videomaker, fotografo, musicista e compositore

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L’ipotesi perversa II

[Qui la prima parte].

Questi («ma chi?… i “cittadini”? i “consumatori”? i “lavoratori”? gli “utenti”? i “pro-sumer”?») non sono dei sentimentali (niente tragedie, sacrifici, violenze, paure, sacralità, Girard, Hobbes…), ma dei goduriosi (che godono per conto terzi senza venire mai, fingono grottescamente di godere o, dato che sono finzioni essi stessi, è di questo che godono)… governano coi tasti “mi piace” e “condividi”La macchina statale s’è fatta social. Ci aderisce per trasparenza, come un layer sovrapposto personalizzato, ci fotoritocca, ci sottopone al riconoscimento facciale, ci simula…

…una palpatina, una molestia, un insulto, un furto d’identità, un drone con cannoncino… Non si incarcera e non si uccide più: si banna (occultando le spiacevoli conseguenze di cui sopra che di tanto in tanto riemergono come snuff…).

Le telecamere piazzate un po’ ovunque sono per voyeurismo simulato non per controllo… Alla lunga ci si stanca pure a sorvegliare o sorvegliare diventa impossibile (addio Foucault e Deleuze) e si ricorre ad algoritmi interpretativi, macchine predisposte all’eccitazione. L’importante è (far) godere dell’attimo intenso in cui viene ripreso l’atto sanzionato dalle leggi-LOL. Possibilmente sgranato e fuori fuoco al punto giusto… con un tocco di mistero… qualche pixel di desiderio da aggiungere (voglia di hi-res, HQ, iconcine animate, loop). Il massimo sarebbe riprendere alieni, mostri, zombie, vampiri, mutanti… erotizzerebbero anche l’orrido… anzi, l’hanno già fatto.

Un capitolo a parte meriterebbero le simulazioni audio (musica, colonne sonore, muzak, jingle, suonerie, bip, etc…). Ma ci sono anche odori, superfici tattili, sapori… tutto concorre a renderci una finzione (“ciò che viene plasmato”) adeguata al modello perverso totalitario… Il brutto è che alla perversione sembra che non si sfugga se non a costo di disordini schizofrenici… di distruzioni strutturali. Io stesso parlo a partire da una posizione “perversa”. Non c’è un’origine pura… Non sto predicando come un Ezechiele biblico. Tutto ciò è preziosa conoscenza… da utilizzare eliminando (rendendo ancora più astratto e inefficace) il Terzo che gode al posto della finzione che siamo o moduliamo. È la sola follia (“gnostica” e dualista senza trascendenza) che vorrei.

Dal “perverso polimorfo” al feticismo fuori standard

Non ci sono che “oggetti parziali”… e sarebbero da mettere in relazione anomica (anti-identitaria, deterritorializzata, dividuale, modulare, ricombinabile) tra loro, con degli spartiti variabili che modulino produzione e consumo senza troppe dilazioni, tramite accordi politico-economici dividuali, rendendo progressivamente inutile e inefficace il Tutto (il fantasma d’Origine, il Padre Immaginario, l’Immagine del Corpo, la Persona, la Grande-Testa-fabbrica-organi) che li avrebbe parzializzati.

Non si capisce?… Non fa niente. Avete già afferrato abbastanza.

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Mani occhi testa bocca tetta piedi figa cazzo culo… il “perverso” qualcosa (per esempio mangiando con gli occhi, mantenendosi al di qua del cannibalismo) afferra e incorpora (come “antropologicamente” suggeriva un bellissimo capitolo, “Afferrare e incorporare”, di “Massa e potere” di Elias Canetti che sembra coinvolgere chi legge in una lotta corpo a corpo tra cacciatore e preda)… c’è solo qualcosa

…che si stacca dal fantasma totalitario (pur necessario, ma solo come fantasma, a mantenere una sorta di equilibrio non solo psichico) dell’immagine del corpo.  Diversamente, cosa più che comprensibile, ci si rifiuta di camminare e di collaborare pur di non sorreggere l’eccitazione erettile… le gambe cedono… ci si rannicchia come pupetti, irrigiditi come catatonici. Politica decisamente più intransigente e in accordo con le più potenti devastazioni cosmiche, ma del tutto immobile, negatrice anche di quel poco che ci anima in quanto animali o animazioni cinematiche…

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Com’è l’amore tra “falsi sembianti”?

Si ama per riconoscere (ri-presentare) la propria e l’altrui immagine allo specchio, per proteggerla dall’abisso di “nulla” (di incoscienza, di “non Io”) che quella sostituisce, tracciando approssimativamente o marcando dei segni (un corpo, un volto, una bocca, un occhio, un seno… penso al trucco, alle statue greche colorate, alle ragazze divinizzate, alle divinità divenute umane, al porno… una pantomima che nasconde il vuoto… giusto gli Aztechi, quando spellavano vive le vittime sacrificali e se ne vestivano, potevano indicare qualcos’altro, di più orribile, di irriducibile alla coscienza, che giace nel mezzo della carne e delle cellule che muoiono e si rigenerano più volte durante una vita).

Ovvio che sia molto meglio gioire perversamente dei dettagli, delle parzializzazioni che siamo… delle intensità ibride intagliate sul vuoto, sulla vertigine, sulla confusione… ma quella paura resta sul fondo di ogni ritaglio… di ogni angolino tranquillo che ci si ritaglia per far circolare delle intensità.
Ecco, le intensità… i -getti nei sog-getti… schizzi di nessuno… inorganico che sprizza… Chi mai può pensare di mettere tutto ciò in un recinto, in un serraglio? Non siamo capi di bestiame, caro capitalista… né vi è pro(i)stituzione ab origine. Non tutte le nostre membra sono organiche al tuo organico.

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Fonmaentadmlente caiapmo l’izinio e la fnie delle praloe

Stessa cosa dei corpi (da capo a piedi o tra capo e coda) e delle case (tra porta e finestre). Il contenitore viene intuito fantasmaticamente prima delle parti. Ma sono le parti ad essere più del tutto. Non ci sono che parzializzazioni e feticci (anche svincolati dal tutto).
Le intensità semplici (es. quelle individuabili, contenibili tra inizio-fine) fanno il gioco della forma complessiva.
Solo le intensità complesse non si lasciano sussumere e comprendere dalla forma complessiva.

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15/03/2014

Ci voleva Lyotard stanotte (causa insonnia… Capitolo “il Negozio” di “Economia libidinale” in cui tratta della cerchia dei sapienti-froci-guerrieri greci che avevano costruito il centro della polis e il loro pregiatissimo “logos” su di un grande zero, a forma di moneta, per tutti coloro che erano fuori dal cerchio – stranieri e donne compresi – o a forma di buco di culo, annullatore e appagatore dei loro bisogni) per farmi notare come l'”ANello” fosse un “piccolo ANO”… Anche la “collANA” magari, con un calibro più grosso, proviene dalla stessa ANALogia…

Egli vedeva inoltre, nella tensione e nella scarica, le potenze che attraversano la banda pulsionale (con un solo lato, senza un interno ed un esterno, come il nastro di Moebius)… Figura del polimorfo su cui si innestano i vari oggetti parziali… alcuni dei quali forniscono lo spunto per i deliri totalitari che Lyotard tanto detestava (che nell’antica Grecia sono appunto incentrati sull’ano, sulla pulsione sterile che azzera gli scambi e scarta l’eteronomo e il barbaro). Anche io sono della stessa opinione…

Per non parlare dei giochi di parole tra “annullare” e “anulare”…
L’idea che la “culla” della civiltà occidentale fosse in realtà un “culo” è assai comica…

08/05/2014

Il carry trade, il godimento dei differenziali di titoli e divise monetarie intorno al Grande Zero (orrido e attraente insieme… buco nero, buco di culo). L’intero sistema capitalista fa il surf su quest’onda… C’avevano visto giusto i Butthole surfers

Hanno solo imitato la “natura”… questa morte-che-vive piazzata dentro ogni vivente… sabotata, bistrattata, scongiurata, esorcizzata, crocifissa, surrogata da suoi simulacri depotenziati…


Dietro la “crisi della domanda” e davanti alla “caduta tendenziale del saggio di profitto”

Non è che consumare i consumatori produca produttori (…e viceversa).

