra movimenti animali e moti dell’anima, ma continuità, come su un nastro di Moebius… ci si dividua e, solo dopo che ci si è piegati, ci si s-piega, ci si individua…
– Come in ogni labirinto (anche impossibile, mutevole), è il percorso che fa la conoscenza, non la conoscenza che fa il percorso.
– Capito coglione di un Teseo? al centro non c’è nessuna Bestia Mugghiante da uccidere… Hai perso il filo di Arianna, il filo della spada di castra-tori, il filo del desiderio e del discorso tutto insieme? Tu sei il labirinto che si piega e si s-piega, si apre e si chiude… continuamente. Tu sei un campo di battaglia.
– Che stavamo dicendo?
[…]
– Lo diciamo una volta per tutte: non c’è niente di amorevole o razionale che tiene in vita l’universo… Amore, Ragione, Vita e Universo sono le più abusate e patetiche illusioni… tutte varianti, come anche l’Unità, la Totalità, della più grande delle menzogne, della Verità… Si fa di tutto per mantenere in vita artificialmente i rimasugli di umanesimo e antropomorfismo degli indivisibili individui spacciatori di religioni e dei seminatori di culture o colture infestanti… Siamo uno scherzo della natura, ripiegato, invaginato, annodato in uno degli infiniti eventi locali senza leggi assolute, un gioco miserabile, comunque di-vertente, che molti si ostinano a prendere per incontrovertibile, totale, unico, circondandolo di gendarmi e difendendolo fino alla morte… contro “se stesso”!…
DE SIDEREO
(da leggere come un rap…)
urano urano
distilla le stelle
nascoste dal cielo
celeste d’azoto
dài tempo al Tempo
che falcia le stelle
che falcia le palle
con falce di luna
cade rabbioso
lo sperma salino
lo sperma di sole
nitrito di Furie
(coro)
de sidereo
de sidereo
de sidereo
de sidereo
sale dal mare
la figlia del cielo
puttana celeste
nutrita di vento
vento diviene
venere viene
venere cola
genera-idrata
dall’H, migliaia
dall’H, milioni
dall’H, miliardi
diurna diana
saetta di zoo
saetta di zeus
saetta di zero
elettricità
spina di rosa
goccia di sangue
mele granate
mele spaccate
(coro)
de sidereo
de sidereo
de sidereo
de sidereo
Sesso d’osso
“Perché sei tu silente ed invisibile,
Padre di Gelosia?
Perché ti celi in nuvole
A ogni occhio che ti cerchi?”
(da To Nobodaddy di William Blake)
“Padre di Gelosia, sii tu maledetto dalla terra!”
(da Visioni delle figlie di Albione di William Blake)
Quando in psicanalisi si parla di castrazione si deve intendere non tanto il gesto minaccioso dell’evirazione, quanto l’autonomizzarsi del (significante del) desiderio come cosa che procede da sé, come feticcio animato, posseduto da un demone… che non appartiene più al corpo vivo del maschio… e nemmeno a quello della femmina che lo usa, lo accoglie, lo rifiuta, ecc… è volatile, è un uccello, c’è e non c’è, si drizza e s’ammoscia… effimero e accecante come il Sole che (così come inebria la Pizia) spegne ogni ragione, polverizza il senso in indizi, tracce, seme… accecante anche per il mal-occhio… simbolo apotropaico contro la malasorte, la sterilità… insorgenza demoniaca da un basso dionisiaco che è anche l’alto apollineo (orgasmo verso il Cielo che fa precipitare Icaro, erezione della ‘Torre babelica dei tarocchi abbattuta dall’ayin, occhio severo, saetta di Dio, al culmine di un’ambivalente e smisurata competizione fallica che avrebbe voluto significare tutto una volta per tutte e che invece prolifera in moltitudini di sensi, li semina come sabbia, si stratifica, si ramifica, si protende, si ritrae, confondendo lingue e strutture, all’in-finito). Equivalente generale di tutti i simboli, monumenti, immagini del corpo allo specchio, persone o statue in piedi, glifi, lettere dell’alfabeto, spighe di grano, alberi genealogici, ecc…
Son cazzi simbolici, cazzi platonici… sono un’idea del cazzo…
Se andiamo all’osso, allo scheletro, non c’è più traccia di sesso… né maschio, né femmina, né eretto, né a riposo… solo sesso d’osso. Ecco, questo mi convince di più… a dispetto dello gnostico Blake, inorridito (ed estasiato) dalla Divisione, dalla scissione nella materia:
In un orribile riposo pieno di sogni,
come l’inanellata catena infernale
una vasta Spina dorsale si contorse tormentata
dai venti, Costole urlanti di dolore,
come una caverna piegata;
e ossa di solidità si gelarono
sopra tutti i suoi nervi di gioia.