La crisi attuale è dovuta sia alla caduta tendenziale del saggio di profitto1 che, a mio avviso, alla sottoproduzione di merci2… (tesi che sembrerà stravagante a chi ipotizza da un paio di secoli crisi da sovraproduzione di merci… si tratta di un’intuizione… una focalizzazione paradossale dell’ottica marxista, che stronca sul nascere critiche moraliste e bacchettone al cosiddetto “consumismo”, per sottolineare piuttosto l’impossibilità strutturale della pretesa capitalista di mercificare tutto, sottoporre tutto alla “domanda”… come accade anche nei sondaggi… o nell’articolazione del desiderio in domanda/bisogno secondo il fallocentrico Lacan… ci penserò su più oltre…).

E’ crisi di un intero processo di produzione, distribuzione, scambio, circolazione e riproduzione. Declino di un modello a bolle che esplodono in successione intorno allo Zero cui tendono inesorabilmente.

Il capitalismo libidinale non può reggersi senza aura democratica (anche per questo le sue opposizioni passano per spettacolari manifestazioni-passerella di massa buone per lo più a presentare nuove merci umane, differenziate, fresche, disposte a tutto)… il suo presupposto è la non costrizione: diversamente non si creerebbe quel discreto numero “sostenibile” di parassiti e parassitati, indispensabili acciocché si produca un di più da castrare, prelevare, ingurgitare, cacare, rimangiare, ricacare, ecc…

Diversamente, ricchi dalle cognizioni iper-tecnologiche – che non ci sono dato che sono viziati e coglioni – dovrebbero clonare umani, eliminando questioni culturali come la società e la famiglia, incastrarli come polli in mezzo a robot e usarli, oltre che per il duro lavoro, come cibo o sperimentazione di farmaci e cosmetici… qualcosa di simile ai quadri distopici di Giger… Perderebbero ogni allure, democratico o nazi che sia, e dovrebbero fare dispendiosi conti con strenue resistenze dei rimanenti umani che ancora si ostinerebbero a riprodursi coi vecchi metodi, esigendo la loro quota di godimento antropologicamente collaudato… In fin dei conti è più facile che declini un modo di produzione, distribuzione, scambio, circolazione e riproduzione storicamente determinato, in favore di un altro o di altri…

Alla base di tutta la baracca resta un’aspettativa di profitti e di produttività delusa sia nel micro che nel macroun calo generale e strutturale di profittabilità che l’allucinazione keynesiana della domanda mancante da sostenere (con tutto il suo castello di prestiti, obbligazioni, titoli, ecc) non riesce più a coprire. L’impresa in questo momento non è attraente… manca la fantomatica “fiducia, quella che gli economisti borghesi reputano necessaria per uscire dalla “trappola della liquidità”… che non ci può essere in queste condizioni critiche, diciamo pure fallimentari, neanche se ti raccontano menzogne dalla mattina alla sera.

Nel frattempo ognuno ha il suo campo di battaglia (per ora solo) ideologico e crede di difendere quello che crede siano i suoi interessi… fino a prova contraria… Le ideologie ci sono eccome (e hanno un peso strategico). Non c’è un sapere definitivo… tecnico… solo scontri e alleanze temporanee. E tantissima fuffa per occultare i rapporti “reali” (l’ostilità generalizzata, disposta e predisposta, disciplinata e indisciplinata, per la competizione e massimizzazione dei profitti, in cui ci ritroviamo immersi a tutti i livelli del carcere sociale o della guerra sociale).


1 (dal lato produttivo, se consideriamo la tensione fino allo spasimo dello sfruttamento estensivo ed intensivo, del rapporto sociale capitale/lavoro, ormai quasi robotico e senza margini sufficienti a compensare le enormi aspettative già incautamente capitalizzate, per esemprio in “derivati”).

2 in quanto merci e non semplici prodotti senza valore di mercato, come sono nell’attuale crisi… per saturazione, bruttezza, inutilità, costo eccessivo, limite delle tassonomie libidinali umane. Sgorbi di un’eccessiva ed insensata (quanto strutturalmente necessaria, per il capitale) divisione del lavoro. Vi è una sorta di infinita e, per ora, oscura resistenza, di ciò che vive o esiste, a divenire merce (a dispetto della generale smania di prostituirsi…) o, piuttosto, un’impossibilità strutturale di mercificare tutto e tutti per valorizzare il capitale fittizio anticipato (anche se in effetti non c’è mai stato un capitale che non fosse fittizio..).


(Con)siderazioni sulla “guerra civile” e la “guerra chimica”

SQUADRE DI DEMOLIZIONE

Le città (come Damasco ora o Sarajevo in passato) in cui si svolge quello che chiamano “guerra civile” sembrano un immenso cantiere con squadre di demolizione che pianificano il loro lavoro. Le esplosioni non sono mai ovunque, ma solo dove serve. E’ guerra di condomini, di cittadini che insistono a voler essere cittadini, misti a operai demolitori sul campo (comunque contractors, anche se si tratta di eserciti nazionali…) molto poco raccomandabili… messi apposta per convincere i pervicaci cittadini a mollare, ad andarsene, a cedere quel pezzetto di proprietà privata che avevano prima. Una volta finito il lavoro si farà una tregua più o meno duratura, si sminerà e si ricostruirà… per questo si fanno gli edifici in cemento armato. Il metallo si può riciclare, il cemento si sgretola in nubi di polvere. E’ un materiale fatto apposta per essere distrutto e rimpiazzato… Basta un bulldozer e via… altre colate, altre merci, ricchi premi e cotillons… speranze, sorrisi, bambini… e poi ancora booooom, badabang, ratatatatatatata
Quel che voglio dire è che la “guerra civile” non è una cosa così diversa da quello che succede in qualsiasi città. A Damasco si usano solo metodi più sbrigativi. E’ una questione di urgenza, di fretta dei costruttori di cose che per essere costruite devono necessariamente distruggerne altre, persone comprese. Qua ce la si prende con più calma. Ma anche qui ci sono case e persone distrutte, tendenti al crollo. Basta osservare meglio gli sguardi e le crepe… Qui prevale il perfido porfido. Nero come le carogne. Buono per le sassaiole. In fondo siamo sopra al Vulcano Laziale

vistose tracce, a Velletri, del “recente” conflitto mondiale…

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INTERCETTAZIONI TELEFONICHE

Uno statunitense parla con un italiano.

– Cioè, forse non avete capito… La guerra in Iraq è finita da tempo, in Libia è durata troppo poco ed è stata solo di aria, per quanto ci riguarda… Nel frattempo abbiamo costruito armi di tutti i tipi… se non svuotiamo i magazzini, prima o poi la nostra industria bellica si ferma, il PIL cala… Se non possiamo bombardare la Siria, dobbiamo bombardare qualcos’altro… Siamo parte essenziale del processo… Se fermate la distruzione, potete scordarvi la “crescita”…
– Potreste bombardarvi da soli, ma prima occorre una apposita riforma strutturale di qualche emendamento… Anzi, visto che ci siamo, facciamo prima noi questo esperimento… cambiamo qualche articolo della costituzione… aggiungiamo qualche leggina… e poi fanculo Isernia!
– Eh, sì… senza contare che è pure pericoloso avere gli arsenali pieni… Da qualche parte tocca svuotarli… Vediamo il lato positivo: sarà una festa di luci!… illumineremo la notte a giorno!…
– Ahahahahah! Voi sì che siete “illuministi”!

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“GUERRA GIUSTA” AD USO INTERNO

Del resto anche a noi ci gasano con i pesticidi, gli inceneritori, le raffinerie, le acciaierie, le cokerie, ecc… è solo un processo un po’ più lento e omeopatico.
L’ONU, per (sua) logica, dovrebbe dare il via libera per una “missione di pace” contro l’ILVA di Riva o cose così… (violato l’ultimo confine, quello della differenza tra fronte interno ed esterno, come si può leggere tra le righe di un famoso discorso di un noto Nobel per la Pace alla riscossione del premio, questo dovrebbe accadere…).

Ah… e i gas di scarico dei veicoli a motore, il fumo delle sigarette?… sono la forma più decentralizzata di guerra chimica.

Forse c’è una “verità” più semplice: ci odiamo e vogliamo morire.

(…Questo accanto e dentro “ci amiamo e vogliamo vivere”).

L’ANTI-EDIPO E LA PULSIONE DI MORTE

“La questione per chi non crede in Dio sta nell’obbedire alla propria coscienza”.
(Papa Francesco I)

(Ovviamente non sono d’accordo con la questione di coscienza punibile, risentita e cristiana che vorrebbe universalmente porre il Papa…).

Secondo Deleuze e Guattari (ne l’Anti-Edipo, paragrafo: La rappresentazione barbarica o imperiale, che cito qui, in esergo, e continuo qui sotto, dopo i versi e i gatti intorno al buco…) era una “macchina dispotica” interiorizzata, una macchina repressiva a rendere violente (risentite perché rimosse-represse) le macchine desideranti… dal momento che egli tendeva a neutralizzare in un ipotetico corpo pieno del Desiderio la “pulsione di morte” (connotandola appunto come un effetto della vendetta del despota che  imponeva i suoi codici linguistici, la sua surcodifica dei corpi, triangolava con madre e sorella contro qualsiasi manifestazione di risentimento… o come un effetto della triangolazione edipica successiva che triangolava con mamma-papà, in pieno ressentiment cristiano)… Non mi sembra affatto così. Non è solo una questione di despoti o di edipi accecati, castrati… è proprio che non si gode senza morte. Non c’è niente di pieno né sul versante del piacere, né su quello del dolore. Vivere e morire, memorizzare e dimenticare, sono processi simultaneianche senza quell’eccesso surcodificante, dispotico e repressivo di cui Deleuze scrive. La pulsione di morte, a mio avviso, non è questione di “latenza” (di colpi a vuoto, di rimozione e repressione)… è ben scandita e modulata… è nel ritmo che ci attraversa, che solca anche gli orgasmi. Si gode a reprimere, si gode a rimuovere, si gode a liberarsi, si gode ad uccidere, si gode comunque… modulando le pulsazioni velocemente o ritenendole… accumulandole il più possibile, nel caso dell’economia capitalista, per accentrare potere e accrescere il potenziale (di riserva e sperpero)… gestendo i flussi sia nella distruzione che nella prosperità, a valle come a monte… evitando come la peste l’equilibrio, il pareggio, il Grande Zero centrale (sogno riconciliante, immobilizzante e concentrazionario di marxisti e fourieristi, per Lyotard… ma anche dio nascosto ebraico, motore immobile aristotelico, ecc…), il buco nero da cui fuggono tutti i simulacri e tutti i discorsi, compreso questo, come accade tra i bracci di una vertigine galattica.

Tendimi la mano
e facciamo surf
sull’onda cosmica.

Il centro non tiene,
il centro non c’è.

Restiamo qui, sospesi
a modulare i campi,
da bravi hortolani.

Con il grassetto sottolineo i temi chiave, con il rosso i punti di divergenza con quel che penso.

La legge non comincia con l’essere ciò che diverrà o pretenderà di diventare più tardi: una garanzia contro il dispotismo, un principio immanente che riunisce le parti in un tutto, che fa di questo tutto l’oggetto d’una conoscenza e di una volontà generali, le cui sanzioni non fanno che derivare per giudizio e applicazioni sulle parti ribelli. […] La legge non fa conoscere nulla e non ha oggetto conoscibile, il verdetto non preesistendo alla sanzione, e l’enunciato della legge non preesistendo al verdetto. L’ordalia presenta questi due caratteri allo stato puro. […] E’ la sanzione a scrivere e il verdetto e la regola. Il corpo ha un bell’essersi liberato dal grafismo che gli era proprio nel sistema della connotazione; esso diventa ora la pietra e la carta, la tavola e la moneta su cui la nuova scrittura può segnare le sue figure, il suo fonetismo, il suo alfabeto. Surcodificare, questa è l’essenza della legge e l’origine dei nuovi dolori del corpo. Il castigo ha cessato di essere una festa, donde l’occhio trae un plusvalore nel triangolo magico di alleanza e filiazione. Il castigo diventa una vendetta, vendetta della voce, della mano e dell’occhio ora riuniti nel despota, vendetta della nuova alleanza. […]
Vendetta, e come vendetta che si esercita in anticipo, la legge barbarica imperiale schiaccia tutto il gioco primitivo dell’azione, dell’agito e della reazione. Occorre ora che la passività diventi la virtù dei soggetti attaccati al corpo dispotico. Come dice Nietzsche, quando appunto mostra come il castigo diventi una vendetta nelle formazioni imperiali, bisogna che “una prodigiosa quantità di libertà sia scomparsa dal mondo, o almeno scomparsa agli occhi di tutti, costretta a passare allo stato latente, sotto l’urto dei loro colpi di martello, della loro tirannia d’artisti…”. Si produce un’esaustione dell’istinto di morte, che cessa di essere codificato nel gioco di azioni e di reazioni selvagge ove il fatalismo era ancora qualcosa di agito, per diventare il cupo agente della surcodificazione, l’oggetto staccato che plana su qualcuno, come se la macchina sociale si fosse sganciata dalle macchine desideranti: morte, desiderio del desiderio del despota, latenza iscritta nel profondo dell’apparato di Stato. Piuttosto che un solo organo si svincoli da quest’apparato, o scivoli fuori dal corpo dispotico, non ci saranno sopravvissuti. In realtà, non c’è più altra necessità (altro fatum) tranne quello del significante nei suoi rapporti con il significato: tale è il regime del terrore. Quel che si suppone la legge significhi, non lo si conoscerà che più tardi, quando si sarà sviluppata ed avrà assunto la nuova figura che sembra opporla al dispotismo. Ma, sin dall’inizio, essa esprime l’imperialismo del significante che produce i suoi significati come effetti tanto più efficaci e necessari in quanto si sottraggono alla conoscenza e devono tutto alla loro causa eminente. […] Ma tutto questo, lo sviluppo del significato democratico o l’avvolgimento del significante dispotico, fa tuttavia parte della questione, ora aperta ora sbarrata, identica astrazione continuata, o macchinario di rimozione che ci allontana sempre dalle macchine desideranti. Non è mai esistito che un solo Stato. A cosa serve? sfuma sempre più, e scompare nelle brume del pessimismo, del nichilismo, Nada, Nada! […] L’istinto di morte è, nello Stato, ancor più profondo di quanto non si credesse, e che la latenza non solo travaglia i soggetti, ma è all’opera nei congegni più elevati. La vendetta diventa quella dei soggetti contro il despota. Nel sistema di latenza del terrore, ciò che non è più attivo, agito o reagito, “ciò che è reso latente dalla forza, rinserrato, rimosso, rientrato all’interno”, è ora risentito: l’eterno risentimento dei soggetti risponde all’eterna vendetta dei despoti. […]
Hanno fatto passare tutto allo stato latente, i fondatori di imperi; hanno inventato la vendetta e suscitato il risentimento, questa controvendetta. E tuttavia Nietzsche dice ancora di loro quel che diceva già del sistema primitivo: non è presso di loro che la “cattiva coscienza” – intendiamo Edipo – ha attecchito e si è messa a spuntare, l’orribile pianta. Solo, è stato fatto un passo in più in questo senso: Edipo, la cattiva coscienza, l’interiorità, essi li ha resi possibili… […] E’ certo la storia del desiderio e la sua storia sessuale (non ce ne sono altre). Ma tutti i pezzi qui funzionano come congegni dello Stato. Il desiderio non opera certo tra un figlio, una madre e un padre. Il desiderio procede ad un investimento libidinale di una macchina di Stato, che surcodifica le macchine territoriali, e, con un giro di vite supplementare, rimuove le macchine desideranti. L’incesto deriva da questo investimento, non il contrario, e non mette in gioco dapprima che il despota, la sorella e la madre: è lui la rappresentazione surcodificante e rimovente. Il padre non interviene che come rappresentante della vecchia macchina territoriale, ma è la sorella il rappresentante della nuova alleanza, e la madre il rappresentante della filiazione diretta. Padre e figlio non sono ancora nati. Tutta la sessualità è in gioco tra macchine, lotta tra esse, sovrapposizione, muratura. Stupiamoci una volta di più della narrazione portata da Freud. In Mosé e il monoteismo, egli avverte certo che la latenza è affare di Stato. Ma allora essa non deve succedere al “complesso di Edipo”, segnare la rimozione del complesso o addirittura la sua successione. Essa deve risultare dall’azione rimovente della rappresentazione incestuosa che non è per nulla ancora un complesso come desiderio rimosso, perché al contrario essa esercita la sua azione di rimozione sul desiderio stesso. Il complesso di Edipo, come lo chiama la psicanalisi, nascerà dalla latenza, dopo la latenza, e significa il ritorno del rimosso nelle condizioni che sfigurano, spostano ed anzi decodificano il desiderio. Il complesso di Edipo non appare se non dopo la latenza; e quando Freud riconosce due tempi da essa separati, solo il secondo merita il nome di complesso, mentre il primo non ne esprime che i pezzi e i congegni che funzionano da un tutt’altro punto di vista, in tutt’altra organizzazione. E’ questa la mania della psicanalisi con tutti i suoi paralogismi: presentare come risoluzione o tentativo di risoluzione del complesso ciò che ne è l’instaurazione definitiva o l’installazione interiore, e presentare come complesso ciò che ne è ancora il contrario. Cosa occorrerà infatti perché l’Edipo diventi l’Edipo, il complesso di Edipo? Molte cose in verità, quelle stesse che Nietzsche ha parzialmente presentito nell’evoluzione del debito infinito.
Bisognerà che la cellula edipica termini la sua migrazione, che non si acconsenta a passare dallo stato di rappresentazione spostato allo stato di rappresentazione rimovente, ma che, da rappresentazione rimovente, diventi infine il rappresentante del desiderio stesso. E che lo diventi a titolo di rappresentante spostato. Bisognerà che il debito diventi non solo debito infinito, ma che come debito infinito venga interiorizzato e spiritualizzato (il cristianesimo e quel che segue). Bisognerà che si formino padre e figlio, cioè che la triade regale si “mascolinizzi”, come conseguenza del debito infinito ora interiorizzato [n.d.a. Gli storici della religione e gli psicanalisti conoscono bene questo problema della mascolinizzazione della triade imperiale, in funzione del rapporto padre-figlio che vi è introdotto. Nietzsche vi intravede a ragione un momento essenziale nello sviluppo del debito infinito: “Questo alleviamento che fu il colpo di genio del cristianesimo… Dio che paga a se stesso, Dio che riesce da solo a liberare l’uomo da ciò che per l’uomo stesso è diventato irremissibile, il creditore che si offre per il suo debitore per amore (chi lo crederebbe), per amore per il suo debitore!” (Genealogia della morale, II, § 21)]. Bisognerà che Edipo-despota sia sostituito da Edipi-soggetti, da Edipi-padri e da Edipi-figli. Bisognerà che tutte le operazioni formali siano riprese in un campo sociale decodificato e risuonino nell’elemento puro e privato dell’interiorità, della riproduzione interiore. Bisognerà che l’apparato repressione-rimozione subisca una riorganizzazione completa. Bisognerà dunque che il desiderio, finita la sua migrazione, faccia l’esperienza di questa estrema miseria: essere rivolto contro di sé, il rivolgimento contro di sé, la cattiva coscienza, la colpevolezza, che lo aggrega tanto al campo sociale più decodificato quanto all’interiorità più morbosa, la trappola del desiderio, la sua pianta velenosa. Finché la storia del desiderio non sperimenta questa fine, Edipo assilla tutte le società, ma come l’incubo di ciò che non è ancora capitato loro – l’ora non è ancora venuta”.