Ed una prima età passò,
ed uno stato di cupo dolore.
(da Il primo libro di Urizen di William Blake)
Sesso d’osso.
Divenire-osso del sesso.
Senza vuoti o economia del vuoto.
Risonanza di morte, di vita.
De-capitalismo | …come impedire l’Apocalisse
– Si fa presto a distruggere e criticare… il punto è che voi non avete un modo di produzione da proporre…
– Certo che ce l’abbiamo… è il DE-CAPITALISMO.
C’è chi suggerisce di lavorare meno… In effetti, che senso ha lavorare alacremente per il nulla speculare (o rifratto che sia)? è solo cedere ai ricatti… Ma come ricostruire con degli zombie assuefatti ai lavori forzati un processo di produzione dif-ferente o di-vertente? è quasi impossibile… Forse sono discorsi elitari i miei (o subliminali, operanti in una particolare faglia di questa produzione non più segmentata, ma stratificata, se non labirintica)… destinati probabilmente allo sfacelo in questo momento storico… ma molto resistenti, direi all’infinito… Speriamo che Babilonia cada così in fretta da non avere il tempo di correre ai ripari… (ma il vero scopo degli anti-apocalittici dovrebbe essere quello di impedire il giudizio universale e la seconda venuta di un Caput solare, untuoso, sanguinante e splendente di finzioni come nei Giovanni Battista dei quadri di Gustave Moreau…).

Nei dipinti di Moreau scorgo (nonostante le intenzioni dello stesso pittore, suppongo…) una visione ironica del capitale, della “Grande Testa”, come la chiamava Lyotard, un doppio simbolico dei processi (mitemente contrattuali a dispetto dei loro contenuti sacrificali o dei poteri esecutivi che li difendono) di valorizzazione del lavoro morto o della dismisura del plusvalore (pseudo-cristico, comunque solare, aureolato… luccicante come una moneta) estratto… Ecco, in una prospettiva de-capitalista certe crudeltà (castrazioni, dualismi mente/corpo e rimozioni) dovrebbero permanere come uno spettro ed essere accuratamente evitate… Poi c’è anche un certo psicanalismo di maniera alla Julia Kristeva (“La testa senza il corpo”) da tenere comunque in considerazione (a pag.149 dell’opera citata, per esempio)…
SPALTUNG | digressione psicanalogica
Tra la “castrazione” orizzontale della decapitazione (che ritaglia gli in/dividui in una testa e un corpo separati, in un Io e un desiderio separati, nel caso della castrazione freudiana) e quella verticale della divisione longitudinale del corpo trovo più interessante la seconda… il fantasma del doppio (evocato dal taglio – impossibile? schizoide? – dell’unità in/divisibile) svela molto di più del fantasma psicanalitico dell’Io, del Genere, del Corpo Proprio o del Fallo e si estende abbondantemente al di là delle piccole sozzerie individuali… In questo caso, nessuna simmetria è possibile (nemmeno una disgiunzione metafisica che ritagli oggetti parziali come nella sapiente arte cinese della macellazione o nei meridiani dell’agopuntura)… non vi possono essere due Unità… Nessun doppio verticalmente scisso è uguale o simile alla matrice (cuore, stomaco, milza e pancreas da una parte, fegato dall’altra). Questa asimmetria comprende tutte le relazioni (e sfugge a qualsiasi rapporto… quello che segniamo con la barra “/” della divisione, della castrazione, ecc… e probabilmente non prevede nessun taglio o getto di sangue, ma solo la consapevolezza che, se sono divisibile, se le mia parti non combaciano e sono più dell’intero, se i miei organi non “sanno” di far parte di un individuo, se non vi sono organi ma solo l’inorganico eretto a vivente, non sono Io… non lo sono mai stato, né lo sarò mai).
schizo = dal greco schizein, che significa scissione, divisione.