Hai letto? Beh… dimenticalo.

Anzi, ricordati anche di quest’altro passo (più condivisibile, sempre dall’Anti-Edipo), prima di dimenticare già quando riprende a parlare della staffetta comico-“futuristica” (patafisica come nella corsa dei ciclisti morti ne “Il Supermaschio” di Jarry) tra macchine desideranti (grassetti e link sono miei):

Il corpo senza organi è il modello della morte. Come han ben capito gli autori della letteratura del terrore, non è la morte a servire da modello alla catatonia, ma la schizofrenia catatonica a fornire il proprio modello alla morte. Intensità-zero. Il modello della morte appare quando il corpo senza organi respinge e depone gli organi – niente bocca, naso, denti… fino all’automutilazione, fino al suicidio. E tuttavia non c’è opposizione reale tra il corpo senza organi e gli organi in quanto oggetti parziali; la sola opposizione reale riguarda l’organismo molare che rappresenta il loro comune nemico. Si vede, nella macchina desiderante, lo stesso catatonico ispirato dal motore immobile che lo forza a deporre i suoi organi, ad immobilizzarli, a farli tacere, ma anche, spinto dai pezzi lavorativi che funzionano allora in modo autonomo e stereotipo, a riattivarli, a insufflare in essi movimenti locali. Si tratta di pezzi diversi della macchina, diversi e coesistenti, diversi nella loro stessa coesistenza. È perciò assurdo parlare di un desiderio di morte che si opporrebbe qualitativamente ai desideri di vita. La morte non è desiderata, c’è solo la morte che desidera, a titolo di corpo senza organi o di motore immobile, e c’è anche la vita che desidera, a titolo di organi di lavoro. Non si tratta qui di due desideri, ma di due pezzi, di due sorte di pezzi della macchina desiderante, nella dispersione della macchina stessa. Tuttavia, il problema sussiste: come possono funzionare insieme? Non si tratta ancora di un funzionamento, ma solo della condizione (non strutturale) d’un funzionamento molecolare. Il funzionamento appare quando il motore, nelle condizioni precedenti, cioè senza cessare di essere immobile e senza formare un organismo, attira gli organi sul corpo senza organi, e glieli attribuisce nel movimento oggettivo apparente.  La repulsione è la condizione di funzionamento della macchina, ma l’attrazione è il funzionamento stesso. Che il funzionamento dipenda dalla condizione, risulta evidente per il fatto stesso che tutto questo non funziona se non guastandosi. Si può dire allora in cosa consistano questo andamento o questo funzionamento: si tratta, nel ciclo della macchina desiderante, di tradurre costantemente, di convertire costantemente il modello della morte in qualcosa di assolutamente diverso, l’esperienza della morte. Di convertire la morte che sale dal didentro (nel corpo senza organi) in morte che arriva dal difuori (sul corpo senza organi).

Ma sembra che l’oscurità si infittisca: cos’è infatti l’esperienza della morte, distinta dal modello? Si tratta ancora di un desiderio di morte? Di un essere per la morte? Oppure di un investimento della morte, magari speculativo? Niente di tutto questo. L’esperienza della morte è la cosa più consueta dell’inconscio, appunto perché ha luogo nella vita e per la vita, in ogni passaggio o in ogni divenire, in ogni intensità come passaggio e divenire. È caratteristico di ogni intensità investire in un attimo in se stessa l’intensità — zero a partire da cui è prodotta come ciò che cresce o diminuisce in un’infinità di gradi (come diceva Klossowski, «un afflusso è necessario solo per significare l’assenza di intensità»). Abbiamo cercato di mostrare, in questo senso, come i rapporti di attrazione e di repulsione producano stati, sensazioni, emozioni tali che implicano una nuova conversione energetica e formano il terzo tipo di sintesi, le sintesi di congiunzione. Si direbbe che l’inconscio come soggetto reale abbia fatto sciamare su tutto il contorno del suo ciclo un soggetto apparente, residuale e nomade, che passa attraverso tutti i divenire corrispondenti alle disgiunzioni incluse: ultimo pezzo della macchina desiderante, pezzo adiacente. Sono questi divenire e questi sentimenti intensi, queste emozioni intensive ad alimentare deliri e allucinazioni. Ma, in se stesse, esse sono quel che più si accosta alla materia di cui investono in sé il grado zero. Sono esse a condurre l’esperienza inconscia della morte, in quanto la morte è ciò che è sentito in ogni sentimento, ciò che non cessa e non finisce di succedere in ogni divenire — nel divenire-altro sesso, nel divenire-dio, nel divenire-razza, ecc., formando le zone d’intensità sul corpo senza organi. Ogni intensità affronta nella sua propria vita l’esperienza della morte, la avvolge, e certamente, alla fine, si spegne; ogni divenire diventa esso stesso un diveniremorto! Allora la morte giunge effettivamente. Blanchot distingue bene questo duplice carattere, questi due aspetti irriducibili della morte, l’uno nel quale il soggetto apparente non cessa di vivere e di viaggiare come Si, «non si cessa e non si finisce mai di morire», l’altro in cui lo stesso soggetto, fissato come Io, muore effettivamente, cioè cessa alla fine di morire poiché finisce col morire, nella realtà d’un ultimo istante che lo fissa cosi come Io disfacendo l’intensità, riconducendola allo zero ch’essa avvolge. Da un aspetto all’altro non c’è affatto approfondimento personologico, ma tutt’altro: c’è ritorno dell’esperienza di morte al modello della morte, nel ciclo delle macchine desideranti. Il ciclo è chiuso. Per una nuova partenza, poiché Io è un altro. Bisogna che l’esperienza della morte ci abbia appunto dato abbastanza esperienza allargata, perché si viva e si sappia che le macchine desideranti non muoiono. E che il soggetto come pezzo adiacente è sempre un «si» che conduce l’esperienza, non un Io che riceve il modello. Il modello stesso infatti non è maggiormente l’io, bensì il corpo senza organi. E Io non raggiunge il modello senza che il modello, di nuovo, riparta verso l’esperienza. Andare sempre dal modello all’esperienza e ripartire, ritornare dal modello all’esperienza: schizofrenizzare la morte, è questo l’esercizio delle macchine desideranti (il loro segreto, ben compreso dagli autori del terrore). Le macchine ci dicono questo, e ce lo fanno vivere, sentire, più profondamente del delirio e più lontano dell’allucinazione: sì, il ritorno alla repulsione condizionerà altre attrazioni, altri funzionamenti, l’avvio di altri pezzi lavorativi sul corpo senza organi, la messa in opera d’altri pezzi adiacenti al contorno, che hanno altrettanto diritto di dire Si quanto noi stessi. «Crepi nel suo balzo per mano di cose inaudite e innominabili; altri orribili lavoratori verranno; e cominceranno dagli orizzonti ove l’altro si è accasciato». L’eterno ritorno come esperienza, e circuito deterritorializzato di tutti i cicli del desiderio.


Valeriomelìa

E insomma, a scanso di equivoci, affermiamolo in modo definitivo:
Non siamo “persone”
Non esiste un’anima individuale o indivisibile (non esiste un anima, punto)… animelle? No, forse non ci siamo s-piegati
– Non c’è differenza, barra di-visiva, significante, tra movimenti animali e moti dell’anima, ma continuità, come su un nastro di Moebiusci si dividua e, solo dopo che ci si è piegati, ci si s-piega, ci si individua
– Come in ogni labirinto (anche impossibile, mutevole), è il percorso che fa la conoscenza, non la conoscenza che fa il percorso.
Capito coglione di un Teseo? al centro non c’è nessuna Bestia Mugghiante da uccidere… Hai perso il filo di Arianna, il filo della spada di castra-tori, il filo del desiderio e del discorso tutto insieme? Tu sei il labirinto che si piega e si s-piega, si apre e si chiude… continuamente. Tu sei un campo di battaglia.
– Che stavamo dicendo?

[…]

– Lo diciamo una volta per tutte: non c’è niente di amorevole o razionale che tiene in vita l’universoAmore, Ragione, Vita e Universo sono le più abusate e patetiche illusioni… tutte varianti, come anche l’Unità, la Totalità, della più grande delle menzogne, della Verità… Si fa di tutto per mantenere in vita artificialmente i rimasugli di umanesimo e antropomorfismo degli indivisibili individui spacciatori di religioni e dei seminatori di culture o colture infestanti… Siamo uno scherzo della natura, ripiegato, invaginato, annodato in uno degli infiniti eventi locali senza leggi assolute, un gioco miserabile, comunque di-vertente, che molti si ostinano a prendere per incontrovertibile, totale, unico, circondandolo di gendarmi e difendendolo fino alla morte… contro “se stesso”!…


DE SIDEREO

(da leggere come un rap…)

urano urano
distilla le stelle
nascoste dal cielo
celeste d’azoto

dài tempo al Tempo
che falcia le stelle
che falcia le palle
con falce di luna

cade rabbioso
lo sperma salino
lo sperma di sole
nitrito di Furie

(coro)
de sidereo
de sidereo
de sidereo
de sidereo

sale dal mare
la figlia del cielo
puttana celeste
nutrita di vento

vento diviene
venere viene
venere cola
genera-idrata

dall’H, migliaia
dall’H, milioni
dall’H, miliardi
diurna diana

saetta di zoo
saetta di zeus
saetta di zero
elettricità

spina di rosa
goccia di sangue
mele granate
mele spaccate

(coro)
de sidereo
de sidereo
de sidereo
de sidereo


Sesso d’osso

“Perché sei tu silente ed invisibile,
Padre di Gelosia?
Perché ti celi in nuvole
 A ogni occhio che ti cerchi?”

(da To Nobodaddy di William Blake)

“Padre di Gelosia, sii tu maledetto dalla terra!”

(da Visioni delle figlie di Albione di William Blake)

Quando in psicanalisi si parla di castrazione si deve intendere non tanto il gesto minaccioso dell’evirazione, quanto l’autonomizzarsi del (significante del) desiderio come cosa che procede da sé, come feticcio animato, posseduto da un demone… che non appartiene più al corpo vivo del maschio… e nemmeno a quello della femmina che lo usa, lo accoglie, lo rifiuta, ecc… è volatile, è un uccello, c’è e non c’è, si drizza e s’ammoscia… effimero e accecante come il Sole che (così come inebria la Pizia) spegne ogni ragione, polverizza il senso in indizi, tracce, seme… accecante anche per il mal-occhio… simbolo apotropaico contro la malasorte, la sterilità… insorgenza demoniaca da un basso dionisiaco che è anche l’alto apollineo (orgasmo verso il Cielo che fa precipitare Icaro, erezione della ‘Torre babelica dei tarocchi abbattuta dall’ayin, occhio severo, saetta di Dio, al culmine di un’ambivalente e smisurata competizione fallica che avrebbe voluto significare tutto una volta per tutte e che invece prolifera in moltitudini di sensi, li semina come sabbia, si stratifica, si ramifica, si protende, si ritrae, confondendo lingue e strutture, all’in-finito). Equivalente generale di tutti i simboli, monumenti, immagini del corpo allo specchio, persone o statue in piedi, glifi, lettere dell’alfabeto, spighe di grano, alberi genealogici, ecc…

Son cazzi simbolici, cazzi platonici… sono un’idea del cazzo…

Se andiamo all’osso, allo scheletro, non c’è più traccia di sesso… né maschio, né femmina, né eretto, né a riposo… solo sesso d’osso. Ecco, questo mi convince di più… a dispetto dello gnostico Blake, inorridito (ed estasiato) dalla Divisione, dalla scissione nella materia:

In un orribile riposo pieno di sogni,
come l’inanellata catena infernale
 una vasta Spina dorsale si contorse tormentata
 dai venti, Costole urlanti di dolore,
come una caverna piegata;
 e ossa di solidità si gelarono
sopra tutti i suoi nervi di gioia.
 Ed una prima età passò,
ed uno stato di cupo dolore.

(da Il primo libro di Urizen di William Blake)

Sesso d’osso.

Divenire-osso del sesso.

Senza vuoti o economia del vuoto.

Risonanza di morte, di vita.

Raschiatura dell’Essere.


De-capitalismo | …come impedire l’Apocalisse

– Si fa presto a distruggere e criticare… il punto è che voi non avete un modo di produzione da proporre…
 – Certo che ce l’abbiamo… è il DE-CAPITALISMO.

C’è chi suggerisce di lavorare meno… In effetti, che senso ha lavorare alacremente per il nulla speculare (o rifratto che sia)? è solo cedere ai ricatti… Ma come ricostruire con degli zombie assuefatti ai lavori forzati un processo di produzione dif-ferente o di-vertente? è quasi impossibile… Forse sono discorsi elitari i miei (o subliminali, operanti in una particolare faglia di questa produzione non più segmentata, ma stratificata, se non labirintica)… destinati probabilmente allo sfacelo in questo momento storico… ma molto resistenti, direi all’infinito… Speriamo che Babilonia cada così in fretta da non avere il tempo di correre ai ripari… (ma il vero scopo degli anti-apocalittici dovrebbe essere quello di impedire il giudizio universale e la seconda venuta di un Caput solare, untuoso, sanguinante e splendente di finzioni come nei Giovanni Battista dei quadri di Gustave Moreau…).

Nei dipinti di Moreau scorgo (nonostante le intenzioni dello stesso pittore, suppongo…) una visione ironica del capitale, della “Grande Testa”, come la chiamava Lyotard, un doppio simbolico dei processi (mitemente contrattuali a dispetto dei loro contenuti sacrificali o dei poteri esecutivi che li difendono) di valorizzazione del lavoro morto o della dismisura del plusvalore (pseudo-cristico, comunque solare, aureolato… luccicante come una moneta) estratto… Ecco, in una prospettiva de-capitalista certe crudeltà (castrazioni, dualismi mente/corpo e rimozioni) dovrebbero permanere come uno spettro ed essere accuratamente evitate… Poi c’è anche un certo psicanalismo di maniera alla Julia Kristeva (“La testa senza il corpo”) da tenere comunque in considerazione (a pag.149 dell’opera citata, per esempio)…


SPALTUNG | digressione psicanalogica

Tra la “castrazione” orizzontale della decapitazione (che ritaglia gli in/dividui in una testa e un corpo separati, in un Io e un desiderio separati, nel caso della castrazione freudiana) e quella verticale della divisione longitudinale del corpo trovo più interessante la seconda… il fantasma del doppio (evocato dal taglio – impossibile? schizoide? – dell’unità in/divisibile) svela molto di più del fantasma psicanalitico dell’Io, del Genere, del Corpo Proprio o del Fallo e si estende abbondantemente al di là delle piccole sozzerie individuali… In questo caso, nessuna simmetria è possibile (nemmeno una disgiunzione metafisica che ritagli oggetti parziali come nella sapiente arte cinese della macellazione o nei meridiani dell’agopuntura)… non vi possono essere due Unità… Nessun doppio verticalmente scisso è uguale o simile alla matrice (cuore, stomaco, milza e pancreas da una parte, fegato dall’altra). Questa asimmetria comprende tutte le relazioni (e sfugge a qualsiasi rapporto… quello che segniamo con la barra “/” della divisione, della castrazione, ecc… e probabilmente non prevede nessun taglio o getto di sangue, ma solo la consapevolezza che, se sono divisibile, se le mia parti non combaciano e sono più dell’intero, se i miei organi non “sanno” di far parte di un individuo, se non vi sono organi ma solo l’inorganico eretto a vivente, non sono Io… non lo sono mai stato, né lo sarò mai).


schizo = dal greco schizein, che significa scissione, divisione.