Molto prima della divisione del lavoro e dell’alienazione (inventata dai paranoici dell’Ottocento) c’è un’altra divisione… che è, per così dire, psico-giuridica… è legata all’esistenza dell’anima (che è il fantasma psichico della proprietà privata).
(Dunque l’immortalità dell’anima sarebbe un tentativo delirante di conservare all’infinito patrimonio e proprietà…).
Marcia legalità (contro ignoti)
Questo post prende spunto, rendendolo ambivalente, dal titolone dell’Ansa “Studenti e bimbi a marcia legalità” (non so se rimarrà ancora per molto o lo cambieranno, per pudore…).
Vi è parecchia irrazionalità in tutto ciò… Come si può applicare la legge contro ignoti? E soprattutto, basta invocare un’astratta legalità, perché nessuno faccia più il cattivo? (neanche il cristianesimo è così idiota…). Chi è STATO parla? (di fatto agisce da funzionario di stato anche se non lo è). Perché mai l’ufficialità pubblica dovrebbe punire il suo privato, se poi ci si fonda su quest’ultimo, essendo il pubblico un’estensione su larga scala del privato? Insomma, come la giri e la volti, il diritto è schizo-paranoide… e la legalità marcia.
Magari se la cavano con la “legittimità”, che è più che altro un atto di forza (paranoide)… una performance culturale, cui dovrebbero seguire nuove leggi (leggi speciali, carcere duro, preventivo, ecc…), un’estensione (della coperta corta) della legalità. (Resta sempre qualche alluce scoperto… per principio… non si può legiferare fin nei villi intestinali).
Lo so, i culi più puliti, kelseniani, potranno obiettare che la legge non è espressione di una volontà particolare, ma coerenza normativa, un valore terzo, trascendentale… Io trovo che sia fascismo (*) truccato da valori condivisi, feticci democratici… che potranno astrarsi finché vogliono, ma sempre sull’uso della forza, in qualche modo, si basano (qui gli stessi termini della questione, ma disposti in un ordine diverso, più conforme al totalitarismo imperante… secondo l’autore, rassegnazione e sagaci paradossi a parte, il migliore dei mondi… – affermazione cool, ma in sostanza sovrapponibile persino al T.I.N.A. della Thatcher…). Certo… l’accesso random dell’applicazione di questa forza (la spada di Damocle invece di una sicura castrazione, come in un dispositivo feudale) fa sì che vi possa essere l’assenza dello stato (e del diritto) sulla gran parte dei corpi che questo delirio vorrebbe coinvolgere… ma anche la manifestazione potenziale di questo potere (per lo più) inesistente. La massima astrazione giuspositivista comporterebbe che lo stato divenga un pensiero delirante (dalla apparenza razionale ma inapplicato e inapplicabile, impotente, comico, con la sua tendenza tragica sempre risorgente da tenere comunque a bada… in effetti si può anche impazzire in senso paranoide e bisogna riconoscere i tratti e le tracce di questo pensiero… Su questo sarei più d’accordo… A quel punto sarebbe inutile la presenza di quello che chiamiamo “stato”… Bisognerebbe prima raccontare ai bambini favole anti-paranoia… Il punto è che non ce n’è neanche una… e l’intera produzione di fiction contemporanea è intrisa di questi deliri).