Molto prima della divisione del lavoro e dell’alienazione (inventata dai paranoici dell’Ottocento) c’è un’altra divisione… che è, per così dire, psico-giuridica… è legata all’esistenza dell’anima (che è il fantasma psichico della proprietà privata).

(Dunque l’immortalità dell’anima sarebbe un tentativo delirante di conservare all’infinito patrimonio e proprietà…).


Il listrosauro dominatore del Permiano-Triassico e l’uomo telecomandato sulla Luna

(morti entrambi…)

250 milioni di anni fa noi viventi c’eravamo quasi riusciti ad estinguerci in massa… (anche se si dovrebbe parlare più propriamente di transizione biotica).

Sembra incredibile, ma questa brutta bestiaccia di un metro (antenata dei mammiferi, dunque anche di noi altri) ha scorrazzato indisturbata moltiplicandosi a dismisura costituendo il 90% dei vertebrati sulla terraferma del primo Triassico (prima che gli antenati dei coccodrilli la riducessero di numero per riempire la Terra di dinosauri enormi nel Triassico, Giurassico, ecc…) per una trentina di milioni di anni nei deserti post-catastrofe del Permiano di 250 milioni di anni fa… e magari per molto più tempo di quanto farà l’uomo…

E comunque, dopo la débâcle del gigantismo dei sauri (66 milioni di anni fa, sempre a causa di una catastrofe), tra i progenitori più recenti e vicini ai Primati e dunque all’uomo c’erano specie di topastri che si arrampicavano… e ce n’abbiamo messo di tempo prima di scendere dagli alberi e camminare su due zampe… Insomma, facciamo abbastanza schifo… Dal Lystrosaurus abbiamo filogeneticamente ereditato i buchi delle tempie dietro le orbite oculari, la termoregolazione, l’allattamento… da questi mostriciattoli arboricoli la vista frontale… per fare spazio alla massa celebrale… (mi viene da vomitare… mi immagino a camminare 250 milioni di anni fa a quattro zampe).

foto di Daniel Lee, da “Origin e Manimals II”.

Figli di lucertoloni-maiali con la coda corta e la testa di testuggine con solo due denti sporgenti e i labbroni da dugongo… botoli rovistatori nel fango… (stamattina ho fatto un po’ di paleoginnastica, immaginando come si muovessero i listrosauri una volta rovesciati sulla schiena… giusto 5 minuti… un grande balzo per l’umanità… Neil, fossi stato al tuo posto mi sarei mosso come un listrosauro, una volta sulla Luna… invece hai piantato una cazzo di bandiera stelle e strisce… e hai fatto il tuo “dovere” anche ai confini della morte sulla Luna… eroe del cazzo).

“Laggiù mancanza di ogni altra creatura. Robinson tra minerali, come un robot che non fa nessun passo senza ordini da lontano. Ordini trasmessi da lontano, terribile visione del futuro. Fai questo, fai quello, e in mezzo scherzi melensi per il pubblico sulla terra”.

(aforisma a proposito dello sbarco sulla luna tratto da “La provincia dell’uomo” di Elias Canetti)

Tra l’altro, a sentire il verso del Dugongo è probabile che quest’ultimo sia stato incomprensibilmente presente (si era spiaggiato? o era proprio un listrosauro, che pascolava nei pressi della centrale nucleare?) nel roveto di more dove ho ripreso questa ragna, l’argiope bruennichi, che ha la delicata abitudine di mangiare il maschio, cui spezza il pene, dopo l’accoppiamento (confrontate i versi sullo sfondo con quelli del Dugongo…).


Marcia legalità (contro ignoti)

Questo post prende spunto, rendendolo ambivalente, dal titolone dell’Ansa “Studenti e bimbi a marcia legalità” (non so se rimarrà ancora per molto o lo cambieranno, per pudore…).

Vi è parecchia irrazionalità in tutto ciò… Come si può applicare la legge contro ignoti? E soprattutto, basta invocare un’astratta legalità, perché nessuno faccia più il cattivo? (neanche il cristianesimo è così idiota…). Chi è STATO parla? (di fatto agisce da funzionario di stato anche se non lo è). Perché mai l’ufficialità pubblica dovrebbe punire il suo privato, se poi ci si fonda su quest’ultimo, essendo il pubblico un’estensione su larga scala del privato? Insomma, come la giri e la volti, il diritto è schizo-paranoide… e la legalità marcia.

Magari se la cavano con la “legittimità”, che è più che altro un atto di forza (paranoide)… una performance culturale, cui dovrebbero seguire nuove leggi (leggi speciali, carcere duro, preventivo, ecc…), un’estensione (della coperta corta) della legalità. (Resta sempre qualche alluce scoperto… per principio… non si può legiferare fin nei villi intestinali).

Lo so, i culi più puliti, kelseniani, potranno obiettare che la legge non è espressione di una volontà particolare, ma coerenza normativa, un valore terzo, trascendentale… Io trovo che sia fascismo (*) truccato da valori condivisi, feticci democratici… che potranno astrarsi finché vogliono, ma sempre sull’uso della forza, in qualche modo, si basano (qui gli stessi termini della questione, ma disposti in un ordine diverso, più conforme al totalitarismo imperante… secondo l’autore, rassegnazione e sagaci paradossi a parte, il migliore dei mondi… – affermazione cool, ma in sostanza sovrapponibile persino al T.I.N.A. della Thatcher…). Certo… l’accesso random dell’applicazione di questa forza (la spada di Damocle invece di una sicura castrazione, come in un dispositivo feudale) fa sì che vi possa essere l’assenza dello stato (e del diritto) sulla gran parte dei corpi che questo delirio vorrebbe coinvolgere… ma anche la manifestazione potenziale di questo potere (per lo più) inesistente. La massima astrazione giuspositivista comporterebbe che lo stato divenga un pensiero delirante (dalla apparenza razionale ma inapplicato e inapplicabile, impotente, comico, con la sua tendenza tragica sempre risorgente da tenere comunque a bada… in effetti si può anche impazzire in senso paranoide e bisogna riconoscere i tratti e le tracce di questo pensiero… Su questo sarei più d’accordo… A quel punto sarebbe inutile la presenza di quello che chiamiamo “stato”… Bisognerebbe prima raccontare ai bambini favole anti-paranoia… Il punto è che non ce n’è neanche una… e l’intera produzione di fiction contemporanea è intrisa di questi deliri).

P.S.: Nella follia generale, anche il terremoto in Emilia sembra essere diventato qualcosa o qualcuno da arrestare…


(*) espressione di una volontà particolare (“partitica” nel senso del partito unico, impolitico, “tecnico”, economicistico, dei “mercati”, della rendita finanziaria, della Moneta) piuttosto presuntuosa. Sono sempre gli stessi borghesotti paranoidi (e un po’ feudali) che possono far valere i loro deliri politici (nel senso del fascismo propriamente detto) o economici (le formazioni politiche “democratiche” a regime capitalistico), a seconda…


Giornate dell’Oblio

Tra “giornate della memoria” dell’olocausto o delle foibe si tirano i morti da una parte o dall’altra a seconda delle convenienze… dimenticando che i lager ci sono tuttora in Italia e altrove anche oggi:

1) per gli zingari (grazie al sindaco Alemanno: “Maledetti campi abusivi” e richiesta di poteri speciali per le deportazioni nei campi di concentramento fuori Roma, mentre era tra le baracche ancora fumanti, poco dopo la morte in un incendio di 4 bambini zingari…),
2) per i migranti (qui si chiamano CIE… esternalizzati in Libia per le torture, ecc…),
3) per le donne uccise   in casa a ritmo quasi quotidiano,
4) per i lavoratori che muoiono di lavoro, anche loro quotidianamente,
5) per i rifugiati e gli esuli morti in mare, mitragliati dalle motovedette libiche (la G.d.F. non vuole più salirci a bordo… non vuole vedere?),
6) per i palestinesi a Gaza,
7) per i terremotati abruzzesi, ecc…

Dunque che i morti di ieri riposino…queste celebrazioni servono solo a giustificare la violenza del presente…

Il modello concentrazionario in fondo è il modello base dell’urbanistica contemporanea…

(Fondamentalmente si dovrebbero far piani per evadere… cominciando col liberare alcuni luoghi…)


DIVAGAZIONE, ORACOLO E PSICANALOGICA DELL’EVIRAZIONE

Qui si parla dell’arte del ricordo e di una certa ambiguità degli eventi nell’era della pornografia mediatica…

Sentenzia la Pizia:
– Cioè: il “grande occhio” ha ripreso (e forse deciso) l’evirazione americana?

E’ una cosa tipo la Torre dei tarocchi (che in kabbalah è “Ayin”=l’Occhio… di Dio si intende… quello che fulmina i malcapitati che nella carta cadono dalla Torre)… ci sono mille modi di ri-prendere la stessa cosa… così tanti che si annulla qualsiasi possibilità di coglierla.

Per cui quello dice: “Sappiamo tutto, non possiamo nulla”.
Pure Eschaton su FB casualmente riprendeva questa cosa ieri in francese: “Tout est permis mais rien n’est possible” (da Michel Clouscard)… Tutto è permesso, ma niente è possibile…

Anche se non penso che le cose stiano proprio così…
Il mondo non è chiuso nei segni che lo interpretano… o che lo vorrebbero mappare come Google Earth… qualcosa (tutto o quasi… ma non ha “potere”… è indifferente…) resta sempre fuori a negare le pretese totalitariste della democrazia globale, del suo linguaggio

Mi viene in mente Attis.
Sangue versato per salvare la matrice (la riproduzione sociale, la Grande Madre, Cibele, che guarda caso ha le fattezze dell’Italia, con la sua corona turrita in testa… e suona anche il tamburello… tattatà-tattatà-tattatatta-tata-tatà). Da notare l’estrema misoginia del gesto del giovine, che preferisce non sposare nessuna causa (né quella istituzionale, né quella del desiderio inconfessabile, ispirato dal demone bisessuale) e mantenersi incontaminato nella sua ambiguità, mettendo in tal modo un piede qui e uno lì… Il doppio gioco insomma. Attis, l’eunuco americano… Essi si sovvertono da soli e cantano il loro inno nello stesso tempo… demonizzano un paese straniero (destabilizzandolo dall’interno) e poi corrono a salvarlo… Ecco la psicosi che si nasconde in ogni Madre-Patria, divenuta ovviamente, in seguito, solo Patria… de-erotizzata, mortale.

Il Valter Binaghi salvava la parte soggettiva (creativa, amorosa), cercando così di salvare il suo dio cristiano dall’orgia e dalla confusione, ma anche quello è coinvolto eccome in questi riti sanguinari… o-sceni. Da nascondere sotto un’evidenza porno (una maschera maschile che deve ricoprire entrambi i ruoli, evirandosi, mestruandosi, sanguinando, occultando e segregando la femmina… la sua libertà dai percorsi patriarcali… o quel che vuol dire e che è sempre da de-finire… o che forse non ha proprio fine, nel suo essere ciclica, in-finita…).
Altro che riti della primavera… Bella primavera di merda che avevano pensato, i romani dell’Impero… Carnevale o pesce d’aprile che fossero le feste in onore di Cibele…
Gli americani quindi si sarebbero evirati da soli (per un secondo fine… come nel mito di Attis…).


Basta con la società

Sulla via del ritorno da casa di mia madre, sul treno, ho ripreso a leggere dopo alcuni anni un libro, un classico degli anni ’70: L’Anti-Edipo di Gilles Deleuze e Felix Guattari. Decisamente un libro anti-familista (come lo erano anche “La morte della famiglia” di David Cooper, certi scritti di Marcuse, di Laing… certi libercoli sulle comuni agricole e urbane). E’ un libro senz’altro sagace e un po’ paraculetto. Pure un po’ edipico e “neo-futurista”… Giusto per capire quello che andava di moda a quei tempi, c’è da osservare che si faceva un gran parlare di repressione e rimozione… Il freudo-marxismo imperante connetteva il personale al sociale criticando gli assiomi di un sistema da abbattere, quello capitalistico… insieme al suo sottoinsieme privato, la famiglia. Si inscenava la Rivoluzione, l’eterno presente del Desiderio… Per fortuna allora la “castrazione” (termine che trovo perentorio e per lo meno realistico, privo di ipocrite attenuazioni) era ancora una parola che aveva un senso e un diritto di cittadinanza testuale in psicanalisi (e oltre…). Ed il libro è pieno di “tagli” un po’ ovunque… Siano essi tagli di cazzi, cacca, segmenti, spazi istituzionali, territori, tempi, traffico, flussi, ecc…
Quel che proprio non va più di moda delle agitazioni e dei tumulti di quei tempi assurti a paradigma di ogni contestazione ricorrente è il potere visto come repressione, oppressione, controllo. E’ ormai chiaro a tutti (anche dopo “Dimenticare Foucault” di Jean Baudrillard, vero requiem di un’epoca di grandi ingenuità ideologiche) che ogni discorso sulla Liberazione s’è rivelato come l’anticipazione di una nuova deterritorializzazione da riterritorializzare (per usare termini antiedipici), di una nuova terra di conquista, di una nuova opportunità (di sfruttamento, di cablaggio), di un nuovo programma di incentivi, di una nuova strategia del sistema per ripiegarsi su se stesso e fregare il rivoluzionario schizo (schizofrenico, ma per finta… si tratta di una colossale mistificazione, quella di Felix e Gilles, una politicizzazione impossibile del “limite”, della follia). uomini in canottiera già pronti inconsapevolmente per D&GIn altre parole ci si liberava del tutto dalle ancore patriarcali per consegnare l’individuo nudo e senza appendici familiari (che non fossero meri simulacri o fantasmi di un passato da far scomparire tra gli aratri, le cinghiate, i baffetti e le canottiere bianche) alle circuitazioni, sussunzioni e connessioni della macchina capitalista. In definitiva, si consegnava l’individuo al mercato (venduta la rabbia, venduti i gadget del Che, i dischi della psichedelia, i francobolli di LSD, le varie saghe del rockettaro Ribelle, i memoriali delle fabbriche occupate, i fallimenti delle esperienze comunitarie, il look floreale, l’amore libero, ecc, ecc…), il bio-capitalismo rendeva artificiale qualunque verità del desiderio, della libertà, dell’amore, libero o meno che fosse…
Era già l’alba del punk. Di Johnny Rotten contro la Regina… E di quel punk, inteso come individualismo da spillette, di volgarità gratuite, di calcolate enterprise, che non è affatto morto. La realtà comincia a rumoreggiare col suo ron-ron di macchina erotica, sotto i codici belli e virtuosi della società e della morale… e anche la faccia plastificata e il sorriso (ammaccato alla Joker) dell’attuale premier precario è punkin un certo senso. I ruoli si confondono. Tra psicolabili e “psiconani”. Ruoli istituzionali che divengono amichevoli, erotizzabili… si qualunquizzano, per conquistarci dall’interno o per inorridirci fino all’accesso di follia.
Michel FoucaultChe siamo diventati? Fuggiti alle relazioni stabili, con divorzi e vite sentimentali caotiche… sfuggite all’obbligo di portar dote e sposarsi… Alla ricerca di un centro cittadino foriero di trasgressioni dionisiache, politiche e sessuali… Sfuggiti all’ingranaggio familiare (alla sua macchina molare) per cosa? Per diventare individui-mercato, il bersaglio (target) preferito delle pubblicità… Chi l’avrebbe mai detto che la trasgressione di Georges Bataille si sarebbe trasformata in “Lucignolo” su Italia 1? Deleuze sostiene che il Capitale (considerato un’astrazione che si fa soggetto) generi il problema e con esso, successivamente, la risoluzione, sia nevrotico, distribuisca colpe e trovi capri espiatori, lasci andare dei flussi deterritorializzati per successivamente riterritorializzarli nel suo corpo macchinico (sembra un paesaggio alla Matrix... e per certi versi l’Anti-Edipo è come un film di fantascienza…). Come dire: se fai un macello, se metti sottosopra la società o la tua coscienza, poi ci pensa papà-mammà a reintegrarti e a renderti funzionale… un “bravo figlio”, un “buon lavoratore”.
Il punto è che ora non siamo in una società poi così dispoticamente patriarcale… Anzi a dire il vero non c’è più la società (la più ingannevole delle mitologie rivoluzionarie o “di sinistra”), né vi sono gruppi, né amicizie, né amori… Sono tutti sussunti, raddoppiati, divenuti immagini di immagini, simulacri. I social network pullulano di groups, friends e spingono, spingono l’individuo a bastare a se stesso, splendidamente isolato, schermato, connesso, integrato e circuìto in un circùito integrato. Le tecnologie del sé sono molteplici. Anche la scrittura rivoluzionaria è una di queste (è un dato di fatto che “L’Anti-Edipo”, spacciato per libro terribile, è, nel suo genere, un best seller).Dunque cosa fare? Come sfuggire a questa griglia che ci pervade e persuade, piuttosto che ingabbiarci? Che ci impone immagini e frammenti già predisposti all’incastro, come in un puzzle?
Io ho suggerito di imparare a dissodare il terreno paludoso dell’immaginario, che parla una lingua vaga, blurred, sfocata… su cui nessun potere può aver presa certa… Forse la pubblicità può aver provato a giocare le sue sclerotiche figure retoriche su questo terreno… ma è impossibile disinnescare il potenziale delle analogie, delle onde portanti che formano i concetti, che ne spostano montagne.
La lezioneè la libertà intesa come libera deriva, libertà dal consumo e dalla produzione alienata, fine dell’universalità e della centralità. Privilegio del futuro, dell’avvenimento, di ciò che risulta imprevedibile a partire da qual si voglia paradigma…-getto nel mezzo della notte, che ci impone di roteare e disperdere, di accogliere e raccogliere. E di rispondere velocemente, come l’arciere che sa di essere il bersaglio.
Si potrà riprendere il cammino rivoluzionario quando si sarà rinunciato alla chimera della “società” per una relazione nuova tra individui, priva di qualunque illusione… quando gli
eremiti metropolitani si incontreranno per discutere di dettagli che si riveleranno finalmente maggiori del Tutto.
Nel frattempo continuiamo a seminare
s-ragionamenti, scoprire intensità e aprire le gabbie, ridisegnando nuove mappe immaginarie. Gettando alle nostre spalle questa schizofrenia capitale che dobbiamo imparare a scansare e mutare secondo nuove geometrie.
Nel momento della massima virtualizzazione della realtà, la guerra si gioca proprio sul piano immaginario… e prepara il terreno all’emergere della realtà, che a quel punto non si potrà più negare e contenere.