P.S.: Nella follia generale, anche il terremoto in Emilia sembra essere diventato qualcosa o qualcuno da arrestare…
(*) espressione di una volontà particolare (“partitica” nel senso del partito unico, impolitico, “tecnico”, economicistico, dei “mercati”, della rendita finanziaria, della Moneta) piuttosto presuntuosa. Sono sempre gli stessi borghesotti paranoidi (e un po’ feudali) che possono far valere i loro deliri politici (nel senso del fascismo propriamente detto) o economici (le formazioni politiche “democratiche” a regime capitalistico), a seconda…
Giornate dell’Oblio
Tra “giornate della memoria” dell’olocausto o delle foibe si tirano i morti da una parte o dall’altra a seconda delle convenienze… dimenticando che i lager ci sono tuttora in Italia e altrove anche oggi:
1) per gli zingari (grazie al sindaco Alemanno: “Maledetti campi abusivi” e richiesta di poteri speciali per le deportazioni nei campi di concentramento fuori Roma, mentre era tra le baracche ancora fumanti, poco dopo la morte in un incendio di 4 bambini zingari…),
2) per i migranti (qui si chiamano CIE… esternalizzati in Libia per le torture, ecc…),
3) per le donne uccise in casa a ritmo quasi quotidiano,
4) per i lavoratori che muoiono di lavoro, anche loro quotidianamente,
5) per i rifugiati e gli esuli morti in mare, mitragliati dalle motovedette libiche (la G.d.F. non vuole più salirci a bordo… non vuole vedere?),
6) per i palestinesi a Gaza,
7) per i terremotati abruzzesi, ecc…
Dunque che i morti di ieri riposino…queste celebrazioni servono solo a giustificare la violenza del presente…
Il modello concentrazionario in fondo è il modello base dell’urbanistica contemporanea…
(Fondamentalmente si dovrebbero far piani per evadere… cominciando col liberare alcuni luoghi…)
DIVAGAZIONE, ORACOLO E PSICANALOGICA DELL’EVIRAZIONE
Qui si parla dell’arte del ricordo e di una certa ambiguità degli eventi nell’era della pornografia mediatica…
Sentenzia la Pizia:
– Cioè: il “grande occhio” ha ripreso (e forse deciso) l’evirazione americana?
E’ una cosa tipo la Torre dei tarocchi (che in kabbalah è “Ayin”=l’Occhio… di Dio si intende… quello che fulmina i malcapitati che nella carta cadono dalla Torre)… ci sono mille modi di ri-prendere la stessa cosa… così tanti che si annulla qualsiasi possibilità di coglierla.
Per cui quello dice: “Sappiamo tutto, non possiamo nulla”.
Pure Eschaton su FB casualmente riprendeva questa cosa ieri in francese: “Tout est permis mais rien n’est possible” (da Michel Clouscard)… Tutto è permesso, ma niente è possibile…
Anche se non penso che le cose stiano proprio così…
Il mondo non è chiuso nei segni che lo interpretano… o che lo vorrebbero mappare come Google Earth… qualcosa (tutto o quasi… ma non ha “potere”… è indifferente…) resta sempre fuori a negare le pretese totalitariste della democrazia globale, del suo linguaggio…
Mi viene in mente Attis.
Sangue versato per salvare la matrice (la riproduzione sociale, la Grande Madre, Cibele, che guarda caso ha le fattezze dell’Italia, con la sua corona turrita in testa… e suona anche il tamburello… tattatà-tattatà-tattatatta-tata-tatà). Da notare l’estrema misoginia del gesto del giovine, che preferisce non sposare nessuna causa (né quella istituzionale, né quella del desiderio inconfessabile, ispirato dal demone bisessuale) e mantenersi incontaminato nella sua ambiguità, mettendo in tal modo un piede qui e uno lì… Il doppio gioco insomma. Attis, l’eunuco americano… Essi si sovvertono da soli e cantano il loro inno nello stesso tempo… demonizzano un paese straniero (destabilizzandolo dall’interno) e poi corrono a salvarlo… Ecco la psicosi che si nasconde in ogni Madre-Patria, divenuta ovviamente, in seguito, solo Patria… de-erotizzata, mortale.
Il Valter Binaghi salvava la parte soggettiva (creativa, amorosa), cercando così di salvare il suo dio cristiano dall’orgia e dalla confusione, ma anche quello è coinvolto eccome in questi riti sanguinari… o-sceni. Da nascondere sotto un’evidenza porno (una maschera maschile che deve ricoprire entrambi i ruoli, evirandosi, mestruandosi, sanguinando, occultando e segregando la femmina… la sua libertà dai percorsi patriarcali… o quel che vuol dire e che è sempre da de-finire… o che forse non ha proprio fine, nel suo essere ciclica, in-finita…).
Altro che riti della primavera… Bella primavera di merda che avevano pensato, i romani dell’Impero… Carnevale o pesce d’aprile che fossero le feste in onore di Cibele…
Gli americani quindi si sarebbero evirati da soli (per un secondo fine… come nel mito di Attis…).