Eremiti metropolitani

Antonin Artaud ne "La passione di Giovanna d'Arco" di Dreyer

“Sì, ecco ora il solo uso cui possa servire il linguaggio, uno strumento di follia, di eliminazione del pensiero, di rottura, il dedalo delle derisioni e non un Dizionario dove certi pedanti canalizzano i loro restringimenti spirituali”.

(Antonin Artaud, “A table”)

Gli spazi tra le maglie si restringono ogni giorno di più. Siamo al parossismo della paranoia di stato. Ma cos’è “stato”?… Il participio passato del verbo essere, del verbo stare o di statuere? E’ il sogno folle di un “soggetto universale”… Un passato che… participia, “prende una parte”, si abbarbica, si mette alle nostre calcagna e non ci vuole più lasciare… Il Matto dei tarocchi (figura del "cittadino" contemporaneo) con la lince del Padrone (privato... anche del "fallo" di stato, stabilizzatore, che ormai non c'è più - lo si deduce dall'obelisco spezzato sullo sfondo) alle calcagnaIn cambio di che? servizi?… sempre meno… la loro gestione è per lo più in mano a privati (acqua compresa). Che si ricordano di noi solo per farcela pagare (la bolletta). Centrali d’energia e risorse, nelle mani di estorsori. Ti tengono saldamente stretto per il primo chakra!… Se dovessi decidere di isolarti, le bollette sarebbero l’unico contatto con il mondo: ti vogliono bene e si ricordano sempre e comunque di te… E lo stato? Tasse, multe, manganelli, prigione, armi, truffe, stragi, crimini… e ARCHIVIO. Catalogo delle merci che siamo. Merci masturbate con ogni mezzo, compreso questo, la Rete. Sani, belli, positivi, coccolati, tantrizzati, con scuola di danza e corsi di pittura, bricolage e circoli culturali.

BASTA PRODURRE SENSO!

E’ l’unica forma di contrattacco possibile, per noi “eremiti metropolitani“… natura inafferabile nelle maglie larghe di una cultura bucata, di un tessuto sociale lacerato. Occorre: prendere una spada ben affilata, rispolverare il senso reale dell’espressione “complesso di castrazione” e cominciare a tagliare e trinciare cultura e detersivi, condizioni e condizionamenti, pattume e pezzi di ricambio, telegiornali e bomboniere, segnare il proprio confine intorno a sè ogni volta… a fil di spada! Di qui non si passa: qui si smonta e si rimonta, qui è il regno del riassemblaggio, qui finisce la catena di montaggio… non c’è una cosa uguale all’altra. L’arte! l’artefatto! l’invenzione!

Teseo il "flessibile" viaggia a ritroso nel futuro.Macché! La vita, i ruggiti, i fulmini, la lava! La singolarità… non l’unità. I vortici… non l’Uno.

Io sono un (sog)getto singolare.

E ditelo a chi incarna lo stato: il vigile urbano, il tabaccaio, la televisione, la patria potestà e tutti quelli che ti ricordano della salma che “sarai stato” (detesto il futuro anteriore)… Saremo così ambigui da non essere più distinguibili e definibili, così reversibili da far slogare le categorie di Aristotele, gli assi di Cartesio e il codice binario 0-1 di Leibniz (quello che muove questi processori di nulla nel silicio)!… Saremo così REALI da non essere più SOGGETTI.

REALTA’! REALTA’! REALTA’!

Alcuni intellettuali mormorano nel sonno che l’individualismo, l’atomizzazione e la frantumazione sociale sono il riflesso dell’immaginario delle economie liberali. Dove credono di essere? Ancora a blaterare di comunità, contratto sociale e “buon selvaggio”? Non sono forse anche loro reclusi e schermati? A recitare all’infinito la tragica farsa del “soggetto universale”, come se esistesse: normative, diritti, legge, valute, simboli, bene comune… ESSENZE!!! CRISTIANESIMO! Ma basta!

Imparate a smontare il soggetto che siete e inventate una nuova lingua. Seguendo sempre il filo. Non perdendolo mai di vista. Lasciate parlare la pianta che è in voi. Come si ammazza quella bestia cornuta al centro del Labirinto se non spezzettando tutto, rimontando e spezzettando ancora? Impareremo a leggere dalle figure che verranno fuori. Come per i fumetti quando si è troppo piccoli. Riconosceremo al volo tutte le genealogie… Anche le più oscure e nascoste. Mascherine.

“Non abbiate paura”.

Decondizionatevi! Imbrogliate più che potete, depistate, predite, mentite, dite la verità, seminate emblemi… e risate… Siate tattici.

L’importante è non perdere il filo… (di Arianna… e della lama).


Insomma, a differenza del pensiero “catalogico” (che nutre la passione per i cataloghi), la psicanalogica prevede l’impiego di figure più che ideologie, dell’immaginario più che del simbolico (per usare il linguaggio di Lacan). Dunque non arretra di fronte al “ricondizionamento” e al ruolo tattico dell’inganno consapevole. Ci si racconta una bugia e la si porta alle estreme conseguenze, deducendone le possibili figurazioni. Il metodo è: prassi-teoria-prassi-teoria-prassi-ecc… (Ecco cosa è la Rivoluzione. Ciò che non è “stato”. Ciò che viene. L’a-venire. L’orbita. Le stagioni. Le estinzioni. Le mutazioni…).

Il “potere” (l’istanza definita dalla spada di Damocle, che castra random) cerca di appropriarsi dell’inappropriabile. Nessuna singolarità sarà mai annullata dalle statistiche e  dagli “user generated contents”. Ci provano a farci fare le cavie del loro laboratorio. Non lo siamo. E’ il “potere” (il sopruso potenziale e imminente) ad essere un cattivo esperimento della natura. Un nostro esperimento. La spada deve stare nelle nostre mani, non sulla nostra testa!

(Il “soggetto universale” e lo “stato” sono invenzioni umane destinate a passare. Istanze paranoidi da spuntare. Zac).


Nel commento n°3 al post “Il regno contraffatto” di Eschaton, una mia riflessione sul potere come “finzione tattica”, arbitrio, censura e contromisura d'”emergenza”.